domenica 16 marzo 2014

Una storia a puntate. #3

Una storia a puntate. #1

La porta scorrevole li lasciò passare, salutandoli con il cigolio con cui salutava chiunque avesse intenzione di entrare o uscire di lì; da più di cinque mesi ormai.
«Chissà se con l’anno nuovo si decideranno a dare una controllatina al meccanismo. O… magari preferiranno aspettare che la porta si blocchi del tutto. Tanto… si sa come va a finire sempre, con queste cose».
Alice non si poteva definire una persona polemica. Non a prescindere, perlomeno. Ma… esistevano cose o situazioni per cui le bastava veramente un niente per uscire fuori di testa e per dare di matto; letteralmente.
Per quel che riguardava Giordano, non tutto ciò che lo circondava – pur se fastidioso, come il cigolio di una porta scorrevole – poteva essere un suo problema.
Gli bastava avere la testa carica di pensieri, per quel progetto non ancora portato a termine e il cui esito era ancora piuttosto incerto. Perciò… guardandola con l’espressione tipica di chi stava camminando a braccetto con la fretta e con la tensione, si limitò a rispondere in modo molto maschile e con l’altrettanto maschile e tipica nonchalance: «Mah! Io non c’avevo neppure fatto caso». A sottintendere che secondo lui non era una cosa grave, che secondo lui era inutile preoccuparsene e che… beh… Sì! Che erano lì per una ragione più importante e imminente; altro che meccanismo della porta.
Venti passi contati, prima di arrivare di fronte al banco frigo di latte, burro e formaggi vari tagliati e confezionati a spicchi.  
«Bene! Da dove si comincia?».
Un’altra cosa di cui Giordano era beatamente all’oscuro, ma con cui stavolta – per forza di cose – avrebbe dovuto fare i conti, era il caos che poteva regnare in un supermercato in un giorno di festa, quando tutti sono concentrati a tenere sotto controllo e a risolvere (quando possibile) i preparativi dell’ultimo minuto.
Per Alice fu quella l’occasione giusta per sfoderare tutta la nonchalance femminile di cui era capace e per dimostrarsi all’altezza per riuscire a fronteggiare la situazione.
Una giungla; per dirla in due parole. Il supermercato a quell’ora, di quel 31 dicembre 2013, era una vera e propria giungla.
Giordano fece appena in tempo a spostarsi dalla traiettoria di un bimbetto di sei o sette anni che, trovati gli yogurt preferiti, stava stringendo forte, forte il suo bottino e stava correndo in direzione di quella che immaginò essere la mamma munita di carrello.
«In verità… ho continuato a pensarci per tutto il tempo che siamo stati in macchina», il che equivaleva ad ammettere di essersi sforzato in una riflessione non più lunga di cinque minuti, «ma… non credo di volermi cimentare in piatti particolarmente elaborati, per questa cena. Non voglio stupirla con la presentazione delle pietanze, voglio di più essere sicuro che ciò che mangeremo le piacerà». In un mondo dove la maggior parte delle cose vengono fatte per apparire, avere chiara una cosa del genere poteva essere un buon punto di partenza.
Alice cominciò a guardarsi intorno con l’espressione tipica di chi conosce alla perfezione la disposizione dei prodotti sugli scaffali e deve solamente decidere quali andare a trovare e quali no.
«Partiamo dagli antipasti, vuoi?».
Giordano rimase per un attimo a fissarla, mentre lei era già arrivata all’altro banco frigo che era quello delle salse di vario tipo per i crostini, del salmone confezionato per tutti i gusti e per tutte le esigenze, dei formaggi spalmabili, delle mozzarella (di bufala e non) e degli affettati sottovuoto.
«Se deve somigliare almeno un po’ ad un cenone, non può mancare qualcosa di pesce. Che ne dici di cominciare con dei crostini di salsa tonnata guarniti con capperi, di proseguire con un insalata di gamberi in salsa rosa e di concludere con del salmone affumicato a fette, condito con olio, limone e pepe rosa?». Giordano avrebbe voluto far presente di non aver mai sentito parlare prima di pepe rosa, ma... continuando a comportarsi come fosse stato un alieno su quella terra, si limitò ad annuire.
C’era da dire che Alice sembrava esattamente cosa stesse facendo e sembrava che quella sua affermazione sul voler essere sicuro più della sostanza, che dell’apparenza, le fosse bastata per avere le idee più chiare delle sue per quella serata.
Si spostarono in fretta nel reparto della pasta di grano duro e di quella pronta all’uovo.
Stavolta Alice propose ciò che aveva in mente, come se stesse semplicemente dando un parere: «Io farei degli spaghetti alla chitarra con vongole, pomodorini e prezzemolo. Che ne dici?».
Alessio annuì. Non amava moltissimo le vongole, ma tutte le volte che si era ritrovato a mangiare al mare con gli amici erano servite a fargli capire che si trattava comunque di un piatto forte, tra i primi di pesce.
A quel punto, allora, provò a pensare lui a un secondo. Ricordava alla perfezione tutti i venerdì passati in cui sua madre si era ostinata a preparare il pesce per cena. Perciò non gli rimaneva che risolvere il classico imbarazzo della scelta.
Proporre il salmone in qualche modo poteva essere interessante, ma forse un po’ ripetitivo. Ritrovarsi di fronte ai classici filetti di platessa infarinati e conditi con una spruzzata di limone poteva ridurre la cena a qualcosa di troppo semplice. Una frittura mista poteva sembrare un secondo piatto un po’ troppo pesante, ma… trovato!
Le bistecche di pesce spada potevano essere tanto interessanti e gustose, da fare proprio al caso suo. Anche queste guarnite con capperi, ma con l’aggiunta di piccoli pezzi di scorza di limone e con qualche oliva nera in qua e in là. Immaginava che nessuno avrebbe potuto trovare da ridire.
«Dove è che si trova il pesce surgelato?». Il sorriso che aveva stampato in faccia era di quelli sicuri. Ma... nonostante non avesse chiarito a che cosa gli servisse saperlo, Alice lo bloccò subito: «Non sarebbe meglio acquistare il pesce fresco al reparto pescheria?». Lei era consapevole che avrebbe significato fare una fila interminabile, armati solo di pazienza e di buone intenzioni, ma Giordano ne era beatamente ignaro e, sempre beatamente ignaro, piegò la testa a rispondere di sì.
Quando si piazzarono di fronte il bancone del pesce vedere i prodotti esposti era tanto impossibile quanto vincere al Superenalotto senza aver giocato la schedina.
C’era il numero da prendere e c’era da reggersi forte nel capire di avere davanti più di trenta persone. Del resto è risaputo che per un buon cenone serve del buon pesce e che per del buon pesce non si può fare affidamento sul reparto surgelati del supermercato. Anche fosse il reparto surgelati più rifornito del pianeta, nessun prodotto in scatola sarebbe in grado di eguagliare il sapore dello stesso prodotto fresco.
Alice era tutta intenta a tenere su il morale di Giordano, che cominciava seriamente a pensare di essersi messo in un’impresa più grande di lui, quando una voce alle spalle arrivò a distoglierla dalla missione.
«Alice!». Il tono dell’esclamazione non era quello tipico di chi non ti rivede da un sacco di tempo ed è felicissimo di imbattersi in te. Piuttosto era quello famigliare di qualcuno che ha avuto a che fare con te per un sacco di tempo e avrebbe sperato di non doverti rincontrare mai più, ma… già che c’era…
Gli occhi di Alice rimasero fissi in quelli di Giordano per qualche secondo. Fino a che, in effetti, fu proprio necessario voltarsi e salutare chi aveva già dato segno di averla notata in mezzo a tutta quella folla di gente in attesa.
«Matteo». Avrebbe potuto aggiungere un ‘anche tu da queste parti?’, ma le parve una cosa stupida da dirsi e per questa ragione tacque.
Matteo si era un po’ appesantito dall’ultima volta che si erano visti, ma i lineamenti del suo viso rimanevano comunque bellissimi. Forse sembrava più robusto perché, a ben guardare, doveva aver cominciato ad andare in palestra. Dopo un po’ che si erano conosciuti Alice aveva smesso di contare le volte in cui erano finiti per litigare a causa di quella sua mania per gli esercizi fisici, ma si consolava almeno nel vedere che tanta discordia non era stata manifestata invano.
Non avrebbe saputo dire bene il perché, ma l’idea che qualcuno spendesse tanto tempo appresso al muscolo dal scolpire era qualcosa che semplicemente la repelleva. Forse perché non era mai stata un fuscello di ragazza e aveva sempre dovuto lottare contro le menti, a suo parere ristrette, di chi le diceva di tenere alla larga i chiletti di troppo. O… forse perché odiava quel modo di fare che apparteneva alla maggior parte dei palestrati di sua conoscenza (senza generalizzazioni, per carità), con quella tipica faccia sicura e con quegli sguardi dall’alto in basso, che sapevano di accusa costante contro chi – come lei – troppo spesso forse si lasciava tentare dai piaceri della gola.
«Sempre ridotta all’ultimo momento, è? A quanto pare… è proprio vero che le cattive abitudini sono dure a morire». Un senso dell’umorismo efficace quanto il solletico fatto sulla pancia dalla punta leggera di una foglia secca. Alice si limitò a guardarlo male, evitando di sottolineare ciò che sembrava apparire ovvio a tutti, fuorché a lui. Se si erano incontrati lì, entrambi a quell’ora ed entrambi in fila per il pesce, voleva dire che non solo lei era un’immancabile ritardataria.
Con Giordano che non sembrava per niente sentirsi di troppo e che non aveva smesso un secondo di fissarla, da che Matteo si era materializzato dal nulla davanti a loro, Alice cercò di respirare profondamente, prima di controbattere: «c’è momento e momento. In alcuni casi… ridursi a una decisione dell’ultimo momento è ammesso».
Con quella risposta, per lei la conversazione era semplicemente da considerarsi morta lì. Ma, Matteo non sembrava pensarla allo stesso modo.
«Lo so che non mi hai ancora perdonato, ma… se mi sono avvicinato per parlarti è anche per questa ragione. Che tu sia d’accordo o meno, credo che ci siano delle cose che dobbiamo ancora chiarire».
Fu allora che la pelle di Giordano cambiò colore e che, immischiandosi, si ritrovò a dire: «Penso sarebbe meglio rimandare, di qualunque cosa tu stia parlando. Io e Alice adesso siamo un po’ occupati».
In effetti… c’era da domandarsi come mai Matteo non avesse tenuto minimante in considerazione il fatto che Alice non fosse sola, in fila davanti al banco del pesce fresco del supermercato. Ma… se Matteo era quel Matteo di cui Giordano aveva sentito parlare al lavoro, non c’era nemmeno tanto da stupirsi se molte cose che si ritrovava sotto il naso gli sfuggivano.
Si era aspettato di ricevere un’occhiataccia e, tuttalpiù, un’altra battuta che non sarebbe stata in grado di far ridere nemmeno l’individuo più facile alla risata al mondo. Ma, ciò a cui Giordano non era preparato era vedere Alice reagire come se quella richiesta di chiarimenti fosse del tutto normale.
Lei si girò con quell’aria compassionevole che solo le donne riescono ad avere, in certi momenti. Aveva gli occhi un po’ lucidi e le labbra sembravano cedere ad un piccolo tremore, di tanto in tanto.
«Non vorrai mica dirmi che hai intenzione di concedere un chiarimento a questo tipo qui? Ti ha lasciata più di un anno fa. Ti ha spezzato il cuore senza pietà e senza permetterti di aggrapparti ad una qualche spiegazione».
Alice continuava a fissarlo, rimanendo in silenzio. Ma, in quel caso Giordano non aveva ancora finito con le parole.
«Io non ti capisco. Giuro che non ti capisco. È una cosa finita, si o no?», anche lui non aveva timore alcuno a sostenere lo sguardo.
Alice mosse la testa, in un sì appena percettibile. L’espressione di Matteo sembrò accusare il colpo, ma Giordano non era ancora del tutto soddisfatto. «Se è così, non vedo cosa ci sia ancora da chiarire. Non sempre si è in tempo per le spiegazioni. Ci sono ragionamenti che arrivano in ritardo e che, proprio per questo, nascono e muoiono inutili».
Poteva dire di aver fatto il suo, impedendo alle parole di morirgli dentro. Poco, ma sicuro, non era stato però sufficiente a convincere Alice a non cedere.
«Sono sicura che, in tutto ciò che ti manca da scegliere per questa sera, te la caverai benissimo. Non hai bisogno del mio aiuto… davvero».
A quel punto, a Giordano sembrò di non avere altro da aggiungere. Avrebbe voluto dire che non era per la sua cena ancora da organizzare che lo diceva, ma non lo fece.
Rimase con il suo numero in mano, lasciando che Alice uscisse dal supermercato insieme a Matteo ‘faccia-da-schiaffi’.
«Già. Non preoccuparti… saprò cavarmela da solo. Andrà tutto benissimo».

domenica 2 marzo 2014

Una violetta... per un desiderio!


Sentire sotto ai piedi la terra bagnata ed eccessivamente morbida era il chiaro segno che per troppo tempo non aveva fatto che piovere. I raggi del sole, i primi dopo tanti giorni di nuvole grigie e di pesanti gocce d’acqua, davano fastidio agli occhi. Tanto, da sentire la necessità di schermarli con una mano.
La piccola Viola stava camminando, insieme con la zia. Il verde del grande prato tutt’intorno era tutto ciò che i suoi occhi di bimba riuscivano a percepire.
Avrebbe voluto portare con sé l’aquilone, ma il vento non era abbastanza forte dal lasciare sperare che sarebbe riuscito ad alzarsi in volo. Per questo, allora, si era accontentata di fare uscire di casa il vecchio, fidato Tobia. Tobia era un peluche a forma di cane che, nonostante l’aspetto pulito e leggermente arruffato, ne aveva già viste di tutti i colori. Era stato per Viola il primo, morbido regalo e – a sconcerto di chi le aveva regalato per il compleanno qualcosa di decisamente più moderno, colorato e accattivante – quel peluche era stato da subito tutto ciò che Viola aveva sempre voluto avere con sé. Guai a uscire di casa per seguire la mamma al supermercato, se anche Tobia non era nel passeggino. Assolutamente no al fatto di prendere in considerazione l’idea di andare a trovare i nonni nella casa di campagna (dove poi – di solito – Viola e genitori avevano l’abitudine di fermarsi per un giorno intero), se anche Tobia non era stato caricato in macchina insieme a tutto il resto.
Viola e Tobia facevano colazione insieme, giocavano sul divano insieme, si divertivano a fare le capriole sul pavimento insieme, insieme guardavano la televisione prima e dopo aver cenato e – sempre insieme – si coricavano nel piccolo, accogliente letto della bambina; per dormire quel tanto che bastava a due spiriti energici come i loro, prima di una nuova, grande giornata di avventure domestiche.
Nonostante questo però… non v’era dubbio che non solo Viola non ne avesse ancora abbastanza di Tobia, ma anche che… Tobia non sembrava essere ancora tanto stanco da accettare tranquillamente l’idea di essere messo da una parte. Nessuno dei due, per dirla con poche parole, sembrava avere la minima intenzione di fare a meno della buona compagnia dell’altro.

Viola era una bimbetta sveglia. Capelli ricci, biondi e lunghissimi. Un nasino buffo e quasi sempre arrossato, che in molti si divertivano a chiamare ‘nasino patatino’. Non che le dispiacesse. Oltre a non essere una bambina permalosa, Viola incarnava tutto ciò che un  bambino di quell’età dovrebbe essere. Quando la scuola è una realtà ancora abbastanza lontana, ma non si è nemmeno tanto piccoli da non capire il verso delle cose. Anzi... quando si è piccoli, si possiede il dono di vedere il mondo con occhi speciali e anche il cuore reagisce sempre bene (o quasi) a tutto ciò che ci viene riservato. Per questa ragione, quando zia Lucia richiamò la sua attenzione utilizzando proprio quelle due strambe parole, Viola non fece un frizzo. Si limitò prima a guardarla, in un secondo momento le sorrise e, alla fine di tutto, le si avvicino tanto da arrivare a prenderla per mano; per convincerla a fare una corsa insieme.
Qualcosa le diceva che la zia non era del umore giusto, ma Viola evitò di chiederne il perchè.
Inizio a correre velocemente. Tanto velocemente, che zia Lucia faticava sul serio a starle dietro.
In men che non si dica, cominciarono ad avere il fiatone. Ma non per questo Viola si decise a rallentare. Correre era una delle cose più belle al mondo. E quando capitava di poterlo fare in un grande prato, era quanto di meglio si potesse desiderare per una corsa.
Viola correva e sorrideva, sperando che anche zia Lucia riuscisse a fare altrettanto. A volte correva in circolo, a volte correva a zig-zag, altre volte – ancora – correva andando verso la strada. La bimba cercò di lasciarsi andare più che poté e fu felice quando, guardando per l’ennesima volta in direzione della zia, si accorse che l'espressione del suo viso si era addolcita.
L’aria stava perdendo lentamente l’odore della pioggia, ma non si poteva comunque negare che a tratti si sentisse il tipico aroma della terra bagnata. Insieme, continuarono a correre ancora per un po’. Fino a che Viola decise di fermarsi di nuovo e di stringersi di nuovo a Tobia. Povero, tenero Tobia. Non v’era dubbio che quella corsa doveva averlo sballottato troppo!
«Che dici zia… pensi che durerà questo bel sole?». La nipotina avrebbe voluto sedersi sull’erba, come faceva sempre dopo una corsa all’aria aperta, ma… proprio non era il caso di sporcarsi. Poi… chi le avrebbe sentite le urla della mamma alla vista dei pantaloni macchiati di fango?
«Potrebbe. In fondo… dopo tutta questa pioggia…». Lucia sorrise per la prima volta, quel giorno. Lentamente, anche i raggi del sole cominciavano ad essere meno fastidiosi. «Sarebbe bello poter pensare che sia in arrivo la bella stagione, ma… potrebbe anche piovere di nuovo».
La zia rimase a guardare Viola che continuava a muoversi sulle gambe, come faceva sempre quando avrebbe voluto fare qualcosa di diverso da quello che stava facendo.
«Ti va di camminare ancora un po’, prima di andare al bar a prendere una cioccolata calda?».
«Io e Tobia vorremmo arrivare fino al dondolo del parco, va bene?». La nipotina rimase a guardarla. Poi, al sorriso della zia, iniziò a correre.
Il dondolo non era lontano. Quando anche Lucia lo raggiunse, Viola era già seduta sopra alla panchina di ferro e si stava dondolando.
Lucia non ricordava l’ultima volta che le era capitato di dondolarsi su qualcosa del genere, ma guardare la nipote divertirsi tanto la fece sorridere per l’ennesima volta. Guardava lei, il fedele Tobia e…
«Che cosa stringi nella mano?». La mano della bimba era chiusa a pugno e per un attimo Lucia temette che potesse aver raccolto per terra qualcosa che non avrebbe dovuto toccare. In un attimo si sentì il cuore schizzare nelle tempie e riuscì a tranquillizzarsi solo dopo che la nipotina le lasciò vedere che cosa custodiva tra le dita.
«Una violetta? Dove l’hai trovata di questi tempi?».
Viola lasciò Tobia da solo sul dondolo e portò la zia fino alla fontanella d’acqua che c’era nel parco.
Poco lontano dalla colonnina di metallo con il rubinetto, tra il verde delle foglie a forma di cuore, piccole teste viola da cinque petali sbucavano in qua e in là. D’improvviso, allora, Lucia ebbe come l’impressione che in quel punto preciso l’aria avesse un odore buono; quello tipico della primavera. Avrebbe voluto sedersi sopra ai fili d’erba e immergere il naso in quella strana nuvola multicolore, ma non lo fece.
Limitandosi a raccogliere un fiore, disse solamente: «Lo sai che le violette si possono mangiare?». Quelle parole furono come la chiave per una porta sul passato.
Lucia era piccola. La sua piccola mano nascosta e protetta dentro a quella più grande e segnata dal tempo del nonno. Come quella mattina, anche allora il sole aveva deciso di tornare a fare il suo mestiere, dopo giorni e giorni di pioggia e di freddo. L’oliveto di famiglia contava diverse, grandi piante. Ma, una in particolare era la preferita di Lucia. Non perché avesse foglie diverse dalle altre o, quando d’autunno arrivava la stagione delle olive, perché si riempisse di olive speciali; rispetto agli altri alberi d’olivo. Ma… perché buona parte del pedale della pianta era cavo e, dentro a quella cavità in parte ricoperta di muschio, si nascondevano agli occhi di chiunque passasse di lì (per una passeggiata, per raccogliere funghi, asparagi, more o altro) alcune giovani pianticelle di violette. Il nonno le aveva piantate per lei.
« È un fiore molto speciale, le aveva detto non appena furono fiorite per la primissima volta. È il fiore dei desideri». Lucia aveva sempre saputo interrogare le margherite, con quel gioco meticoloso della conta dei petali. Sapeva che anche imbattersi in una coccinella poteva essere segno di buon auspicio. Ma, delle violette… No! Della magia celata tra i petali di una violetta, non aveva mai sentito parlare.
Eppure… non ebbe esitazione alcuna quando il nonno, porgendogliene una dall’intenso colore viola e dal fortissimo buon profumo, le disse: «Mangiala ed esprimi un desiderio. I desideri sono questioni speciali, mia cara. E non si possono affidare solo alle stelle. Come esseri umani, abbiamo il dovere di fare di tutto per essere felici. Ed avere dei desideri e dei sogni in cui credere è forse l’arma più forte che ci è stata data… dopo la Fede». Lucia chiuse gli occhi, stringendo il piccolo fiore tra le dita. Rimase immobile un attimo ad ascoltare i pensieri del cuore e, non appena la mente ebbe trovato le parole giuste per esprimere le sue speranze di bimba, aprì la bocca ed inghiottì il fiore. Il nonno fece altrettanto.
Non seppe mai cosa il nonno avesse desiderato in quel momento, né mai rivelò a qualcuno cosa lei stessa avesse chiesto alla sua violetta. Lucia sapeva di essere stata fortunata e questo le bastava.

Viola sgranò gli occhi dalla sorpresa e continuò a guardare  la zia.
«Proprio così… nasino patatino! La violetta non solo è un fiore che si può mangiare, ma… mangiandolo puoi affidarle un desiderio. Vorresti provare?».
Zia Lucia raccolse altre due violette dal piccolo branco di fiori e mentalmente si trovò a ringraziare il cielo che quel parco, almeno per quel che riguardava quella parte riservata ai giochi all’aperto per bambini di tutte le età, fosse interdetto agli animali. Non che una violetta cresciuta all’aperto, all’ombra di una pianta d’olivo poco lontano da casa, fosse di per sé più pulita di una violetta nata in un parco cittadino, ma… poco, ma sicuro, sarebbe stato peggio avere il sospetto che qualche cane avesse scelto proprio la zona delle violette accanto alla fontanella, per i propri bisogni.
Ad ogni modo… per esserne ancora più certa di non stare facendo qualcosa di sbagliato, Lucia aprì il rubinetto dell’acqua e diede una vigorosa sciacquata ai due piccoli fiori. Tolse le parti verdi che erano di troppo e le due violette erano pronte per essere mangiate.
Chissà se quelle due violette erano consapevoli che sarebbero diventati le custodi di due sogni?
Lucia si ritrovò a domandarselo, mentre osservava la piccola mano di Viola che era già aperta davanti a sé e mentre sorrideva alla nipotina, che sembrava aver dimenticato qualsiasi altra cosa e stava aspettando con pazienza solo di poter sperimentare quel qualcosa di nuovo.
«Sei pronta? Hai pensato bene a che cosa desiderare? Sei proprio sicura, sicura… che sia il desiderio giusto?».
Viola fece di sì con la testa. Una sola volta, per lasciare intendere comunque un sì collettivo, in risposta a tutti quegli interrogativi.
Allora…

Violette nelle mani…
Occhi chiusi…
Desideri nel cuore…

Nella bocca, il sapore di quel piccolo fiore era particolare. Dolce, ma non stucchevole quanto sarebbe quello di una zolletta di zucchero. Era molto di più simile al dolce sfuggente di una sola goccia di miele poggiata sulla lingua. Quel tipico sapore dolce, che non fai in tempo ad avvertire che è già sparito.
Anche la consistenza era interessante. Per quanto fosse ben poca cosa da mandar giù, aveva la croccantezza tipica dell’insalata. Quel tipico stridore tra i denti, che hanno le cose verdi e crude. Quel tipico scricchiolio ad ogni masticata, che per qualcuno (per fortuna, non per Viola) rappresentava un vero e proprio fastidio e una ragione più che valida per tenere alla larga dal piatto simili pietanze.
Lucia rimase ad osservare la nipotina, mentre la sua viola era già sparita dalla  bocca per arrivare allo stomaco insieme al suo desiderio.
«È tutto ok?». Le chiese.
Viola aveva faticato un po’ con un petalo, che sembrava non volerne sapere di staccarsi dal suo palato. Ma, a parte quello, era tutto ok.
La bimba prese di nuovo la zia per mano. La riportò accanto al dondolo dove Tobia era rimasto ad aspettarle e, riacciuffato anche l’amico peluche, la trascinò verso l’uscita del parco.
Una nuova corsa. Un nuovo fiatone. Con il sole brillante sopra alle loro teste, che ad ogni minuto che passava si faceva sempre più caldo. Forse… era giusto sperare che la primavera stesse arrivando; alla barba di chi continuava a piagnucolare l’arrivo fuori stagione del freddo.
Lucia sorrise al cielo, certa che il nonno le stesse guardando e che approvasse quella mattinata di assoluta spensieratezza. «Sono sicura che Viola sarà una grande sognatrice. Proprio come te… nonno!». Lo disse tra i denti, ma ad alta voce. Amava la possibilità di dare sonorità ai propri pensieri e lo faceva tutte le volte che riteneva giusto e opportuno farlo.

Strinse più forte la piccola mano della nipotina. Una bella cioccolata calda le stava già aspettando da qualche parte. Correre… correre… correre!