«Ho chiamato per assicurarmi che non avessi schiantato la sveglia nel
muro e non ti fossi rimessa a dormire beata. Lo so che è sabato e che vorresti
riposarti, ma è da un secolo che organizziamo questa cosa e non puoi proprio
mancare».
Da quando ho preso l’abitudine a non spegnere il cellulare di notte, è
già la seconda volta che Ilenia chiama alle sei e trenta del mattino. L’altra
volta avevo la febbre e voleva sapere come stavo. Stavolta è tutta in
agitazione per una gita al mare tra amici che… sì! È da un secolo che la stiamo
organizzando.
«Sono sveglia, sono sveglia. Anzi… sono sveglissima e già pronta con
il costume addosso, i jeans corti che abbiamo comprato l’ultima volta, la
t-shirt che mi hai regalato per il compleanno e la borsa fatta».
«Mi raccomando, non dimenticarti la crema solare ad altissima
protezione. Non vorrei che finisci per diventare un peperone, come l’ultima
volta». Niente da fare. Quando è così, potrei anche dire di essere in compagnia
di un alieno.
«Ripeto… ho fatto la borsa e c’ho messo dentro tutto, crema fattore
cinquanta compresa».
«Benissimo! Allora… ecco… cinque minuti e sono da te».
No. Non mi convince. Primo:
perché Ilenia detesta la parola benissimo. Lei è quel tipo di persona che tiene
l’ottimismo a larga distanza. Secondo: perché Ilenia non è il tipo da pause
quando parla. Se è riuscita a infilarne due in una frase di nove parole, vuol dire che c’è qualcosa che
non va.
«Che c’è?». Lo chiedo con lo stesso tono di una mamma, quando sospetta
che il figlio abbia combinato qualche marachella.
«Niente! ». La risposta non è veloce, è un razzo. C’è qualcosa che non
va. Serve il piano B.
«Ti conosco da più di quindici anni e so riconoscere al volo quando mi
stai nascondendo qualcosa». Di solito, tirare in ballo il fatto dell’amicizia
di lunga data funziona sempre.
«Ok. Tanto, lo scopriresti lo stesso poi. C’è anche lui».
Non c’è bisogno che a quel ‘lui’ aggiunga un nome. Quando si parla di
‘lui’, per me c’è un solo ‘lui’.
«Tutto qui?». Cerco di fare la disinvolta, ma ho il cuore in gola. E
non fosse per il fatto che sono seduta sopra il letto, sono sicura che le gambe
non mi reggerebbero.
«Non… non ti da fastidio doverlo avere attorno per un giorno intero?».
Apprezzo il fatto che Ilenia si preoccupi per me, ma… «In fondo,
sapevamo che poteva esistere un rischio del genere. Quando gli ho parlato,
sapevo esattamente che un giorno avrei potuto ritrovarmi occhi negli occhi con
lui, da semplici amici. Non vedo quale dovrebbe essere il problema. Per caso è
a lui che darebbe fastidio la mia presenza?».
Giuro che se Ilenia risponde di sì schianto il cellulare nel muro. Non
mi va l’idea di essere un problema per qualcuno. Specie se questo qualcuno è
‘lui’.
«Ma… no! Che vai a pensare. Solo che… secondo me non avresti dovuto
parlargli, lo sai. Non si meritava quelle parole». Quando ci si mette, Ilenia è davvero
spietata. Ma, lo so che lo fa perché mi vuole bene.
«Adesso dici così, solo perché le cose non sono andate come speravamo.
Lo so che lo fai per il mio bene e perché non vorresti vedermi soffrire, ma io
non sono pentita di averglielo detto. Anche se mi dispiace per come è adesso la
situazione…. Fossi riuscita a farmi volere bene, a quest’ora tu saresti pazza
di gioia per me e lo adoreresti perché è un bravo ragazzo».
«Sta di fatto che tu adesso non stai bene, perciò non adoro proprio
nessuno».
«Ascoltami… ma, ascoltami sul serio. È l’ultima volta che te lo
ripeto. Non si vive con un rimpianto del genere. Se io non avessi detto niente,
sarei rimasta con il dubbio per il resto della vita. Invece… Così… il dubbio
non c’è più. Gli ho detto che è importante per me e non è successo niente. Tutto
ciò che posso fare è andare avanti e augurarmi sia per me che per lui di essere
felici».
«No… dai… tu non lo pensi veramente», il tono di Ilenia è talmente
stupito che stento a riconoscere il suono della sua voce. «Non vorrai mica
farmi credere che qualunque cosa accadrà in futuro, tu speri che sia felice?
Non puoi volerlo con te e volerlo felice anche senza di te, non è possibile».
«Invece sì! Le cose stanno così, fattene una ragione. Lui per me è
importante, non sono pentita di averglielo detto e vorrei che qualunque cosa
accada fosse felice. Si chiama amore».
«Credo che a casa mia questo si chiami di più… pazzia. Ma, come vuoi.
Ti conosco da più di quindici anni e lo so che la tua testa alle volte è più
dura di un muro di cemento armato».
«Ma… qui la testa non c’entra niente, credimi. È tutto un fatto di
cuore». In due scoppiamo a ridere, prima di decidere che trenta minuti di
telefonata potevano anche bastare.
«Passo a prenderti tra dieci minuti. Il tempo di sistemare le ultime
cose in casa e arrivo».
Quando arriviamo al parcheggio, davanti al bar delle solite colazioni
della domenica mattina, gli altri sono già arrivati. C’è anche lui, anche se mi
sarei aspettata di vederlo arrivare in ritardo.
Mentre scendiamo dalla macchina, ignoro di proposito lo sguardo di
Ilenia. È dura fare finta di niente, ma sarebbe stato peggio continuare a fare
finta di niente all’altra maniera. Per certi versi è vero che la verità rende
liberi. Anche se ci sono situazioni in cui ha la tendenza a incasinare la vita.
Prima di parlarli, avevo preso il bruttissimo
vizio ad abbassare lo sguardo ogni volta che me lo ritrovavo davanti.
Dover sostenere una normale conversazione fra amici, poi… un casino. Dopo
avergli parlato, le cose sono cambiate. All’inizio mi sarei voluta seppellire
viva da qualche parte, ma a distanza di mesi… sì. Riesco a sostenere il suo
sguardo senza vergogna. Gli ho detto che è importante, non che avrei voluto vederlo
morto.
«Chiara… come va?». Rispondo con un cenno della testa, per lasciare
intendere che è tutto ok. Stringo la sua mano, prima di finire il giro di
saluti.
Beh! A dire il vero, una cosa la spero. Spero di non finire in
macchina insieme con lui.
Siamo in dodici, con sette macchine a disposizione. Non avrebbe senso
muoverle tutte per più di cento chilometri. Meglio prenderne tre.
Quando Andrea mi invita a salire insieme con loro, ho un tuffo al
cuore. «Tu e Ilenia potrete parlare fitto, fitto sotto all’ombrellone… adesso
vieni con noi, dai. Così, Sara non si sentirà sola». Sara è la sua ragazza.
Stanno insieme da poco, ma è come se fosse da una vita.
Lui mi lascia passare e io fingo di non accorgermi di essere diventata
rossa in viso. Sento il corpo bruciare e spero di non svenire da un momento
all’altro.
Il silenzio più totale è tutto ciò che ci accompagna per i primi venti
minuti di macchina. Ed è tutto ciò che avrei voluto continuasse, prima di sentirlo
cominciare a canticchiare: «Mai le dirò… che muoio per lei…». Non mi disturba
il suono della sua voce, ma… la canzone sì. Io muoio per lui e gliel’ho anche
detto. «Perché non accendiamo la radio?», la butto lì con freddezza e spero che
capisca.
Luca mi accontenta e per il resto del viaggio io sono a posto. Ascolto
Sara che mi racconta della loro intenzione di sposarsi a breve (niente di
pomposo, giusto una firma in comune e una cena tra amici per festeggiare). Di
tanto in tanto dico la mia sull’argomento, mentre cerco di mantenermi calma e
di arrivare in spiaggia rilassata.
Raggiungere l’ombrellone è una pena. Sono solo le dieci e mezza di
mattina e la sabbia scotta come se fosse la piastra rovente di una stufa.
Sono l’unica ad avere tolto le scarpe, prima di sistemarci con le
sdraio. Perciò, mi ritrovo a saltare come fossi un canguro impazzito.
«Allora… come è andata questa convivenza forzata?» Ilenia cerca di
essere spiritosa, ma lo vedo che è preoccupata per me. «Ti prego, Chiara.
Quando ti ho consigliato di non dirgli niente e di aspettare che fosse lui a
parlare non mi hai ascoltata. Adesso, almeno… ti prego. Non permettergli di
massacrarti. Sorridi. Sorridi sempre e si forte e non permettergli di usare
contro di te quello che sa». Non posso risponderle come vorrei perché gli altri
si avvicinano a noi e non mi lasciano il tempo di fare uscire le parole, ma
apprezzo la sua vicinanza. «Tranquilla!», le strizzo l’occhio e le regalo un
sorriso. Ilenia sa che con lei non potrei mai fingere. Mi sto tutelando ed è
vero.
«Ok! È ancora presto per inaugurare la stagione dei bagni, ma per una
passeggiata mi sembra il momento perfetto». Mi cospargo di crema per essere
sicura che il sole non mi freghi al primo impatto, indosso il berretto con la
visiera che avevo messo nella borsa e mi avvio verso l’acqua.
Da piccola ero in grado di passare ore, a giocare con le conchiglie in
riva al mare. Da grande non gioco più, ma camminare a passo lento con l’acqua
che carezza i piedi solo di tanto in tanto e quanto di più bello e rilassante
possa esserci.
Saluto gli altri, che già stanno programmando una mega sfida a
briscola, e mi avvio.
Oltrepassate diverse file di ombrelli comincio a non rendermi più
conto di quanto possa aver camminato. Anche questo è un aspetto che mi piace
del camminare in riva al mare. Il più delle volte lo si fa tanto per fare,
senza la pretesa di raggiungere una meta o di percorrere chissà quale distanza.
L’idea è quella di non fermarsi
mai e di tenere a freno la tentazione di mettersi ad esaminare i sassolini e le
conchiglie che giocano con la spuma delle onde. Ma quando gli occhi mi cadono
su una bambina alle prese con un castello pericolante, non riesco a
trattenermi.
«Che bello…. L’hai fatto tu?». La piccola annuisce, facendo danzare la
coda di cavallo nella quale ha raccolto i splendidi capelli biondi. «Però… non
è proprio così che l’avevo immaginato». Mi inginocchio vicino a lei, mentre
riprende a darsi da fare perché essere un castello di sabbia non significhi per
forza essere fragile.
«Non preoccuparti… alle volte le cose non vanno come ci aspettiamo, ma
non per questo è tutto da buttare». Prendo le conchiglie che ha appoggiato vicino
al secchiello vuoto e ne sistemo un po’ a coprire il leggero spacco che rovina
il suo lavoro. Dopo che ho finito, l’aspetto è decisamente migliore.
«Visto… ho o non ho ragione?». La bimba sorride e mi abbraccia senza
pensarci due volte.
«Posso complimentarmi con voi?». È lui. Riconoscerei la sua voce anche
fossi dentro a una discoteca rumorosa e con i tappi alle orecchie. La bimba si
spaventa, ma è giusto un attimo. «Non preoccuparti, è un mio amico». Mi alzo e
le sorrido di nuovo, prima di decidere che forse è meglio lasciarla ai suoi
giochi. «Ora devo proprio andare, ma mi ha fatto piacere conoscerti e poter
giocare un po’ con te».
Riprendo a camminare, ma la sabbia sotto i piedi non ha più lo stesso
sapore.
«Si può sapere che vuoi?». Lo aggredisco, nella speranza che il suo
orgoglio abbia la meglio, che volti le spalle e che torni in fretta
all’ombrellone. Niente da fare. Io sono cocciuta, ma quando vuole lui lo è di
più.
«Ho bisogno
di parlare un po’ da solo con te».
«È questo ciò che hai detto agli altri? Che provavi a raggiungermi
perché vorresti parlarmi da solo?». Storce il naso, prima di rispondere: «No!
Ho detto che andavo a fare una nuotata per sgranchirmi un po’, ma…», si blocca
giusto un attimo, mentre io cerco di reggere il suo sguardo. «Ilenia ha capito
e mi ha guardato male. Immagino sia stato il suo modo di chiedermi di lasciarti
in pace».
«Già! L’ho addestrata bene». Scoppio a ridere, ma tutto ciò che vorrei
fare sarebbe mettermi a piangere.
«Non me ne andrò, nemmeno se me lo chiedi». È sicuro di sé e per un
attimo fatico a reprimere la forte tentazione di cadergli tra le braccia.
«Voglio sapere perché non hai detto altro, dopo quel giorno». Ecco. Questa sì,
che è bella!
«Come, prego… forse, perché non toccava a me parlare?». Potrei essere
scambiata per una bandiera italiana. Verde per la rabbia, bianca per lo sforzo
immenso di non svenire e rossa per il caldo.
«Ti ho detto di essere importante per me, cos’altro ci sarebbe stato
da dire?».
«Un ‘sei importante’ non è un ‘ti amo’, però. Non dà la certezza di
cosa provi per me. E se domani…».
Se. Che orrenda parola… se. Nella vita non ho sempre tutto chiaro, ma
i ‘se’ li detesto. Non in generale, li detesto quando si parla di sentimenti.
Poi… Poi, mi torna in mente quella canzone. Quella che gli ho sentito cantare
spesso e che trovo senza senso su noi due.
«Ok… adesso basta! E se domani… non ho la certezza
matematica che fili tutto liscio, questo no. Siamo due teste dure. A volte
basta una mezza parola storta per farci scattare, ma… è perché siamo fatti
così. L’amore può vivere anche in mezzo a qualche litigio. Nessuna coppia è una
coppia perfetta. Gli alti e bassi non c’è verso di tenerli alla larga in nessun
modo, ma…». Non ha mai smesso di fissarmi e so che è consapevole che muoio
dentro ai suoi occhi. «Ma?».
«Ma… non esiste persona al mondo che mi faccia sentire bene come mi
fai sentire bene tu. Non c’è essere umano sulla faccia della terra, in grado di
farmi passare dalla rabbia al sorriso… come sai far tu. Vicino a te mi sento a
casa, al sicuro come non lo sono mai stata. E’ sufficiente, perché il domani
non sia più così spaventoso?».
Non parla, non sorride, non fa niente.
Prendo un bastone di legno levigato dal mare, abbandonato
sulla spiaggia dalle onde e scrivo sulla sabbia: Tu sei importante per me.
Poi, prima che lui possa aggiungere qualcosa, cerchio alcune lettere. Prima la
T, poi la I… la A, la M e la O. Lui mi prende per mano, sfila il bastone tra le
dita e scrive sotto alle mie parole: Tu si ‘na cosa grande per me. E le note
della canzone d’amore più bella spazzano via quelle più incerte sul futuro.
Torno con la mano nella sua. Insieme, ci tuffiamo in
acqua.
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