La sveglia alle sette e
mezza mi ricorda che, anche se è sabato, non posso dormire. Anzi, per tutte le
cose che ho in mente di fare, prima di uscire di casa, è proprio l’ora di tirar
via le coperte, di permettere al freddo della stanza di abbracciarmi con una
stretta tutt’altro che piacevole e di… scendere in fretta in cucina per una
tazzina di caffè che spero riesca nel suo dovere di svegliarmi.
Salgo di nuovo in
fretta le scale e raggiungo di corsa il bagno. Quando in casa si è in quattro a
dividere lo stesso bagno, trovarlo libero, tranquillo e tutto per sé per un
lasso di tempo che può andare dai
quindici ai trenta minuti è un privilegio per cui si è disposti a fare di
tutto, pur di accaparrarselo.
Cerco di non
soffermarmi troppo sull’immagine che lo specchio mi rimanda. So per certo di
avere i capelli sistemati nella stessa maniera in cui li sistemerebbe l’inserire
le dita nella presa della corrente e il lasciarsi ‘pettinare’ da una scarica di
220 Volt. Spendo cinque minuti con lo spazzolino da denti in mano, altri cinque
nella ricerca dello shampoo giusto (il bordo della vasca, tra bocce e boccette,
è ridotto alla stregua di uno scaffale del supermercato) e, poggiato un
asciugamano sopra il termosifone perché si riscaldi un po’, cerco di sbrigarmi nel
lavare i capelli. Lavarli sapendo di doverli rilavare comunque più tardi è un’idea
che non mi fa fare i salti di gioia, ma… quando non si può fare diversamente…
perlomeno, non dovrò impazzire con la spazzola in mano; l’enorme vantaggio di
avere i capelli corti.
Quando il rumore del
phon acceso è tutto ciò che mi riempie le orecchie, la casa comincia ad
animarsi.
Buongiorno. Saluto mia
sorella con un labiale un po’ incerto e annuisco appena, rispondendo al suo: “Sei
pronta?”. Pronta non è proprio ciò che penso di essere al momento, ma cercherò
di esserlo in meno di dieci minuti.
“Gli altri ci aspettano
alle dieci, dobbiamo sbrigarci”. Infilo in fretta la tuta, indosso le scarpe da
ginnastica e scendo di sotto per la seconda volta. Vorrei tornare indietro e
rimettermi a letto, ma non si può. Usciamo di casa senza badare al vento freddo
e alla nebbia che non è tanto fitta da non vedere a un palmo dal naso, ma è
comunque poco piacevole da avere intorno e addosso. “Di questi passi, saremo
zuppi ancor prima di riuscire ad arrivare in fondo alla strada”. Cerco di
ignorare l’appunto di mia sorella su quel sabato mattina tutt’altro che
soleggiato. Vorrei tornarmene a letto… Vorrei…
“Ben arrivati! Pronti
per un’altra bella passeggiata?”. Gli altri annuiscono. Io, che mi sento
piuttosto incerta, preferisco non rispondere. Non che camminare all’aria aperta
non mi piaccia, ma… non è mai rientrato tra i miei modi preferiti (in
assoluto!) di passare il tempo. E, anche se conto di invertire la rotta delle
mie abitudini, non mi risulta comunque facile convivere con una nuova immagine
di me che, invece della penna in mano, ha… ha…
Ecco! Nota dolente (per
me, si intende!) dell’intera questione… si fosse trattato di una semplice
passeggiata su per un percorso di montagna, avrei potuto anche sentirmi all’altezza
(fiatone a parte). Ma… no! Il Nordic
Walking (o camminata nordica) vuol dire camminare sfruttando le
potenzialità dell’intero corpo che, tradotto appositamente per me, varrebbe a
dire: disastro!
Io riesco a inciampare
sui miei piedi anche con i laccetti delle scarpe perfettamente allacciati e
nonostante passi tutto il tempo, camminando, a guardare in basso nel tentativo
di evitare ostacoli inesistenti per gli altri, ma seriamente pericolosi per me.
Figurarsi cosa può voler dire per me l’imparare a camminare con i piedi senza
strofinarli costantemente a terra, ma ponendo attenzione al giusto
coordinamento di punta-tacco (tallone), farlo evitando di guardare in basso, ma
con sguardo fiero in avanti e… con l’uso di due ‘bastoncini’ che ricordano
molto quelli del trekking (ma, che non lo sono) e che, almeno in teoria,
dovrebbero essere lo strumento giusto per far sì che, camminando, anche la
parte alta del corpo (braccia, schiena, pettorali, ecc…) faccia la propria
parte nel movimento, così da ridurre la fatica ed aumentare il risultato in
termini di consumo d’energia. Ecco… immaginate me alle prese con arnesi del
genere… me, che persino la prima volta al ristorante cinese ho dovuto chiedere
di avere una forchetta, incapace di utilizzare i bastoncini… i primi passi
mossi a “quattro zampe”, sono stata seriamente tentata di buttare tutto all’aria
e di darmi alla macchia. Fortuna che avevo già avvisato della mia scarsa
propensione per le attività sportive, altrimenti…
Non so quante volte ho
rischiato di cadere inciampando non più nelle scarpe, ma nei bastoncini. Ho sfiorato
l’esaurimento nervoso, scoprendomi a camminare con un movimento parallelo di
braccia e gambe (non alternato, come il Nordic
Walking richiede!) e, per finire, il rumore (soprattutto lo strisciare
indesiderato) dei miei bastoncini è stato a tratti talmente tanto
insopportabile, che sono sicura non mi sarebbe costato alcuno sforzo lo
spezzarli in due e… chi si è visto, si è visto.
Oh! Allora… rimanere in
silenzio alla domanda: “Sei pronta?”, mi pare il minimo indispensabile. Partiamo
dopo un adeguato riscaldamento. Posso tornarmene a dormire?
No. Mi costringo a
mandare un piede avanti all’altro e con mio orrore scopro che le cose vanno
anche peggio, rispetto al mio ultimo tête-à-tête con i bastoncini. Ma… com’é possibile che questi ‘cosi’ non rispondano più ai miei movimenti. Il rumore
della punta che striscia al suolo torna a torturarmi le orecchie. Ok! Altri
dieci (via, facciamo venti…) passi così e giuro che giro sui tacchi e me ne
torno a casa. C’è un libro lasciato a metà che mi sta aspettando e sono sicura
che, anche quando mi stancherò di leggere, potrei sempre ripiegare su tv e
divano. Mi sembra un ottimo programma.
Sì! In teoria. In
pratica, mi limito a seguire la massa su per la strada che, a ogni passo, si fa
sempre più difficile e sempre più da fiatone. Spero che nessuno faccia troppo
caso alla mia totale incompetenza… se non posso risultare una tranquilla Nordic Walker, almeno sarebbe cosa
gradita non fare figuracce colossali.
Destro… destro… destro…
cerco di chiamare il movimento, perché pare che aiuti. Ma, niente.
A tratti inciampo, in
altri attimi mi sento costretta a staccare i bastoncini da terra e quando mi
decido finalmente per la prima pausa di quella che considero a tutti gli
effetti una maratona, mi sento talmente tanto spossata che la testa si libera
in un istante di tutti i pensieri e tutto ciò che rimane è la speranza di
arrivare viva alla fine del percorso. Per fortuna, mi va bene.
Camminiamo per un
totale di otto chilometri circa e, al ritorno, l’andatura e la tecnica sono
molto più semplici da tenere sotto controllo. Provo a rilassarmi, ma… la parte
tesa di me è sempre in agguato e pronta a prevaricare sull’altra. Allora, tiro
fuori la macchina fotografica dallo zainetto. Avevo quasi dimenticato di averla
portata con me. Cerco di non rimanere troppo indietro, ma la bellezza del posto
mi cattura completamente e, prima ancora che io possa rendermene conto, ho
preso a ‘scattare’ come una matta. Un click, un altro e ancora un altro.
Quando
raggiungo gli altri per una foto ricordo della mattinata, si stavano già
chiedendo dove fossi finita… accidenti a me! Ma… che posso farci se non riesco
a non immortalare tutto ciò che mi circonda, quando ne ho la possibilità. Magicamente,
allora, ritrovo tutta la mia decisione (quella che, di solito, mi accompagna
nelle questioni di tutti i giorni) per l’inizio di questa nuova (primissima,
per quel che mi riguarda!) avventura sportiva. Non sono una Nordic
Walker provetta, ma sono ancora agli inizi e so che potrò migliorare,
provandoci. Scatto un’altra foto ancora, già pensando a quante ne scatterò in
futuro. Ne scatterò? Staremo a vedere. Indolenzita, ma un po’ più soddisfatta,
torno a casa. Il pomeriggio di relax davanti al computer non me lo toglie
proprio nessuno. A presto!
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