Martedì 3 ottobre: secondo giorno con il micio.
Con la sveglia che suona presto e una buona dose di sonno arretrato
che – immagino – non riuscirò più a smaltire, mi rendo conto a stento di ciò
che accade intorno, di non avere cacche sparse in giro per i pavimenti di casa,
delle crocchette nella ciotola che sono sparite e del fatto che – udite, udite!
– il gattino se la dorme della grossa in bagno, sopra al suo adorato pacco di
carta igienica.
Rimango ad osservare il suo respiro regolare per un po’, prima di
giungere alla felice conclusione che: non ha fatto un frizzo per l’intera
notte. Oddio! Sempre che il sonno arretrato non abbia deciso di estinguersi rendendo
pesantissimo quello dormito e le mie orecchie non si siano fatte dure, al punto
da non avvertire neppure il miagolio più fastidioso. Non è un’ipotesi da
escludere.
Con un piccolo dubbio a darmi fastidio, dunque, cerco di stabilire almeno
qualche certezza. Ne acciuffo un paio così, su due piedi, aspettando che la
macchinetta finisca di preparare il caffè. Primo: il cuscino sistemato accanto
alla lettiera non è una zona relax di gradimento al gatto. Occorrerà valutare
il suo attaccamento al bagno nei giorni a venire e stabilire il da farsi.
Secondo: a dispetto dei pronostici ricevuti, sempre escludendo l’ipotesi
di cui sopra, per la quale le mie orecchie potrebbero non aver fatto il loro dovere,
nonostante il gattino sia stato abbandonato solamente due settimane prima e per
quanto quell’affido possa essere fresco, pare che abbiamo sfangato alla grande
la nostra prima notte di convivenza. Fiù! Sospiro di sollievo.
Un sollievo che cerco di portare con me al lavoro e che mi sento di
avere ancora, un attimo prima di girare la chiave nella serratura; al rientro.
Ok. Dannatissimo ottimismo e maledettissimo vizio di tirare
conclusioni affrettate.
Mentre immagino di poter rientrare in casa, preparare una bella tazza
di tè alla menta piperita, rilassarmi con una doccia calda al profumo di
muschio bianco e sistemarmi comoda dentro una tuta fresca di bucato, prima di
potermi accoccolare sul divano con un libro in mano, lo scenario che si
presenta davanti agli occhi, al dì là della porta, è quello che sbrigativamente
si potrebbe definire: l’esatto contrario.
Il tappeto dice WELCOME, ma… il bisognino marrone poco lontano da lui
non sembra voler essere un messaggio altrettanto invitante.
Ok. Calma.
Magari, al gatto nemmeno la lettiera va poi così tanto a genio. O,
forse, è vero che non è così semplice addomesticare un micio diffidente.
Cacca accanto al tappeto a parte… dove è Silver?
Rimane ancora il problema di non poter far conto sul fatto che
risponda al suo nome, ma – poiché da qualche parte bisogna pur cominciare –
inizio a girare per casa annullando il silenzio con il suono di quella parola.
Nisba! Come immaginavo.
Cerco al bagno, ma niente da fare.
Con tutte le altre porte di casa chiuse, sento arrivare di nuovo i
brividi che precedono il panico, all’idea di dover passare altri trenta minuti
anche stasera a dare la caccia a un gattino che non vuole farsi vedere.
Sfuma l’idea della tazza di tè. Qualunque cosa io voglia a ingerire,
sento che potrei vomitare per la tensione. Cerco di rimanere ferma sul progetto
di una doccia rilassante, ho l’impressione che mi servirà (e anche parecchio),
dopo che sarò riuscita a concludere la mia caccia.
Sto sinceramente pensando di fregarmene del gattino e di rassegnarmi
all’idea che prima o poi dovrà pur farsi vedere, quando lo sento soffiare mentre
ispeziono per l’ennesima il bagno.
Stavolta è nascosto per bene, sotto l’ultimo ripiano del mobiletto,
sopra la bilancia che – nonostante sia ad accensione automatica – rimane spenta.
Deve essere una piuma… beato lui!
“Eccoti qui! A quanto pare ci siamo divertiti ad imbrattare la casa
oggi, eh?!?”.
Ok. Livello sanità mentale drasticamente sceso al limite minimo.
Faccio domande a un gattino che neppure mi conosce e mi aspetto
persino di ricevere un qualche tipo di risposta. Forse è una chiacchierata per
rimandare l’inevitabile appuntamento con la cacca da asportare. Sì! mettiamola
così.
Sto già andando a prendere guanti, spray disinfettante, sacchettino e
carta assorbente, quando un miao fortissimo mi coglie di
sorpresa.
Per essere tanto piccolo da non venir rilevato neppure dalla bilancia,
ha una cassa toracica da fare invidia a quella di un tenore.
Per tutti i gatti spelacchiati del mondo!
Provo ad afferrarlo per prenderlo in braccio, ma si allontana di corsa
e mi soffia.
Mi allontano io, miagola di nuovo e con insistenza.
“Se mi dai modo di pulire, di sistemarmi un po’ e ti lasci prendere,
magari poi possiamo stare un po’ insieme sul divano. Che ne dici, ti va?”.
Come se un gattino abbandonato possa avere la più pallida idea di cosa
sia un divano. Il mio livello di sanità mentale deve stare scendendo in
picchiata.
“MIAOOOOO! MIAOOOO! MIAOOOO!”.
Ok. Io ho dei progetti chiari in testa, ma lui non è disposto a
collaborare.
Panico!
Dopo i primi quindici minuti di miagolii ininterrotti, dove ho pulito
il pavimento alla velocità della luce nel tentativo di riuscire ad afferrarlo per
calmarlo un po’ e dove mi sono chiesta almeno un’infinità di volte perché mai
avessimo deciso di annullare la tranquillità della nostra routine quotidiana in
quel modo, a momenti non mi metto a urlare anche io per sovrastare i suoi
lamenti.
I pesci non miagoleranno, vero, ma alle volte può essere anche meglio.
Serve un pezzetto di formaggio per convincere il micio a fidarsi di me
e a lasciarsi prendere.
Provo con del groviera. Nisba!
A trenta minuti di ‘MIAOOO’ ininterrotti, mi ricordo dei vicini di
casa ed esco un attimo fuori della porta per capire quanto quel piccolo, nuovo
arrivato riesca a farsi sentire fuori di lì. Fortuna che, almeno le mura,
sembrano reggere bene tutti quei lamenti. Non corro il pericolo di passare per
una torturatrice di gatti. Magra consolazione, ma… ottimismo!
Alle sette in punto comincia a vacillare anche il progetto della doccia
rilassante. Quel che serve è mettersi prima ai fornelli per preparare la cena: Cosce
di pollo al curry.
Preparate una sola volta nella mia vita, spero di avere ancora nel
cellulare gli screen della ricetta presa da internet.
L’occorrente c’è tutto. Pochi minuti e la pentola, ben coperta, già
borbotta sul fuoco. Nei quarantacinque minuti di tempo che serve per la cottura
potrei ancora riuscire a preparare un tè e a fare una doccia veloce, ma il
micio non è dell’avviso di lasciarmi in pace.
Non si fa prendere. Scappa via ad ogni tentativo di approccio e
miagola, miagola, miagola.
Rettifica della certezza numero due: forse è un po’ vero che
approcciarsi a un gattino appena preso non è poi così facile.
“Guarda che, se continui così, ti riporto di corsa dove ti ho preso”.
Una nuova sequenza di miagolii assordanti, per farmi intendere di non
aver capito o che – semplicemente – se ne frega. Per un attimo mi torna in
mente una scena particolare di “Io & Marley” e spero solamente di non
ritrovarmi anche io a impazzire in giro per casa, gridando a tutta voce: “Sbarazziamoci
di quel gatto!”.
No! Posso ancora resistere. L’odore del curry che sta invadendo la
cucina è rilassante quasi quanto quello del muschio bianco che avrei dovuto
annusare sotto la doccia.
Ma, sì! Il micino ha solo bisogno di abituarsi a questa sua nuova
condizione. È solo questione di tempo.
Alle diciannove e trenta non riesco più ad essere lucida.
Faccio la doccia.
No! Non la faccio.
Faccio la doccia.
No! Non la faccio.
Potrei rimandare a più tardi, aspettando di non essere più sola con
lui in casa.
Cerco di nuovo di afferrarlo e, stavolta, ci riesco.
Riesco a portarlo con me sul divano, anche se è difficile farlo fidare
al punto da stare appoggiato sulle mie gambe.
Gli piace il cuscino rosso con i cuori bianchi e, almeno per un po’,
sembra riuscire a tranquillizzarsi.
Riesco ad accarezzarlo con ritmo regolare. Niente fusa, ma… almeno, ha
smesso di miagolare.
Sono dieci minuti di quiete bellissimi, prima di…
“Cos’è questa puzza?”.
Oramai parlare da sola, ad alta voce, è già abitudine.
Mi avvicino alla pentola sul fuoco con il timore di sollevare il
coperchio. Silver scappa di nuovo e ricomincia a piangere.
“No! Non è possibile. Il timer non è suonato, non può essere”.
Cosce di pollo al curry… bruciate.
La chiave che gira nella serratura. Non ho il tempo di fare niente.
Silver che si affaccia dal bagno e sembra lo faccia per salutarlo. Il
diavoletto che sembrava essersi impossessato di lui è sparito.
Non piange più, almeno quello è un sollievo. Continua a non farsi
prendere, ma rientra nella norma.
“Come ve la siete cavata voi due?”.
“Alla grande!”, mento.
“Cos’è questa puzza?!?”.
“Hmm… niente! Tra le diverse cose da sistemare e Silver che si è fatto
coccolare un po’… ho bruciato la cena”.
Guarda in pentola. Le cosce di pollo al curry hanno un aspetto
pietoso.
“Che peccato!”.
“Sarà per la prossima. Che ne dici di una pizza da scongelare?”.
Ho dieci minuti di tempo per fare una doccia.
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