Svegliarsi presto comunque. Gli ultimi preparativi indispensabili,
prima di uscire di casa per andare a spedire una busta che considero
importante. “Non ne verrà fuori niente”, continuo a ripetermelo. Ma non posso
fare a meno di dirmi anche che: “Non provarci porterebbe a niente di sicuro”.
Perciò scorro il testo veloce sul monitor per le ultimissime,
ennesime, puntigliose correzioni. Oddio… puntigliose. Si fa per dire. Anche se
di scrupolo ce ne ho messo tanto, qualcosa è sfuggito di sicuro. Scrivo il
curriculum letterario che serve, compilo la scheda di iscrizione. È tutto
pronto per la stampa. Mi sono svegliata con il timore di non fare in tempo a
fare tutto e, anche se sono appena le dieci e trenta e l’ufficio postale non
chiuderà prima di due ore, non posso fare a meno di conservare quel pizzico di
ansia; che quasi mi fa scordare la busta sopra il tavolo della cucina. Vabbè,
non è grave. Avrei fatto in tempo a tornare indietro a prenderla. Il dramma è
che detesto contrattempi di questo tipo. Per fortuna, allora, riesco a salire
in macchina con la mia busta stretta in mano.
Le concedo di sedermi accanto. Pochi minuti e ognuna se ne dovrà
andare per la propria strada. Delle due, solo io rimarrò in impaziente attesa
di avere sue notizie.
Quei momenti in cui il tempo di un semaforo rosso sembra sempre troppo
lungo. Mi consola poco, anzi pochissimo, che il cd sia arrivato alla traccia
che preferisco. Ho deciso che lo lascerò andare da solo, senza interferire minimamente
nell’ordine di esecuzione, fino a che sarò riuscita a sentire almeno una volta
tutte le tredici canzoni che contiene. Solo così non sarà stato un acquisto
fatto invano.
Scatta il verde. Il parcheggio è poco lontano. Io e la Busta scendiamo
dalla macchina con la consapevolezza di dover fare tappa alla copisteria e la
convinzione, poi rivelatasi errata, di riuscire a fare presto. Apro la porta
trasparente, mentre un signore sta dettando dei codici fiscali. La signora al
computer mi dà l’impressione di essere alquanto preoccupata della fila di
persone che sta aumentando lentamente. Lo spazio per l’attesa è quel che è. Nonostante
tutto, riesce a mantenere un atteggiamento professionale e a scrivere tutto ciò
che serve, fino all’ultima lettera. Io mi sento un po’ meno tranquilla. Rischio
di fare tardi.
Sto già premeditando una sclerata (a trovare il coraggio, potrebbe
essere una soluzione), quando, rivolta a me, dice: “In cosa posso aiutarti?”.
“Dovrei rilegare dei fogli”, appoggio sul bancone il mio plico, un po’
in imbarazzo per il fatto che tutti possano leggere di che cosa si tratta. Bè,
non tutto; tutto. Il titolo, però, è in bella vista. Panico.
“Puoi ripassare tra un quarto d’ora?”.
Nodo alla gola. Che faccio… sclero, o non sclero?
Non sclero. Non solo la timidezza mi impedisce di farlo, ma mi ricordo
di dover fare anche altro all’ufficio postale. Posso andare a sbrigare le mie
incombenze ordinarie e tornare a prendere tutto appena avrò finito. Posso farcela.
Devo farcela.
Mentre cammino in su per la via, cerco di ignorare il freddo. Ma,
cavoli, quant’è pungente! Appena avrò sistemato ogni cosa, vado al bar a
prendere qualcosa di caldo.
Dentro l’ufficio postale, trovo la fortuna dalla mia. Ho due persone
davanti. Magari, sempre!
Con la ragazza dietro il bancone ci conosciamo. È una sorta di ‘da
quanto tempo è, che non ci vediamo?’. Più sintetica delle note biografiche di
un retro di copertina, le racconto i miei ultimi anni di vita, da quando ci
siamo perse di vista. Giusto lo stretto indispensabile, poi torno dalla mia
Busta che mi sta aspettando.
Il tragitto all’insù, anche se insieme, è sempre freddissimo. Rientro nell’ufficio
postale con la speranza che nessuno mi prenda per pazza. Due volte, in meno di
venti minuti.
P 18. È il numero con cui prenoto la mia spedizione. Il biglietto lo
metto nel portafogli, come faccio sempre quando voglio conservare una
testimonianza di qualcosa che è successo. Come se le parole dentro alla busta,
rimaste anche a casa dentro il computer, non fossero più che sufficienti. Quindici
minuti dopo, sono di nuovo fuori. Manca un quarto a mezzogiorno. Qualcosa al
bar ci sta, perché no?
Ho la netta convinzione di vivere giornate incentrate su una parola. Quella
di oggi deve essere: incontri. In realtà, più che un incontro, è una nuova conoscenza.
Qualcuno che inizia a parlarmi, senza che io lo stia nemmeno guardando. Pretende
la mia attenzione.
Mi capita spesso. Non spessissimo, ma ne ho di ricordi del genere. Non
riesco a evitare di sorridere. Quei momenti che potrebbero diventare parole su
carta, in meno di un attimo. Quindi, che faccio? Chiudo qui, per ora. Questa è
di certo un’altra storia.
Alla prossima!
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