Nove, meno due, sette. Sono già passati sette giorni. Ore 19.30. Sono
sette giorni esatti. Mi sforzo di ricordare com’è che tutto è cominciato. È stato
più di sette giorni fa. Seduti sul divano, guardando un film in dvd appena
noleggiato e non particolarmente interessante, ci siamo lasciati distrarre dal
rumore di sassolini che si muovevano sul fondo del piccolo acquario a palla che
abbiamo in casa. Non potendo trattarsi di una lotta per il cibo, ho provato ad
immaginare che i nostri due pesciolini stessero improvvisando una sorta di
danza subacquea. Mai sentito parlare di qualcosa del genere; però.
Ad ogni modo, è stato il rumore dei sassolini sul fondo dell’acquario
a farci sentire la mancanza di qualcosa di più. Per quanto possa essere bello,
un pesce rimane pur sempre un pesce e… beh! Dopo cinque minuti che lo osservi nuotare
per i fatti suoi, ne hai già abbastanza e il desiderio di un po’ di ‘compagnia
non-umana’ rimane intatto lì dov’è, da qualche parte in mezzo ad altri pensieri
e – perché no! – in un piccolo angolino di cuore.
«Perché non prendiamo un gatto?».
Non mi strozzo con il tè alla cannella solo perché sono riuscita ad
ingoiare un attimo prima di arrivare a quell’interrogativo.
«Un gatto?!?». Stento a capire se l’ho urlato, oppure no.
Con gli occhi sgranati per la sorpresa aggiungo anche: «E dove caspita
pensi che potremmo metterlo un gatto? In questa casa entriamo a malapena noi
due!».
Ok. I pesci erano stati un mio desiderio, ancor prima di girare la
chiave di casa nella serratura per la prima volta. Anche la chiocciola africana
(si rimandano ad altri post ulteriori delucidazioni in merito), che – con la
sua piccola scatola trasparente – è arrivata a tenerci compagnia appena un mese
fa è stata, per così dire, il coronamento di un sogno di bambina. Stando alle
regole della buona convivenza, se adesso lui si fa avanti con il desiderio di
avere un gatto… a rigor di logica… trattandosi di una democrazia e non di altro…
no! Non posso oppormi.
Insomma… so di non potermi opporre, ma provo comunque a dissuadere. E riesco
a tener testa al discorso con le mie argomentazioni per un po’, fino a che non
lo vedo armeggiare con il cellulare in cerca della pagina Facebook dell’Enpa e –
di fronte ad una carrellata di fotografie di cucciolini incantevoli – non mi
rimane altro da fare che gettare la spugna ed accettare.
Penso di avere almeno un po’ di tempo per abituarmi all’idea e per
organizzare la casa il minimo indispensabile.
Nisba.
Nel sabato libero, in un casuale giro per negozi, a un certo punto mi
ritrovo a spingere un carrello con dentro una lettiera, un sacco di crocchette
per gatto, un sacco di cristalli di silicio per i bisogni del micio e un
cuscino morbido quanto un peluche.
La sera sono con il telefono in mano pronta a contattare una delle
volontarie Enpa. Gentilissima, mi accorda la possibilità di incontrarci il
lunedì.
2 ottobre 2017. Ore 19.
Sono appena uscita dal lavoro e mi sbrigo a seguire con la macchina le
indicazioni ricevute. Quando arrivo a destinazione è come arrivare in una scena
de “La Carica dei 101”, a parte il fatto che quelli davanti a me non sono
quattro zampe di razza canina e non hanno il manto bianco a macchie nere. Non sono
nemmeno 101, a voler essere onesti. Ma l’effetto “Carica” è più o meno lo
stesso.
Chissà dove è il micino di cui mi hanno parlato? Dalle foto ricevute
non ho potuto vederlo bene, perciò è come essere lì per un incontro al buio. Per
quanto mi sforzi di cercare, gli occhi non fanno che imbattersi in gatti ormai
adulti. Fino a che vedo qualcosa muoversi tra i rami di una pianta in vaso a
foglie larghe. Eccolo. È lui.
Mi dicono che è molto diffidente, poiché è stato abbandonato da poco,
ma la cosa non mi spaventa. Non cerco nemmeno di afferrarlo da sola e lascio
che ci pensi la ragazza che è con me a farci conoscere.
«Se decidi di prendere lui, possiamo provare ad abituarlo alla vita
domestica per un po’, prima di consegnartelo», mi dice con il sorriso di chi –
immagino – ha già capito che per gli altri mici non ci sarà partita.
Provo ad allungare le mani e lo afferro per appoggiarmelo addosso. Ha la
coda ben nascosta, ma non sta tremando. Anzi, stando alle parole della
responsabile Enpa, sembra stranissimo il fatto che si fidi di me al punto da
non sentire l’esigenza di graffiarmi e scappare via.
«Ok! Visto che sembrate aver già fatto amicizia, se vuoi lasciamo
perdere con i giorni di addestramento alla vita domestica e te lo lasciamo
portare via subito».
Non. Posso. Crederci.
«Non ho niente con me», dico un po’ balbettando. Ma questo non sembra
fermarla nel raggiungimento di quel lieto fine che la sua mente deve aver già
elaborato.
«Ho un trasportino a disposizione, se vuoi te lo presto e me lo riporti
con calma. Però, non devi sentirti obbligata a prenderlo stasera».
Obbligata. No! Nessun obbligo addosso.
Certo, non è come me l’ero immaginata io. Avevo pensato di scattare
una fotografia e di tornare con calma in due a prenderlo, ma… Ok. Può andare lo
stesso, ne sono sicura.
Sollevo il gattino a mezz’aria per guardarlo negli occhi e domando:
«Che ne dici, gli facciamo una sorpresa?».
Solleva gli occhi al cielo e potrebbe essere un accenno di
esasperazione, ma… potrebbe anche darsi che voglia dire: sì.
Vada per il sì!
«Lo prendo!».
Nessun commento:
Posta un commento