Cerco di non essere in ritardo sul orario, ma uscendo –
quando praticamente sono già con una mano sopra alla maniglia del portone di
casa – non posso fare a meno di concedermi un nuovo dietrofront per correre per
l’ennesima volta in bagno e per essere sicura che sia tutto a posto. Non so se
avrò modo di incrociarti, ma quello che non vorrei mai è che tu mi vedessi con
il rossetto sbaffato sulle labbra, con righe di rimmel vicino agli occhi, perché
accidenti a me sono un disastro in certe cose e ogni volta che provo a
truccarmi finisce sempre che devo fare mille ritocchi, o con il nero della
matita impiastricciato chissà dove, perché le tipe in Tv hanno un trucco
perfetto anche dopo ore e ore dall’applicazione, io riesco ad assomigliare a
una maschera di carnevale dopo appena dieci minuti, se non sto più che attenta.
Ok. L’immagine che mi rimanda lo specchio è accettabile, il
profumo che indosso si sentirebbe anche fossi in un altro pianeta e le scarpe,
anche se non da ginnastica, sono sufficientemente comode da farmi credere che
posso farcela. Temo di morire per il freddo, ma quella è un’altra storia.
Finalmente in macchina, ho cinque minuti a suon d’orologio
per arrivare al parcheggio dove mi stanno aspettando le amiche. Rispettare i
limiti e non arrivare in ritardo è un impresa praticamente impossibile, ma…
provo lo stesso a non premere troppo sul acceleratore.
“Eccoti! Stavamo per attaccarci al telefono con il dubbio di
non aver capito bene posto e ora”. Riesco a malapena a sorridere. Sono tesa e
non so per quanto tempo ancora riuscirò a far finta che vada tutto alla grande.
“Allora? Che si fa?”. Provo a buttare là la domanda, come
ogni volta. Ma, come ogni volta mi ritrovo a dover fare i conti con la solita
risposta. “Il solito pub, no?!?”. Eh… come, no! Non che non ami la ‘vita da pub’,
ma… tanto per cominciare… c’è pub e pub e, secondo poi, qualche volta non
farebbe male cambiare. Insomma… avere delle abitudini va bene, ma… si potrebbe
anche prendere l’abitudine di dare un po’ di giro alle abitudini, no?!?
Mi aggrego, rimanendo in silenzio. Continuo a lottare con un
fastidioso senso di ansia che, in sincerità, avrei sperato non arrivasse a
ricordarmi che: spero di incrociarti da qualche parte.
“Allora Fra, come è andata la tua settimana?”. Michela è
bellissima, con le scarpe nuove e un vestitino nero che adoro. Invidio la sua
capacità di stare bene con qualunque cosa addosso. Io, se non litigo ogni volta
con l’armadio non sono contenta.
“Diciamo, abbastanza ok. La tua?”. Rispondere con ‘abbastanza
ok’, per me è sinonimo di avere qualcosa che mi passa per la testa, ma spero
che Michela non se ne accorga. Faccio mentalmente gli scongiuri, ma non serve. “Sembri…
nervosa. C’è qualcosa che non va?”.
Ecco. In certi casi, rispondere con una bugia è qualcosa che
mi scoccia da morire. Ma, anche rispondere con una mezza verità non è detta che
mi salvi dal confessare tutto. “No… tutto ok. Solo… è che…”. Nemmeno una
bambina di fronte alla maestra, al suo primo giorno d’asilo, avrebbe preso
tanto a balbettare come me in quel momento. Alla fine, cerco di liquidare la conversazione
con un: “Ti spiegherò, ok? Adesso, non mi va di parlane”.
Il bello di Michela, ragion per cui mi trovo anche tanto bene
insieme a lei, è che non è insistente. Insieme, ci limitiamo ad allungare il
passo e a raggiungere le altre.
Avevo ragione a credere che uscire senza una delle solite felpe
caldissime avrebbe significato ritrovarsi presto come un ghiacciolo, ma i
pensieri sono altrove e anche se già da qualche metro non sento più i piedi
dentro alle scarpe e sono ormai prossima a perdere anche la sensibilità delle
mani, non mi importa del freddo.
In fretta raggiungiamo l’ingresso del locale e in fretta ci
infiliamo dentro. Pensare di trovare un tavolo libero in uno dei ‘venerdì a
tema’ è praticamente utopia. Ma, non c’è verso di provare a spostarci da un’altra
parte. Perciò, rimaniamo lì in piedi fino a che qualcuno non decide di averne
abbastanza per quella sera di musica altissima, birra, patatine fritte e facce
di gente annoiata ovunque si giri lo sguardo. Seriamente… non fosse per il via
vai dei camerieri, perfetti equilibristi con i vassoi in mano stracolmi di
bicchieri, e per il Dj all’angolo che ho il dubbio ce la stia mettendo tutta
per farci saltare i timpani, non sembrerebbe nemmeno di trovarsi dentro a un luogo
di aggregazione. Guardo a destra e una coppia nemmeno si guarda in faccia. Lui smanetta
con il cellulare e lei sembra molto impegnata a esaminare la tenuta dello smalto
viola sopra alle unghie. A sinistra, tre amici sorseggiano birra. Uno guarda
alla propria destra, uno è concentrato sullo schermo della tv che sta passando
le immagini di serate già trascorse e uno è concentrato sul menù, anche se ho
la sensazione che non sia per l’intenzione di ordinare qualcos’altro. Di fronte
a me… il top del top. Uno sbadiglio gigantesco mi fa temere non solo per il
detto che lo vuole essere un gesto contagioso, ma anche per il fatto che se la
bocca di quel ragazzo sulla trentina continuerà ad allargarsi, potrebbe
ingoiarci tutti e farne un sol boccone.
Ok. Magari, se mi giro e torno a guardare in direzione della
porta chi entra avrà un sorriso grandissimo stampato in faccia e un’allegria
più contagiosa di qualsiasi altra cosa possa esserlo al mondo.
Niente da fare. La ragazza che oltrepassa l’ingresso nel
esatto istante in cui mi ritrovo a fissare la vetrata della porta è sola e ha
un’espressione talmente tanto cupa in volto che per un istante penso non sarebbe
una cattiva idea raggiungerla e chiederle se vuole aggregarsi a noi.
Ci penso su una volta o due, prima di abbandonare del tutto l’idea
e di decidere che è meglio non buttarsi in imprese assurde. Magari, semplicemente
non è serata per molti… come non lo è per me.
“Franci, sei con noi?”. Distolgo i pensieri quel tanto che
basta per accorgermi che Michela, Sara e Giulia mi stanno guardando. Annuisco. “Sì,
certo… sto solo… aspetto di poter ordinare”.
“Ah… a proposito di ordinare, ti andrebbe di dividerci un
piatto di patatine? O preferisci una fetta di torta al cioccolato?”. In altre
situazioni non avrei esitato, ma ho lo
stomaco completamente chiuso.
“Pronte? Avete deciso o ripasso?”. Rispondo a Giulia,
rispondendo al cameriere: “Per me solo una Coca piccola, grazie”.
Anche bere non mi sembra una buona idea. Ma, cominciare a
vivere di sola aria forse lo sarebbe ancora di meno.
Lascio che la musica altissima mi stordisca, cerco di non
soffermarmi sulle parole di una canzone dei Gemelli Diversi e aspetto, senza
aspettare in realtà, di ritrovarmi con il bicchiere fra le mani. Dopo che il
cameriere ha finito di appoggiare sopra il tavolo il nostro ordine, lascia
anche una manciata di stelline argentate e una candela, che pare
contribuiscano a creare l’atmosfera.
“Sì, mi piacciono proprio queste serate a tema. C’è più gente
del solito e in generale è tutto più bello”. Sara ha la solita espressione
sorridente, che solo quel locale sembra saperle regalare. Io… mah! A me non
dispiace tutto quello che mi circonda, ma nemmeno faccio i salti di gioia. A
tratti continuo a pensare che potrei incontrarti, ma sono molte di più le volte
in cui mi ritrovo a credere che non accadrà. Mi sono anche seduta al tavolo
riservandomi il posto che dà le spalle alla porta, così almeno evito di
aggiungere ai pensieri il rimanere incollata con gli occhi all'ingresso, nella
speranza di vederti entrare con gli amici.
Bevo un sorso dal mio bicchiere e subito dopo un altro. No. La
paura di stare male è qualcosa che non si annienta così, così. Il Dj passa
qualche vecchio successo musicale. Provo a ballare un po’, ammesso che muovere
appena le spalle e battere il tempo con i piedi possa considerarsi qualcosa del
genere.
“Pensi che potremmo uscire anche domani, o sei impegnata?”. Il
sabato è sempre più un’incognita, avendo ognuno i propri interessi e i propri
impegni, ma per questa settimana non ho nulla in programma, perciò annuisco.
“Franci… e dai! Si può sapere…”. Niente, è più forte di me.
continuo a concentrarmi sui miei timori e tutto ciò che continuo a vedere sono
i volti delle persone che, come me, sembrano fuori posto in quel luogo. Le dita
sopra il tavolo si muovono senza che io mi accorga veramente di comandarle. Gioco
con le stelle. O… sono le stelle che giocano con me? Per come stanno le cose, propenderei
di più per la seconda. Mi sfugge un sorriso. È assurdo, letteralmente assurdo
ritrovarsi in quel modo. Sorrido. Continuo a sorridere e mi lascio prendere per
pazza, mentre mi accorgo che… con le stelle ho scritto il tuo nome!
Questo stralcio mi ricorda qualcosa di Sotto l'albero. Un bacione.
RispondiEliminaCiao Sofia, beh... di sicuro nascono entrambi dalla stessa penna! Un abbraccio, a presto!!!
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