Influenzata, ma... con un racconto nel cassetto che smaniava per uscire. Penso sia ormai innegabile quanto alle parole basti poco per nascere... così, anche una tranquilla passeggiata può essere fonte di ispirazione. Perché è camminando che ho incontrato qualcosa che ha attirato la mia attenzione, è camminando che sono tornata a fotografarlo ed è sempre camminando che ho cominciato a regalare a questo 'qualcosa' una storia tutta sua... un 'secondo me' che non è realtà, ma che - in fondo - potrebbe anche esserlo. Un 'secondo me' che è la vita che ho creato... per questo 'qualcosa' di cui non saprò mai il vero significato. Un 'secondo me' che è pura fantasia e che, come frutto di fantasia, lascia intatto il fascino dell'essersi imbattuti in 'qualcosa' di insolito, dell'averlo ammirato e del chiedersi ancora... 'chissà chi l'ha messo lì e perché...'
Ditemi... cosa ne pensate?
Ditemi... cosa ne pensate?
Sul cartello attaccato alla porta, poco sopra la maniglia, c’è
scritto che il negozio chiuderà in anticipo sul orario. Guardo l’orologio e mi
rendo conto che ho giusto dieci minuti di tempo per entrare, raccogliere tutto
il mio coraggio, chiedere quello che ho in mente di chiedere, pagare ed essere
di nuovo fuori prima che il suono del Campanone si diffonda ancora nell’aria ad
annunciare il mezzodì.
“Buongiorno! Posso esserle utile?”. Il ragazzo dietro al
bancone avrà si e no trent’anni. Ma, nonostante questo, mi tratta con estrema
cortesia e mi riserva un ‘lei’ che raramente da altre parti mi è capitato di
ricevere. “In effetti…”. Non riesco a fare a meno di balbettare un po’. E,
anche se cerco di ignorarlo, le mani tremano dentro alle tasche del giubbotto.
“Sssssss… sì. Credo proprio di sì”. Cerco di smetterla in fretta di somigliare
a una serpe sibilante e mi avvicino di qualche passo al tavolo di legno che ci
separa. “Vorrei… vorrei…”. Accidenti! Come è che si chiama quell’attrezzo? Mi
maledico per non essermi ripetuta mentalmente il nome, fino ad impararlo a
memoria. Poi, cercando di ignorare il lieve sorriso che gli è comparso in viso
e che scopre leggermente una dentatura bianca e perfetta, provo a farmi capire
lo stesso. “Avrei bisogno di qualcosa in grado di tagliare un pezzo di ferro
piuttosto spesso”.
“Saprebbe dirmi quanto spesso?”. Ribatte con aria
professionale e tutto ciò che mi riesce di fare è di gesticolare una misura.
Con l’indice e il pollice della mano destra, cerco di trovare quella che mi
sembra la dimensione più veritiera. “Ecco! Più o meno… così”. Puntualizzo,
quando penso di essere riuscita ad arrivare ad un risultato soddisfacente. Il
ragazzo sorride, mi fa cenno con la testa di aver capito e per un attimo
sparisce in un’altra stanza, da una porticina laterale che non avevo notato
prima. Spero abbia veramente le idee chiare su ciò di cui ho bisogno perché non
solo non vorrei fargli fare tardi sull’orario di chiusura anticipato, ma… sento
che se non esco di lì nel giro di poco rischio di svenire.
“Queste dovrebbero fare al caso suo”. Mi porge un attrezzo con
due manici lunghi, una testa arrotondata e due lame taglienti che… sì!
Dovrebbero proprio fare al caso mio. Pago i venticinque euro che mi chiede e,
più o meno soddisfatta, esco di lì.
Mezzogiorno è passato da dieci minuti. Nonostante il cielo
sia sereno, non riesco a sentirmi felice. C’è da dire che è da diversi giorni
ormai che non riesco a sentirmi felice. Per questo mi serve di dare un taglio
al passato. Proprio… letteralmente parlando.
Sto ancora camminando verso la meta, quando il Campanone
annuncia che il primo quarto di quella nuova ora è già passato. È ancora presto
per il pranzo. Eppure, passando di fronte alla finestra bassa di una casa, non
posso fare a meno di fermarmi un istante a guardare una coppia di anziani già
seduta a tavola. Non si accorgono di me. Danno le spalle al mondo fuori e sono
tutti presi da un programma di cucina alla televisione. Chissà se le
sperimentano mai le ricette che seguono con tanto interesse, o se è solo un
modo come un altro per ammazzare la noia e che magari è proprio vero che quando
si è in su con l’età il tempo si dilata talmente tanto da diventare
insopportabile.
Certo… arrivarci anch’io alla loro età! Chissà come sarei con
i capelli bianchi e la pelle rugosa… chissà se sarei sola o con qualcuno
accanto… continuo a camminare mentre me lo domando e cerco di non pensare al
fatto che fino a poco tempo prima io qualcuno accanto ce l’avevo. Magari, a
detta di molti non era proprio il principe azzurro. Ma… tutto ciò che importava
era che per me fosse speciale.
“Ehi… Serena! Si può sapere dove stai andando tanto di
corsa?”. Cavoli. Questa proprio… no. Non ci voleva. Adesso che mi invento per
andarmene alla svelta?
“Maria… buongiorno!”. Maria è una vecchia compagna di scuola
di mia madre. Una donna che ha fatto della chiacchiera il suo sport preferito.
L’ultima volta che ci siamo incrociate per le vie della città stavo andando
all’ufficio postale a spedire un pacco e mi ha trattenuto per più di venti
minuti per chiedermi di mia sorella e del nuovo ragazzo con cui l’aveva vista
in un bar. Anche se riesco ad essere sufficientemente ermetica quando si tratta
di informazioni che non mi va di dare, non sempre riesco a tenere corti i tempi
di conversazione.
“Hmmm… sto andando a casa del nonno. Aveva bisogno di un
attrezzo nuovo e mi ha pregato di fare un salto in ferramenta”. Indico con lo
sguardo la busta di plastica bianca che tengo incollata ad un fianco e da cui
si intravede chiaramente la sagoma di qualcosa che proprio non ha niente a che
fare con il mondo di un’adolescente tutta moda, trucchi e tendenze. Ma, Maria
non sembra per niente soddisfatta.
“E… come va l’amore? Ti frequenti ancora con quel giovanotto
biondo? Mi pare di averlo visto l’altro giorno al supermercato insieme al
padre… possibile?”. Posto che in nessun caso sarei stata in grado di sapere
ogni singolo spostamento del ‘biondo’ in questione… “No! Io e Claudio non
stiamo più insieme da tre settimane, ormai”. Alzo le spalle come ad intendere
che sono cose che succedono e che non è il caso di farne un dramma, ma… dentro
mi sento morire. Spero anche di non mettermi a piangere da un momento
all’altro, ma non è così scontato che
non accada se non mi sbrigo ad andare via di lì. “Ok… ora devo proprio andare.
Scusami tanto, davvero. Mi ha fatto comunque piacere vederti. Buona giornata e
salutami tutti a casa”. Cerco di rispondere con un concentrato di cortesia e di
educazione, ma mi rendo conto che parlare mentre già con i piedi mi sto
allontanando da lei non deve essere il massimo in fatto di buone maniere.
Giro l’angolo della via e tiro un sospiro di sollievo. Di
tanti giorni… proprio oggi. Continuo a camminare verso la meta e non mi fermo
più fino a che raggiungo il cancello all’ingresso del parco.
Adoro parco Ranghiasci. L’ho sempre adorato. Di qualunque
stagione si tratti, ogni singolo angolo sa regalare qualcosa di speciale agli
occhi di chi guarda. Oltrepasso in fretta il ponte, cammino veloce lungo i
primi due viali e, all’inizio del terzo, mi trattengo un po’ prima di arrivare
alla fontana. Non potrei dimenticare l’ultima volta davanti a quello zampillo
d’acqua nemmeno se volessi. Quattro amici. Due ragazze e due ragazzi. Due
giovani coppie. L’idea che sarebbe potuto essere per sempre. La fiducia in un
futuro lungo, da vivere tenendosi per mano. Ripenso al sorriso di Claudio
mentre mi scosta una ciocca di capelli dal viso, alla mia sensazione di essere
arrossita oltre misura, al nostro ‘Bacio
della Promessa’. Nessun filo di metallo al dito o ciondolo a mezzo cuore al
collo, perché il mondo intero sapesse che ci amavamo e che avevamo deciso di
arrivare fino in fondo con il nostro rapporto. Solo una promessa fatta di
parole e di… un lucchetto.
Non riesco a vederlo da dove sono, ma so che è lì… vicino a
quello di Anna e Giacomo, che ancora sono felicissimi e innamorati. Le nostre
iniziali scritte con un pennarello indelebile. Un posto diverso dal famoso
Ponte Milvio. Un Per Sempre che non è
riuscito a reggere allo stress di una vita giovane, ma con qualche punto basso
di troppo. O… forse, con pochi ‘picchi alti’ a compensare il tutto.
Se voglio sono ancora in tempo per andarmene, ma muovo i
piedi fino alla panchina. Io e Claudio seduti lì mentre dividevamo un frappè al
cioccolato. Un nuovo bacio e un altro ancora. Guardo il lucchetto e sento una
fitta di dolore fortissima allo stomaco. Può una promessa essere infranta con
tanta leggerezza? Immagino che per la stessa ragione per cui esistono i
divorzi, il fatto che due adolescenti non siano riusciti a rimanere insieme sia
da ritenersi di normale amministrazione in fatto di questioni di cuore.
Sono indecisa se stringerlo tra le mani un’ultima volta. No.
Forse è meglio afferrarlo direttamente con le tronchesi e farla finita con un
colpo secco. Avevo chiesto a Claudio di occuparsene, ma lui non ne ha voluto
sapere. Mi ha detto che ero proprio scema se davo tanta importanza a certe
cose. Strano. Quando abbiamo girato insieme la chiave sembrava avessimo fatto
il gesto più importante e impegnativo del mondo. Continuo a guardare il lucchetto.
Vorrei riuscire a guardarlo con aria di sfida, del tipo ‘A noi due…
insignificante pezzo di metallo’, ma… non mi riesce di farlo. Continuo a
guardarlo e ho come la sensazione che mi implori di lasciarlo stare. Che mi
chieda di non eliminarlo da quel mondo che, nonostante tutto, sembra averlo
accettato come simbolo d’amore. Mah… forse è vero. Forse… non sarebbe giusto
toglierlo. Forse… sarebbe inutile.
Provo comunque a dare una prima stretta delle tronchesi
sull’archetto sigillato intorno al foro di quel cestino per rifiuti, ma niente
da fare. Eppure nella mente una vocina continua ad incoraggiarmi… Su Serena… puoi farcela… un colpo secco e
via. Provo ancora e ancora.
No. Non ci riesco. Perché c’è Claudio ancora nel cuore.
Perché spero ci ripensi. Perché… magari un giorno, passeggiando da queste
parti, gli capiterà di abbassare lo sguardo proprio su questo punto e si
accorgerà che non l’ho eliminato. Anche se gli avevo detto che l’avrei fatto ad
ogni costo. Anche se gli avevo detto che sarebbe stato il mio modo di
ricominciare con una nuova vita. Mi rendo conto che sarebbe inutile che il
mondo esterno parli della mia ritrovata libertà, se il mio cuore parla ancora
di lui. Sempre e solo di lui.
Appoggio le tronchesi sopra alla panchina pensando che magari
potranno tornare utili al custode o a qualcun altro e prendo la macchinetta
fotografica in borsa. Scatto una foto. Un’altra e un’altra ancora. Prima di
incamminarmi di nuovo e di rendermi conto che sono in ritardo per il pranzo.
Il cellulare nella borsa squilla. È la mamma che mi sta
cercando. “Pronto?”. “Serena! Dove sei? Si può sapere che fine hai fatto? Ti
stiamo aspettando da più di venti minuti…”. “Niente, mamma… non ti preoccupare.
Avevo una cosa importante da fare e mi ha portato via più tempo del previsto,
ma adesso sto tornando. Dieci minuti e sono lì”. Chiudo la telefonata, rimetto
il cellulare di nuovo in borsa. Anche il fatto che il cuore salti nel petto
ogni volta che lo sente suonare non passerà per il momento. O, forse, non
passerà mai. Perché credo ancora nella mia promessa e spero ancora di poterla vivere.
il tuo cuore è un tesoro ricco di preziosi
RispondiEliminaTi ringrazio, Roberto! Il racconto non parla di me... ma è innegabile il fatto che per me non esista nessuno di più importante di chi ho nel Cuore... l'altro giorno passeggiando mi sono ricordata di questi due lucchetti che avevo visto tempo prima e la storia è nata fantasticandoci su... grazie di essere passato, a presto!
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