Aveva l’abitudine di esprimere un desiderio ogni volta che,
imbattendosi in un orologio, le capitava di trovare ore e minuti uguali.
Aveva l’abitudine di esprimere un desiderio ogni volta, anche se poi
arrivava sempre quel pensiero cattivo a ricordarle che i desideri non si
avverano; solo perché gli occhi catturano l’immagine di due numeri gemelli
dentro un display. O perché due lancette, una più veloce dell’altra, a un certo
punto si ritrovano a segnare lo stesso valore.
Aveva l’abitudine di esprimere un desiderio ogni volta che, imbattendosi in un orologio, le capitava di
trovare ore e minuti uguali.
Lo faceva con la stessa noncuranza con cui, almeno una volta la
settimana, entrava in tabaccheria per chiedere un ‘gratta e vinci’. Perché non
si può sperare di essere fortunati, se non si è disposti a dare una possibilità
– anche più di una – alla fortuna. Anche se poi non le era ancora mai capitato
di vincere qualcosa e gli unici soldi che era riuscita a mettere nel portafogli,
che non provenissero dal suo stipendio, li aveva effettivamente incontrati per
strada, in fondo a una via solitaria, poco lontano da una cicca di sigaretta
sporca di rossetto.
Una piccola banconota da cinque euro. Non certo quel che basta per
dare una svolta alla vita.
Incontrarla a pochi metri da un bar, con lo stomaco che aveva appena
cominciato a brontolare per la fame e con la consapevolezza che l’ora di pranzo
fosse ancora abbastanza lontana da non riuscire a resistere fino ad allora,
l’aveva convinta che potesse essere il momento giusto per uno spuntino. Cinque
euro sono più che sufficienti per un cornetto alla marmellata, per un
cappuccino, di quelli con il supplemento di schiuma e di polvere di cacao che
non si dimenticava mai di chiedere ovunque fosse, e per un ‘gratta e vinci’
che, a giudicare dall’insegna blu sopra la porta, con molta probabilità avrebbe
trovato appesi in lunghe file dietro il bancone.
Ci sono bar che, a una certa ora, riescono a essere più affollati di
una piazza in un giorno di mercato e bar che – come quello – preferiscono
garantire alla clientela una giusta quiete costante. Erica era felice di
essersi imbattuta in un posto del genere. Poté poggiare su una sedia le sue buste
degli acquisti, senza che a qualcuno venisse in mente di chiederle un attimo
dopo se per caso quella fosse una sedia libera e se, per gentilezza, avrebbe
potuto prenderla.
Poté allontanarsi dal tavolo, senza portare con sé il timore che
qualcuno avrebbe potuto approfittare della sua assenza per toccare le sue cose
o, e non seppe stabilire se sarebbe stato peggio, rubarle il posto. Poté
rimanere davanti il bancone delle cose da mangiare per tutto il tempo che
reputò necessario, senza per questo sentirsi in imbarazzo davanti al barista. Senza
rischiare di essere strattonata da altri affamati; più affamati di lei. E
potendo scegliere (senza fretta) effettivamente quello che avrebbe voluto
scegliere, scegliendo con gli occhi.
Grazie alla calma del luogo si accorse infatti di essere entrata – sì
– per un cornetto alla marmellata e per un cappuccino con tanta schiuma, ma di voler
chiedere un panino con prosciutto cotto e maionese e un bicchiere di spremuta
d’arancia.
Chiedeva sempre una spremuta d’arancia, anche se poi – il più delle
volte – in molti bar si ritrovava costretta a ripiegare sul succo in
bottiglietta; che non ha niente a che vedere con il sapore delle arance
appena spremute.
L’uomo dietro il bancone impiegò pochissimi secondi a spaccare i tre
frutti necessari per riempiere un bicchiere e a Erica parve che l’aria dentro
il locale s’impregnasse all’improvviso di quel buon odore di agrumi.
Tornò a sedersi insieme al suo panino e non riuscì a evitare di
sorridere imbattendosi nel suo riflesso dentro a uno specchio a muro un po’
segnato dal tempo.
«Ecco a lei». A giudicare dalla pelle delle mani Erica avrebbe detto
che quel barista non potesse essere tanto in là con l’età, ma le rughe sul viso
tradivano una vita già vissuta per la maggior parte e la luce negli occhi,
seppur ancora presente, sembrava essere una di quelle luci non più fresche come
quelle che si trovano in gioventù o, comunque, nel buono degli anni.
Quel bar era il bar giusto anche per questo. Segno che i cinque euro
trovati per strada non si erano fatti trovare davanti ai suoi piedi per caso.
Per la prima volta qualcosa l’aveva spinta ad entrare proprio lì, in quel posto
che aveva sempre ignorato. E si era ritrovata ad avere a che fare con una
persona sconosciuta, ma che – a pelle – già godeva di tutta la sua fiducia. Una
persona che, in qualche modo, la faceva sentire bene.
«Grazie!». Prese il bicchiere dal piccolo vassoio d’acciaio, cercando
di nascondere il tremore delle mani che alle volte era in grado di procurarle
un disagio. Aveva sentito diversi medici al riguardo e, per fortuna, tutti i
controlli fatti avevano portato a credere che non ci fosse nulla fuori posto.
Così, visto che le mani continuavano a ballare una danza tutta loro di tanto in tanto, alla fine ad Erica era
stato detto che – con molta probabilità – poteva trattarsi di una reazione
emotiva. Reazione a che cosa? Non era dato sapere. Emotivamente parlando, però,
Erica avrebbe preferito non dover aggiungere anche quello alla sua lunga lista
di ‘difetti’.
«Ha trovato qualcosa di interessante in libreria?». Il barista indicò
le buste con un cenno, scostandosi di qualche passo in direzione del
bancone. Dei tre libri che Erica aveva appena acquistato, solo di uno era
assolutamente sicura e fu quello di cui gli parlò.
«Una bella storia d’amore. Una di quelle con il lieto fine sicuro,
qualunque cosa accada in mezzo alle pagine». Sorrise. A ben pensarci, avrebbe
potuto approfittare di quella sosta imprevista in quel bar per leggere un po’.
Ma non lo fece.
Ignorando l’imbarazzo di parlare guardando dritto negli occhi il suo
interlocutore, chiese invece: «A lei piace leggere?». Il bar era tanto bizzarro
da non tenere in giro neppure un quotidiano, perciò c’era da credere che il
barista avesse qualche tipo di avversione per la parola scritta e che gli
avesse fatto quella domanda solo per dimostrarsi cordiale.
Quando Erica lo vide tornare di nuovo dietro il bancone per tirar
fuori da un cassetto una vecchia agenda di pelle e una bellissima penna
stilografica, non riuscì a evitare di spalancare la bocca per lo stupore.
«Mi piace scrivere, anche se non sono poi così bravo».
«Sta scrivendo qualcosa, adesso?».
Il sorriso del barista lasciava intendere di sì, ma la sua testa
rispose comunque muovendosi a destra e a sinistra.
«Peccato. Mi sarebbe piaciuto poter leggere qualcosa scritto da
qualcuno che…». Erica interruppe la frase a metà, consapevole che chiuderla con
la parola che aveva in mente – ossia ‘conosco’ – non fosse proprio dire la
verità. Sarebbe stato più giusto affermare che le sarebbe piaciuto poter
leggere qualcosa scritto da una persona cui poter stringere la mano, poi, per
congratularsi del lavoro fatto. Questo, sì! Anche se, a ben pensarci, anche in tal
caso non era certa che le parole del barista le sarebbero piaciute al punto da
congratularsi con lui.
Scelse di rimanere in silenzio, concentrandosi sull’ultimo morso del
suo panino.
«Potrebbe tornare qui fra qualche giorno e chiedermi di nuovo se ho
qualcosa di finito da farle leggere, sono sicuro che per allora mi sarò fatto
venire in mente almeno una piccola storia». Il barista aprì le pagine della sua
agenda fino a trovarne una completamente bianca e svitò il tappo della sua
stilografica come a lasciar intendere che si sarebbe messo subito all’opera.
Erica non riuscì a evitare di ridere di gusto. Non fosse stato per
l’imbarazzo della richiesta, gli avrebbe domandato la possibilità di fare una
fotografia insieme. Lei, lui, l’agenda e quella stilografica che poteva
considerarsi, senza sbagliare, la fuoriclasse delle penne.
Continuando a tenere il cellulare in tasca, però, preferì alzarsi per
raggiungere la cassa e pagare il conto.
Aveva già allungato la banconota da cinque euro oltre il bancone, che
si sentì dire: «12 e 12. Esprima un desiderio…». Non era sicura che valesse,
così, su comando. Né era sicura che fosse valido esprimere un desiderio in quel
caso, per il fatto che non erano stati i suoi occhi a catturare la coincidenza.
Ma Erica preferì ubbidire, senza pensarci troppo. Era comunque un’occasione in
più, che avrebbe potuto dare a tutto ciò che avrebbe voluto diventasse realtà.
Per i desideri vale un po’ quel che vale per la fortuna. Se non si è
disposti a dar loro un’opportunità quando se ne presenta l’occasione, poi non
ci si può lamentare del fatto che non si avverino.
Aveva l’abitudine di esprimere un desiderio ogni volta che,
imbattendosi in un orologio, le capitava di trovare ore e minuti uguali.
Pensò fosse buffo che anche quel barista custodisse in sé la stessa
mania.
Lesse lo scontrino per controllare che fosse vero. Che
fossero davvero appena passati dodici minuti dalle dodici.
In quel momento lesse anche un nome… Giuseppe.
«È lei Giuseppe?». Stavolta, la testa dell’uomo si mosse in su e in
giù per rispondere di sì.
Erica pensò che un tipo del genere non l’avrebbe certo rintracciato su
Facebook. Per questo, si affrettò ad allungare una mano e a presentarsi: «Mi
chiamo Erica…». Avrebbe voluto raccontargli del modo bizzarro in cui aveva
deciso di entrare in quel bar per la prima volta, ma non lo fece.
Non chiese nemmeno il ‘gratta e vinci’ che aveva immaginato avrebbe
chiesto prima di uscire.
Quei cinque euro trovati per strada le avevano appena pagato una delle
colazioni più tranquille, buone e insolite della sua vita e le avevano appena
regalato la possibilità di esprimere un desiderio. Non poteva chiedere di più.
Forse, la prossima volta che sarebbe tornata a trovarlo, avrebbe
potuto giocare una partita con la fortuna. E, magari, Giuseppe le avrebbe fatto
trovare una storia scritta ispirandosi a quel loro breve attimo insieme. Magari, Giuseppe avrebbe potuto scrivere un racconto che parlasse dei desideri
che si esprimono, quando il tempo è fatto di numeri uguali. Magari, lei avrebbe
fatto in tempo a finire il libro di cui gli aveva accennato e avrebbe potuto
raccontarglielo con maggiore precisione. Avrebbe potuto chiedere un’altra
spremuta, per respirare di nuovo l’odore del frutto fresco nell’aria, o scegliere di farsi
venire i baffi bianchi; sorseggiando un cappuccino schiumoso.
Aveva la certezza che sarebbe tornata in quel posto ed era comunque
tutto ciò che contava.
Alle 12 e 18 si salutarono con un: «Arrivederci!» detto all’unisono.
Pare che alcuni esprimano desideri anche in situazioni del genere,
quando la stessa parola esce da bocche differenti nello stesso momento.
Loro… no! Loro avrebbero aspettato di nuovo di imbattersi in ore e
minuti uguali.