sabato 9 marzo 2013

Se è nel Cuore...

Influenzata, ma... con un racconto nel cassetto che smaniava per uscire. Penso sia ormai innegabile quanto alle parole basti poco per nascere... così, anche una tranquilla passeggiata può essere fonte di ispirazione. Perché è camminando che ho incontrato qualcosa che ha attirato la mia attenzione, è camminando che sono tornata a fotografarlo ed è sempre camminando che ho cominciato a regalare a questo 'qualcosa' una storia tutta sua... un 'secondo me' che non è realtà, ma che - in fondo - potrebbe anche esserlo. Un 'secondo me' che è la vita che ho creato... per questo 'qualcosa'  di cui non saprò mai il vero significato. Un 'secondo me' che è pura fantasia e che, come frutto di fantasia, lascia intatto il fascino dell'essersi imbattuti in 'qualcosa' di insolito, dell'averlo ammirato e del chiedersi ancora... 'chissà chi l'ha messo lì e perché...' 
Ditemi... cosa ne pensate?


Sul cartello attaccato alla porta, poco sopra la maniglia, c’è scritto che il negozio chiuderà in anticipo sul orario. Guardo l’orologio e mi rendo conto che ho giusto dieci minuti di tempo per entrare, raccogliere tutto il mio coraggio, chiedere quello che ho in mente di chiedere, pagare ed essere di nuovo fuori prima che il suono del Campanone si diffonda ancora nell’aria ad annunciare il mezzodì.
“Buongiorno! Posso esserle utile?”. Il ragazzo dietro al bancone avrà si e no trent’anni. Ma, nonostante questo, mi tratta con estrema cortesia e mi riserva un ‘lei’ che raramente da altre parti mi è capitato di ricevere. “In effetti…”. Non riesco a fare a meno di balbettare un po’. E, anche se cerco di ignorarlo, le mani tremano dentro alle tasche del giubbotto. “Sssssss… sì. Credo proprio di sì”. Cerco di smetterla in fretta di somigliare a una serpe sibilante e mi avvicino di qualche passo al tavolo di legno che ci separa. “Vorrei… vorrei…”. Accidenti! Come è che si chiama quell’attrezzo? Mi maledico per non essermi ripetuta mentalmente il nome, fino ad impararlo a memoria. Poi, cercando di ignorare il lieve sorriso che gli è comparso in viso e che scopre leggermente una dentatura bianca e perfetta, provo a farmi capire lo stesso. “Avrei bisogno di qualcosa in grado di tagliare un pezzo di ferro piuttosto spesso”.
“Saprebbe dirmi quanto spesso?”. Ribatte con aria professionale e tutto ciò che mi riesce di fare è di gesticolare una misura. Con l’indice e il pollice della mano destra, cerco di trovare quella che mi sembra la dimensione più veritiera. “Ecco! Più o meno… così”. Puntualizzo, quando penso di essere riuscita ad arrivare ad un risultato soddisfacente. Il ragazzo sorride, mi fa cenno con la testa di aver capito e per un attimo sparisce in un’altra stanza, da una porticina laterale che non avevo notato prima. Spero abbia veramente le idee chiare su ciò di cui ho bisogno perché non solo non vorrei fargli fare tardi sull’orario di chiusura anticipato, ma… sento che se non esco di lì nel giro di poco rischio di svenire.
“Queste dovrebbero fare al caso suo”. Mi porge un attrezzo con due manici lunghi, una testa arrotondata e due lame taglienti che… sì! Dovrebbero proprio fare al caso mio. Pago i venticinque euro che mi chiede e, più o meno soddisfatta, esco di lì.
Mezzogiorno è passato da dieci minuti. Nonostante il cielo sia sereno, non riesco a sentirmi felice. C’è da dire che è da diversi giorni ormai che non riesco a sentirmi felice. Per questo mi serve di dare un taglio al passato. Proprio… letteralmente parlando.
Sto ancora camminando verso la meta, quando il Campanone annuncia che il primo quarto di quella nuova ora è già passato. È ancora presto per il pranzo. Eppure, passando di fronte alla finestra bassa di una casa, non posso fare a meno di fermarmi un istante a guardare una coppia di anziani già seduta a tavola. Non si accorgono di me. Danno le spalle al mondo fuori e sono tutti presi da un programma di cucina alla televisione. Chissà se le sperimentano mai le ricette che seguono con tanto interesse, o se è solo un modo come un altro per ammazzare la noia e che magari è proprio vero che quando si è in su con l’età il tempo si dilata talmente tanto da diventare insopportabile.
Certo… arrivarci anch’io alla loro età! Chissà come sarei con i capelli bianchi e la pelle rugosa… chissà se sarei sola o con qualcuno accanto… continuo a camminare mentre me lo domando e cerco di non pensare al fatto che fino a poco tempo prima io qualcuno accanto ce l’avevo. Magari, a detta di molti non era proprio il principe azzurro. Ma… tutto ciò che importava era che per me fosse speciale.
“Ehi… Serena! Si può sapere dove stai andando tanto di corsa?”. Cavoli. Questa proprio… no. Non ci voleva. Adesso che mi invento per andarmene alla svelta?
“Maria… buongiorno!”. Maria è una vecchia compagna di scuola di mia madre. Una donna che ha fatto della chiacchiera il suo sport preferito. L’ultima volta che ci siamo incrociate per le vie della città stavo andando all’ufficio postale a spedire un pacco e mi ha trattenuto per più di venti minuti per chiedermi di mia sorella e del nuovo ragazzo con cui l’aveva vista in un bar. Anche se riesco ad essere sufficientemente ermetica quando si tratta di informazioni che non mi va di dare, non sempre riesco a tenere corti i tempi di conversazione.
“Hmmm… sto andando a casa del nonno. Aveva bisogno di un attrezzo nuovo e mi ha pregato di fare un salto in ferramenta”. Indico con lo sguardo la busta di plastica bianca che tengo incollata ad un fianco e da cui si intravede chiaramente la sagoma di qualcosa che proprio non ha niente a che fare con il mondo di un’adolescente tutta moda, trucchi e tendenze. Ma, Maria non sembra per niente soddisfatta.
“E… come va l’amore? Ti frequenti ancora con quel giovanotto biondo? Mi pare di averlo visto l’altro giorno al supermercato insieme al padre… possibile?”. Posto che in nessun caso sarei stata in grado di sapere ogni singolo spostamento del ‘biondo’ in questione… “No! Io e Claudio non stiamo più insieme da tre settimane, ormai”. Alzo le spalle come ad intendere che sono cose che succedono e che non è il caso di farne un dramma, ma… dentro mi sento morire. Spero anche di non mettermi a piangere da un momento all’altro, ma  non è così scontato che non accada se non mi sbrigo ad andare via di lì. “Ok… ora devo proprio andare. Scusami tanto, davvero. Mi ha fatto comunque piacere vederti. Buona giornata e salutami tutti a casa”. Cerco di rispondere con un concentrato di cortesia e di educazione, ma mi rendo conto che parlare mentre già con i piedi mi sto allontanando da lei non deve essere il massimo in fatto di buone maniere.
Giro l’angolo della via e tiro un sospiro di sollievo. Di tanti giorni… proprio oggi. Continuo a camminare verso la meta e non mi fermo più fino a che raggiungo il cancello all’ingresso del parco.
Adoro parco Ranghiasci. L’ho sempre adorato. Di qualunque stagione si tratti, ogni singolo angolo sa regalare qualcosa di speciale agli occhi di chi guarda. Oltrepasso in fretta il ponte, cammino veloce lungo i primi due viali e, all’inizio del terzo, mi trattengo un po’ prima di arrivare alla fontana. Non potrei dimenticare l’ultima volta davanti a quello zampillo d’acqua nemmeno se volessi. Quattro amici. Due ragazze e due ragazzi. Due giovani coppie. L’idea che sarebbe potuto essere per sempre. La fiducia in un futuro lungo, da vivere tenendosi per mano. Ripenso al sorriso di Claudio mentre mi scosta una ciocca di capelli dal viso, alla mia sensazione di essere arrossita oltre misura, al nostro ‘Bacio della Promessa’. Nessun filo di metallo al dito o ciondolo a mezzo cuore al collo, perché il mondo intero sapesse che ci amavamo e che avevamo deciso di arrivare fino in fondo con il nostro rapporto. Solo una promessa fatta di parole e di… un lucchetto.
Non riesco a vederlo da dove sono, ma so che è lì… vicino a quello di Anna e Giacomo, che ancora sono felicissimi e innamorati. Le nostre iniziali scritte con un pennarello indelebile. Un posto diverso dal famoso Ponte Milvio. Un Per Sempre che non è riuscito a reggere allo stress di una vita giovane, ma con qualche punto basso di troppo. O… forse, con pochi ‘picchi alti’ a compensare il tutto.
Se voglio sono ancora in tempo per andarmene, ma muovo i piedi fino alla panchina. Io e Claudio seduti lì mentre dividevamo un frappè al cioccolato. Un nuovo bacio e un altro ancora. Guardo il lucchetto e sento una fitta di dolore fortissima allo stomaco. Può una promessa essere infranta con tanta leggerezza? Immagino che per la stessa ragione per cui esistono i divorzi, il fatto che due adolescenti non siano riusciti a rimanere insieme sia da ritenersi di normale amministrazione in fatto di questioni di cuore.
Sono indecisa se stringerlo tra le mani un’ultima volta. No. Forse è meglio afferrarlo direttamente con le tronchesi e farla finita con un colpo secco. Avevo chiesto a Claudio di occuparsene, ma lui non ne ha voluto sapere. Mi ha detto che ero proprio scema se davo tanta importanza a certe cose. Strano. Quando abbiamo girato insieme la chiave sembrava avessimo fatto il gesto più importante e impegnativo del mondo. Continuo a guardare il lucchetto. Vorrei riuscire a guardarlo con aria di sfida, del tipo ‘A noi due… insignificante pezzo di metallo’, ma… non mi riesce di farlo. Continuo a guardarlo e ho come la sensazione che mi implori di lasciarlo stare. Che mi chieda di non eliminarlo da quel mondo che, nonostante tutto, sembra averlo accettato come simbolo d’amore. Mah… forse è vero. Forse… non sarebbe giusto toglierlo. Forse… sarebbe inutile.
Provo comunque a dare una prima stretta delle tronchesi sull’archetto sigillato intorno al foro di quel cestino per rifiuti, ma niente da fare. Eppure nella mente una vocina continua ad incoraggiarmi… Su Serena… puoi farcela… un colpo secco e via. Provo ancora e ancora.
No. Non ci riesco. Perché c’è Claudio ancora nel cuore. Perché spero ci ripensi. Perché… magari un giorno, passeggiando da queste parti, gli capiterà di abbassare lo sguardo proprio su questo punto e si accorgerà che non l’ho eliminato. Anche se gli avevo detto che l’avrei fatto ad ogni costo. Anche se gli avevo detto che sarebbe stato il mio modo di ricominciare con una nuova vita. Mi rendo conto che sarebbe inutile che il mondo esterno parli della mia ritrovata libertà, se il mio cuore parla ancora di lui. Sempre e solo di lui.
Appoggio le tronchesi sopra alla panchina pensando che magari potranno tornare utili al custode o a qualcun altro e prendo la macchinetta fotografica in borsa. Scatto una foto. Un’altra e un’altra ancora. Prima di incamminarmi di nuovo e di rendermi conto che sono in ritardo per il pranzo.


Il cellulare nella borsa squilla. È la mamma che mi sta cercando. “Pronto?”. “Serena! Dove sei? Si può sapere che fine hai fatto? Ti stiamo aspettando da più di venti minuti…”. “Niente, mamma… non ti preoccupare. Avevo una cosa importante da fare e mi ha portato via più tempo del previsto, ma adesso sto tornando. Dieci minuti e sono lì”. Chiudo la telefonata, rimetto il cellulare di nuovo in borsa. Anche il fatto che il cuore salti nel petto ogni volta che lo sente suonare non passerà per il momento. O, forse, non passerà mai. Perché credo ancora nella mia promessa e spero ancora di poterla vivere.

2 commenti:

  1. il tuo cuore è un tesoro ricco di preziosi

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  2. Ti ringrazio, Roberto! Il racconto non parla di me... ma è innegabile il fatto che per me non esista nessuno di più importante di chi ho nel Cuore... l'altro giorno passeggiando mi sono ricordata di questi due lucchetti che avevo visto tempo prima e la storia è nata fantasticandoci su... grazie di essere passato, a presto!

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