Vorrei sapere quante volte, nell’arco di un’esistenza, può capitare. Vorrei
sapere se sia giusto che capiti. Vorrei che mi si rispondesse alla domanda con
semplicità, con la stessa, tranquilla, semplicità con cui io ho saputo porre la
domanda. Una domanda universale, in effetti. Non perché, universalmente
parlando, tutti ora si stiano chiedendo la stessa cosa, ma è una domanda
universale nel suo essere in grado di rendersi utile al raggiungimento di
diversi risultati. Oddio. Risultati non è proprio la parola che stavo cercando,
ma… ciò che conta è che sa rendere bene l’idea. Immagino lo sappia fare; sì.
Dunque… il riuscire a raggiungere ciò che si sta cercando. Per qualche
istante, seppur breve, di un piccolo frammento della mia vita, mi sono
ritrovata a dar per scontato che ce l’avrei fatta. Come dice una pubblicità in
questo periodo, invece, ‘c’era l’asterisco’. Non tutte le domande riescono a
trovare una risposta e io questo – per dirla, invece, con le parole di una
canzone – ‘non lo avevo considerato’. Se poi penso al fatto che la domanda,
quella universale di cui sopra, è: “Perché?”, forse riuscirete a capire le
ragioni del mio sgomento. Che a tratti è tristezza, che a tratti è debolezza,
che a tratti è rassegnazione, che a tratti è dolore. Ci sono delle volte in cui
è anche forza, perché riconosco di essere quel tipo di persona che non fa che
ripetersi che ogni singolo giorno è un dono e che nulla, del tempo che ci è
concesso, può andare sprecato. Perciò, anche in passato, anche da cuore ferito,
anche quando avrei voluto solamente chiudermi in camera e piangere tutte le
lacrime del mondo, ho preferito non farlo. Non perché non sentissi il dolore di
certe ferite, ma perché ci sono ferite peggiori, perché non è giusto avvilirsi,
perché… la vita è un dono e come tale deve essere trattata. Pensiero mio
personale e mio personale ragionamento appena messo per iscritto, non pretendo
certo di avere il lume della ragione dalla mia. È una pura questione di
opinioni. Solamente, qualora avessi la fortuna di poter arrivare a soffiare su
un notevole numero di candeline, non vorrei mai ritrovarmi a pensare ai miei
giorni passati e dire… mannaggia! Speriamo non succeda.
Perciò… cerco di essere forte. Volendo cercare di splendere mi
verrebbe da aggiungere: anche per le persone che mi sono accanto e che mi vogliono
bene, ma… non è questo che mi spinge ad esserlo. Non è la ragione che mi ripeto
ogni volta che sento di averne bisogno. La mia Famiglia è importante e darei la
vita, se servisse. Ma è per Me. Per Me che cerco di essere forte. Alla stregua
delle volte in cui ho cercato di essere Felice, alla pari di quelle in cui ho
cercato di divertirmi, nello stesso modo in cui cerco di raggiungere qualunque
obiettivo possa sentire faccia ‘Per Me’. Le due paroline magiche. Ed era
proprio, esattamente, “Per Me” che sono andata alla ricerca di un perché. In merito
a una situazione per cui non starò a perdere tempo nel elencare dettagli ma per
cui, vi basti sapere, ho provato ad affrontare qualsiasi ragionamento. Ce ne
sono stati alcuni che sarebbero decisamente andati a mio favore, ma per cui – a
questo punto – non mi spiego il perché alcune cose siano sembrate essere,
invece non sono state. Perché, nel caso in cui fossi riuscita a incastrare
correttamente tutti i pezzetti del puzzle, l’immagine completa non è riuscita a
prendere forma sotto i miei occhi. Non lo so. Ho provato, allora, a ipotizzare
tutte le ipotesi (chiedo scusa per il giro di parole, forse poco elegante, ma
anche in questo caso decisamente esplicativo e essenziale allo scopo) negative,
quelle che mi vedevano sicuramente in errore e che, per mia sfortuna,
significavano anche dover soffrire. Sono riuscita a far ribattere queste
ipotesi negative con la realtà, solo fino a un certo punto. Poi, gli
avvenimenti sono come impazziti. Se è il ‘negativo’ la chiave giusta di
lettura, perché ho sentito questo? Perché mi è stato detto questo? Perché mi è
stato chiesto questo? Perché è stato ragionato insieme a me questo? Perché mi è
stato risposto questo? Un rebus. Un labirinto di cui non sono riuscita a
trovare l’uscita, ma nel quale mi sono stancata di rimanere. Non ho tantissima
pazienza con ciò che non torna e mi spaventa l’idea di non trovare la strada,
dopo un po’. È per questo che torno indietro. esco dal labirinto nello stesso
modo in cui ci sono entrata, perché è inutile rimanere ancora a cercare. Certo sono
delusa. Di non essere riuscita a capire, ma non solo di questo. Dopo un’altra
marea di altri infiniti ragionamenti, sono rimasta delusa di non essere stata
vista come una persona. Fragile, debole e che da un certo punto di vista poteva
averne già passate a sufficienza… poteva bastare. Non ho l’abitudine di
lamentarmi del mio passato, per quello che è stato so di aver applicato la
stessa logica di adesso e di aver trovato risposta a tutti i perché che mi
interessava di scoprire. Laddove non l’ho trovata, e mi riferisco a un caso in
particolare, dove non mi sono nemmeno presa la briga di approfondire alcunché,
è perché sapevo (sempre saputo e tra l’altro confessato, senza nascondere
nulla) di non essere mossa da sufficiente interesse. Eppure, anche in quel
caso, non mi sono mai dimenticata di avere davanti a me una persona, non un
robot, non altro. Cortesia e accortezza che non mi è stata ricambiata, ma…
vabbé! È proprio vero che scivola via in fretta la delusione, quando in fondo
non ci (non mi) importa. Quando c’è la volontà di capire, invece, è tutta un’altra
storia. Allora, torno a sentirmi quella persona che non è stata capita. Quale è
stata la mia colpa? Cosa c’è stato di non chiaro? Perché? Cosa ha permesso, al
di fuori, di vedermi come qualcuno che poteva pure soffrire, tanto che
importanza ha? Perché il mio dolore non è riuscito a mettere un freno? Perché?
Io tutte queste cose non le ho capite. So che però porto addosso la
cicatrice. So anche di coltivare ancora in me la speranza di riuscire a capire,
un giorno. Ma se dimentico i film a lieto fine e, come anche prima, immagino
che possa esserci anche un ‘negativo’… so che potrei anche continuare a sperare
invano. Perciò… mi affido ancora una volta a qualcosa che è stato mio nonno a
insegnarmi (non per diretto intervento, ma era una cosa che la nonna mi ha
raccontato. Non è stata l’unica persona a dirmelo, ma è a queste due figure
familiari che voglio legare il tutto): Accade solo ciò che deve accadere. Se è
destino che io riesca a riaffacciarmi al labirinto, ad attraversarlo senza
inciampare e ad uscirne… succederà. Chiudo lo sfogo. Senza rileggere. Come fosse
la pagina di un diario che sono pronta a girare. Mi scuserete.
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