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martedì 26 settembre 2017

La musica fa crescere i pomodori

Ho incontrato il libro per caso. Non ero entrata in libreria per lui e non era proprio ciò che stavo cercando.
Come in una lunga passeggiata per stradine di campagna, dove il più delle volte ci si ritrova a camminare con l’unica compagnia della propria solitudine e può capitare di incontrare qualcuno giusto appena ad un passo dal tornare a casa, ho incontrato il libro quando già ero certa che – nonostante il girovagare per gli scaffali della libreria – per quel giorno non sarei uscita di lì con un sacchetto di carta in mano; pieno di tesori d’inchiostro.
È stato un incontro strano. Non di quelli che si possono definire ‘amore a prima vista’. Nella prima occasione in cui i miei occhi si sono poggiati sulla copertina, devo ammettere di aver distolto alla svelta lo sguardo e di aver continuato a cercare, cercare e cercare altrove. Possibile che tra le miriadi di storie d’amore che vengono pubblicate ogni giorno non ce ne fosse una lì, ancora tutta da scoprire, che facesse al caso mio?
Mi sono persino sforzata di ricordare i titoli dei libri visti in qua e in là su Facebook, ma niente da fare.
Ero già certa che me ne sarei andata con la promessa di inviare tramite mail la mia lista di desideri, come già tante altre volte è successo, quando mi ritrovo di nuovo a fissare quella copertina.
No! Non è il mio genere. Non amo proprio i libri autobiografici, le biografie in genere o – comunque – quelle pubblicazioni che nascono per voler raccontare parti della propria vita più o meno interessanti, o periodi più o meno lunghi di intensa attività professionale; se si è un personaggio noto o famoso; che dir si voglia.
Proprio, no! Non amo…
Mentre il pensiero cerca di convincermi per la seconda volta che non è proprio una tragedia uscire di lì a mani vuote  e che – sbrigativamente parlando – sarà per la prossima, ho già il libro sconosciuto in mano e i miei occhi stanno scorrendo velocemente il retro di copertina.

“La musica non è solo stimolo cerebrale. La musica ha la capacità di entrare nel fondo di noi. Può parlare alle nostre cellule e con una parte di noi che non conosciamo”.

Interessante. Rigiro il libro e sorrido, finalmente, a quel viso conosciuto.


La musica fa crescere i pomodori.
Non c’è da avere dubbi sul fatto che il titolo sia accattivante. La curiosità mi spinge a domandarmi chissà quale sarà il sapore di un pomodoro cresciuto a suon di musica. Mi sforzo di spingere l’immaginazione un po’ più in là, ma niente da fare. Come unico risultato ottengo quello di immaginare un pomodoro con le cuffie addosso che si muove, in un inesperto tentativo di ballo, seguendo un ritmo noto solo a lui e scoppio a ridere – da sola – scatenando perplessità (spero non seria) nel papà che è appena entrato in negozio e che ha appena fatto in tempo a poggiare tutti e due i piedi sul pavimento in legno, che già chiede se per caso la libreria sia fornita di dizionari per il suo piccolo scolaro; che gli sta attaccato alle gambe e che, intuisco, sarebbe di gran lunga più entusiasta se – magari – quella visita in libreria potesse anche comprendere una piccola sosta davanti allo scaffale di libri per ragazzi, che è poco lontano.
Ma torniamo a noi.
Musica e pomodori. Un libro che parla di come Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, Do e compagnia bella siano entrate a far parte della vita di Peppe Vessicchio e vi siano rimaste per una lunga, bellissima, piacevole, immortale storia d’amore.
Ok. Lo ammetto. Rientro in quella vastissima cerchia di persone che, ad ogni Festival di San Remo, prima si ripromette di non interessarsene, perché tanto – poi – se ne potrà avere abbastanza alla radio, poi alla sera della prima si piazza davanti al televisore con la speranza di non crollare per il sonno troppo presto e – nel fermento delle esibizioni – si ritrova a sorridere ogni volta che il presentatore di turno pronuncia le parole: “Dirige l’orchestra il maestro Peppe Vessicchio”.
Ecco. Forse è per questo che il suo libro è stato in grado di attirarmi. Il motivo per cui, questo parlare di sé, è riuscito a vincere – rispetto a tutti gli altri – e a fare breccia nella mia curiosità e nel mio interesse.
Fosse stato un romanzo d’amore mi sarei sbrigata a leggere le ultime righe della storia, giusto per essere certa di non ricevere una  fregatura e di non ritrovarmi in lacrime, a un certo punto. (sì, lo so! Atteggiamento strano, da parte mia).
Nel caso specifico, ho optato per un più tradizionale: “Vediamo un po’ di che parla”, partendo dall’inizio.

“Io di qua, lei di là. Quando ci siamo conosciuti, fra me e la musica c’erano una porta chiusa, una maniglia e una serratura”.

Sarebbe già potuto bastare. Ero più che sicura.

“Ogni suono che vibra produce una fascinazione, guardate cosa diventano gli occhi dei bambini dinnanzi a un mazzo di chiavi che tintinna, sospeso nell’aria. È quella la prima magia a cui gli pare di assistere”.

Ok. Ok. Ok. Dubbi zero. L’impressione è quella di essere seduti al tavolo di un piccolo locale accogliente, aspettando che arrivi il cameriere con i bicchieri ordinati e già parlando piacevolmente di tanta meraviglia.
Leggere questo libro è stato ascoltare un lungo, bellissimo racconto.
È stato scoprire cose che non conoscevo e sorprendersi di come, nonostante la competenza in materia, il maestro Vessicchio, con l’ausilio di Angelo Carotenuto, abbia saputo raccontarle in maniera semplice e accessibile a tutti. È stato un viaggio in un mondo che tocca costantemente il mio, attraverso gli strumenti di cui tutti disponiamo: la radio, la televisione, il lettore mp3, YouTube, un link trovato su Facebook, la suoneria di un cellulare che, inaspettatamente, ti arriva alle orecchie mentre sei al supermercato a fare la spesa e sei un po’ nervosa perché non trovi il tuo solito shampoo.
È stato un viaggio. Sono arrivata all’ultima pagina con dispiacere. Sono rimasta a fissare quel retro di copertina che si richiudeva domandandomi: “Chissà se quest’anno il maestro sarà a San Remo?”.
Poi sono uscita di casa e sono andata a comprare una raccolta musicale di Mozart. Pare che le sue opere diano risultati sorprendenti sulla crescita di pomodori e ortaggi in genere e che siano particolarmente in grado di parlare all’animo umano per quietarlo, all’occorrenza. Non ho dubbi. Voglio provare!

Alla prossima.

domenica 6 agosto 2017

Maciste in giardino

Con Maciste ci siamo incontrati in maggio; al supermercato. Io, con il carrello cigolante davanti a me e una piccola fatica dipinta in faccia per farlo camminare. Lui, silenziosamente sistemato sullo scaffale insieme ad altri amici. Ripensandoci ora, ricordo ancora alla perfezione cos’è stato a farmi avvicinare a lui. Nonostante il musino simpatico, gli occhiali sopra il naso che me lo facevano sentire somigliante e i guantoni da pugile addosso che me lo facevano avvertire - in un certo senso -  familiare, l’ho afferrato per poterne scoprire di più alla vista di una piccola fascettina bianca sul davanti che dichiarava: “Finalista seconda edizione Premio Strega Ragazzi e Ragazze – Categoria 6-10 anni”.
Ecco. Lo so cosa potreste pensare, ora. Categoria 6-10 anni, non è di certo la storia adatta ad una lettrice come me. Eppure, ho deliberatamente ignorato la vocina nella testa che mi diceva che tra meno di tre giorni ne avrei compiuti trentadue e l’ho afferrato con decisione per la copertina. Stringendolo in mano, ho cominciato ad immaginare che sarei entrata nella vita avventurosa di quell’animaletto simpatico che non smetteva di sorridermi e mi sono ritrovata immediatamente a credere che Maciste – che, non lo avevo ancora detto, è una talpa – sarebbe stato in grado di farmi ridere a crepapelle con le sue faccende più o meno quotidiane e con quello che, pensavo, avrebbe potuto combinare vattelapesca dove e a discapito di vattelapesca chi.


E chissenefrega se la storia non era stata scritta per una come me. Indirizzando lo sguardo verso i romanzi per adulti esposti sugli scaffali più in alto, nessuno sembrava fare al caso mio in quel momento. Niente sembrava tanto adeguato a me, quanto Maciste.
Ho infilato il libro nel carrello, stando attento a tenerlo lontano dai pomodori, senza nemmeno leggere la quarta di copertina. Mentre il retro recitava: “Era stato papà a dare quel nome alla talpa: Maciste. Maciste era un personaggio di una serie di film in costume, grande e grosso che spaccava tutto”. Avevo già l’impressione di sentire l’eco delle mie risate, perché convintissima che ‘Maciste la talpa’ me ne avrebbe fatte vedere delle belle.
Solo una volta arrivata a casa, con un po’ di tempo a disposizione prima di mettermi a preparare la cena da portare a tavola, ho scoperto che non sarebbe stato così.
La storia della talpa Maciste mi avrebbe raccontato, più che altro, come andarono i giorni prima della sua cattura e della sua espulsione dal giardino di Nico e dei suoi  genitori.
La voce narrante sarebbe stata quella di Nico, che già in quarta di copertina annunciava: “Conobbi Gino Bandiera nel 1967, e il ricordo più vivido di quei giorni è la caccia alla talpa. Da una parte c’era lei: una talpa enorme che chiamavamo Maciste, dall’altra parte c’eravamo io e Gino Bandiera, ex campione dei pesi massimi, detto il Gigante”.
Ho sentito il mio immaginario spegnere all’istante l’eco che sarebbe dovuto essere delle mie risate e per un attimo, devo ammetterlo, ho sentito crescere la delusione. Mi sono tornate alla mente le parole dette da un professore di scrittura creativa, un po’ di tempo fa: “Le fascette addosso ai libri sono fatte apposta. Attirano il lettore ancora prima della copertina e, alle volte, sono studiate apposta per poter convincere all’acquisto”. Ho fissato la fascetta del mio ‘acquisto’ per capire se, in qualche maniera, potesse essere stata ‘lei’ la responsabile del mio impulso a comprare: “Finalista seconda edizione Premio Strega Ragazzi e Ragazze – Categoria 6-10 anni”. Non sembrava ci fosse traccia di inganno in quelle parole, o di un tentativo di raggiro. Se quella storia, la storia della talpa Maciste, era per davvero riuscita a guadagnarsi un posto da finalista nella seconda edizione di un importante premio letterario, doveva esserci un perché. Mi sentii acquistare nuovamente fiducia nei confronti di quelle pagine ancora tutte da leggere e sprofondai nel divano per immergermi immediatamente nella lettura. Quel libro mi stava chiedendo di far tornare, almeno per un po’, la bambina di diversi anni fa. Ignorai la vocina nella testa che non voleva proprio saperne di smetterla di ricordarmi che tra meno di due giorni avrei potuto soffiare su trentadue candeline e feci una rapidissima sottrazione di ventisei. Se proprio dovevo affrontare quelle parole con occhi diversi e con spirito adeguato, volevo che il mio spirito fosse il più giovane possibile. Tornai a 6 anni. Perfetta per la categoria!
Fu facile e abbastanza veloce arrivare alla fine di quel libro. Non ho trovato il rumore di tante risate, ma sono riuscita a trovare il calore di una storia ben scritta e la bellezza di una voce narrante che non mi aspettavo. Non posso dire di aver conosciuto Maciste, per come immaginavo che avrei potuto farlo. In compenso, però, ho trovato Nico. Ho trovato il suo modo di raccontare e di parlarmi di Gino Bandiera e di quel suo simpatico modo d’essere un ex pugile ed un ex circense, che la vita aveva poi portato a diventare un cacciatore di talpe. Insieme a Nico, ho scoperto la bellezza del racconto di cose passate ed è stato un po’ come poter essere lì di persona, a scambiare quattro chiacchiere davanti a un bicchiere di limonata.
È stato piacevole, nonostante tutto. È stato un incontro avvenuto per caso, che ha saputo regalarmi tanto. Quando poi mi sono imbattuta nella nota dell’Autore, ho scoperto che quella di Maciste era stata una storia fortunata… perché colma di ispirazioni reali. Ho conosciuto Maciste al supermercato, in un normalissimo pomeriggio di maggio. Ho conosciuto Guido Quarzo alla stessa maniera. Quegli incontri casuali che piacciono a me. Sono convinta che mi ritroverò a parlarne ancora. Grazie a un piccolo musino di talpa che mi ha catturato, facendomi ignorare libri più adatti. Grazie ad una piccola fascetta bianca che… diceva il vero!
Alla prossima!!!

sabato 14 maggio 2016

Stelline per un Compleanno!!!

Lo scoccare della mezzanotte. Un 13 Maggio che riesce a cavarsela con un...
...bilancio positivo!!! 
Non so perché, ma è un giorno che temo sempre un po’. Quella paura che qualcosa possa andare storto, che qualcosa di spiacevole, o di difficile da gestire, possa verificarsi 'proprio nell’arco di quelle 24 ore'; che possa accadere: “Proprio oggi, che è il mio compleanno!”. Invece... mi ritrovo a sorridere. Con il pigiama già indosso, dentro l’abbraccio delle coperte ancora pesanti; nonostante manchi poco più di un mese all’estate. È già domani e sono pronta ad addormentarmi con la felicità di essere riuscita a fare qualcosa di ‘insolito’ , con la soddisfazione di aver completato la lettura di un libro che ho praticamente divorato (pur alternando la lettura con quella di altre storie) e con il cuore a mille per il fatto di aver sentito il cellulare notificare più volte degli apprezzamenti su Wattpad!!! :-D
Lo so. Non è molto e potrebbe persino apparire sciocco, da parte mia. Ma ci sono pensieri che mi accompagnano sempre, ogni volta che scrivo. Pensieri che riconosco essere alle volte contrari a ciò che pensa la maggior parte della gente, che prova a confrontarsi con il foglio bianco come faccio io.
“Fallo! Anche dovessi essere solo tu a trarne soddisfazione. 
Fallo! Perché ti piace».
Ecco perché... anche una sola stellina che si accende (chi è almeno un po’ pratico di Wattpad sa di che cosa parlo) è una grande soddisfazione e diventa, nel giorno del mio compleanno, un regalo immateriale e inaspettato. Il motore del terzo pensiero, che - da un po’ di tempo a questa parte - ho imparato a ripetermi come un 'mantra speciale'; insieme ai primi due. 
“Fallo! Perché - in fondo - non puoi sapere se riuscirai a tenere compagnia a qualcuno; con le tue parole. 
Magari, a regalare un sorriso. 
Magari, a regalare un’emozione”.
È tutto qui! Un tutto, che sa di tanto. Un tutto, che riempie di tanto questo giorno speciale.

Un 13 Maggio che si conclude con un... bilancio positivo. 
Per tante ragioni. Per tante cose inaspettate. Per una serie di ‘Grazie!’, che sono felicissima di poter dire! :-D

 ...Grazie, Grazie, Grazie!!!

Li scrivo in verde, il colore della Speranza. Con la speranza che sia un po' vero... che le cose belle sanno farsi seguire da altre cose belle! 
Pure se è verità imprescindibile quello che 'dice' il titolo del libro appena finito. Che... La tristezza ha il sonno leggero. Mi addormento con la voglia di crederci un po'. Di credere ai momenti leggeri. Di credere i sogni. Con la voglia di dare a entrambi più possibilità, di quanto abbia fatto finora. Che, poi, non si sa mai...
Mi addormento insieme a un bellissimo "Chissà..."; 
che è forse il regalo più bello che potessi farmi...
...nel giorno del Mio Compleanno! :-D 
Alla prossima! ;-)

lunedì 25 aprile 2016

"Uno schiocco di dita" di Chiara Pellegrini

Vivere nella stessa, piccola città e non conoscersi. Rimanere sconosciute l’una all’altra, fino a poco tempo fa.
Chiara ed Io. Tre parole che potrebbero essere il titolo perfetto per un racconto, ma che in questo caso vogliono essere preludio ad una sorta di presentazione.
Non è mai cosa semplice scrivere di qualcuno, quando sai che quel qualcuno è adesso parte delle tue amicizie reali. Nonostante ciò, cercherò di farlo nel migliore dei modi.
Considero la nostra amicizia (ancora agli inizi, ma speriamo duratura) un dono speciale, figlio di una passione in comune. Anzi, di due.

Io amo scrivere.
Chiara ama scrivere.
Chiara ama leggere.
Io amo leggere.

Ritrovarsi sedute intorno a un tavolo a parlare di autori, di libri e di idee è quanto di meglio possa esserci per far scorrere velocemente le lancette dell’orologio. Nelle nostre chiacchierate serali, non di rado ci è capitato di accorgerci che… era già domani.
Ci siamo conosciute per caso, grazie ad un amico in comune che ci ha inserite entrambe in una chat di Facebook. Lentamente, è stato l’inizio di un confronto frequente.
Quando Chiara mi ha parlato per la prima volta delle sue parole su carta, non sono riuscita a resistere e ho ordinato subito il libro. Una storia che mi ha catturata sin dalle prime righe. Un colpo di fulmine che non è raro per un lettore, ma che – ogni volta – è come fosse la prima e unica.
Uno schiocco di dita è una storia che trova spazio, luogo e tempo in centoquarantaquattro pagine. Almeno in apparenza.


Nella realtà, Uno schiocco di dita è un piccolo mondo carico di emozioni, in grado di trasportare il lettore per le strade del cuore, lungo percorsi che – quasi sicuramente – tutti conosciamo. Un piccolo, grande universo dal quale, poi, non si vorrebbe uscire più. Forse, non se ne esce più per davvero.
L’ho letto d’un fiato, non perché agevolata dalla sua compattezza. L’ho letto d’un fiato, perché mi sono ritrovata ad avere a che fare con una storia in grado di catturare sino ai massimi livelli. L’ho letto d’un fiato perché, in qualche modo, è stato come essere Marta per un po’. È stato come leggere le pagine di un diario. Come se quel diario fosse il mio. Chiara sa parlare al cuore, sa raccontare al cuore di se stesso.
Scrivo questo post a distanza di tempo dalla lettura del libro, eppure non ho difficoltà a ricordare ciò che è stato. Le emozioni provate.


Scrivo questo post adesso, perché adesso è di prossima uscita un nuovo romanzo di Chiara… mi sento già fremere dalla curiosità! ;-)
Sulle orme di Uno schiocco di dita, anche la nuova storia prova a mettersi in gioco attraverso il concorso indetto dalla pagina web ilmiolibro.it. È già sicuro che, a prescindere dall’esito del concorso, sarà un nuovo successo.
Vi va di sapere di più?
Le domande sono quelle ormai riservate ai post dedicati agli Autori…

Quando hai capito che saresti diventata una scrittrice e come è nata l’idea della storia?
A dire la verità non c'è stato un momento preciso in cui mi sono detta “ecco, finalmente sonno una scrittrice”. Voglio dire che fare la scrittrice credo sia un mestiere come un altro. Capisci di essere un muratore quando inizi a farlo e questo vale per ogni altro mestiere, così presto, fin da ragazzina, ho scoperto che mi piaceva scrivere storie. Poi si, certo, un'iniziazione c'è sempre, quella prima volta in cui dici a te stessa “da grande farò la scrittrice”. Ma da quando l'ho detto ad oggi che mi sono affacciata al mondo della scrittura con il mio primo timido romanzo sono passati quasi vent'anni! Invece per quel che riguarda la storia del mio romanzo, beh, ci si potrebbe scrivere un altro libro, ma basterà dire che dal momento in cui ho fatto la prima stesura (che tra l'altro non era un romanzo ma un brevissimo racconto di un paio di pagine) all'auto pubblicazione sono passati dieci anni. Il cassetto era un rifugio comodo, poi ho capito che le storie sono più vive se incontrano qualcuno che le ascolta...avevo voglia di raccontare qualche atmosfera, dedicare un lavoro al posto in cui sono nata ma non usando il metodo autobiografico, piuttosto ricavando dalla pura invenzione (i protagonisti sono frutto della mia immaginazione) qualche pensiero mio, profondamente mio, radicato nella mia vita. Una storia d'amore, una storia sull'amore, questo volevo raccontare nell'estate del 2001, questo ho provato a tirar fuori in un'estate di tanti anni dopo.

Il commento più bello che hai ricevuto da un lettore…
Ce ne sono tanti, tra cui qualche critica “cattiva” che mi è servita a confrontarmi con me stessa. Ma i pensieri tra i più belli ricevuti  sono alcuni scatti, foto che qualche lettrice mi ha inviato senza  pensieri aggiunti, solo le foto del libro in certe situazioni, come per esempio l'ultimo, arrivato poco fa, con il mio libro sulla tastiera di un pianoforte e vicino, una borsa...m'ha evocato una sensazione speciale che rimane con me. Ogni pensiero che arriva è un dono prezioso.

Consigli che daresti a esordienti?
Di scrivere. Di non avere paura del foglio bianco e di rispettarlo, di rispettarsi. Credo che scrivere oggi sia un percorso complicato come sempre...forse sembra più facile arrivare ad una meta perché di strumenti per farsi leggere e conoscere ce ne sono molti di più rispetto a un secolo fa. Ma io credo che rispettare il foglio bianco e se stessi voglia dire saper aspettare e non la casa editrice o il contratto, ma il momento buono per la storia e per se stessi. Un mio amico mi disse un giorno “fossi anche solo io a leggere la tua storia ne sarà valsa la pena” e il mio amico era molto saggio. Mi sono fidata di lui, non sono una scrittrice, non faccio ancora la scrittrice, ma ho scritto una storia e qualcuno l'ha letta, ho stabilito contatti nuovi. Non è volare basso questo, è rispettarsi. Abbiate rispetto di voi, delle vostre storie, di chi le leggerà.

Libri d’altri… le tue letture preferite?
Il mio libro preferito è “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino”di Collodi. E' il primo libro che trovo nella mia memoria. Poi ce ne sono tanti...il genere che preferisco è il romanzo. Amo certi autori intramontabili, Nabokov e la sua “Lolita”, Marquez, leggo tanto, di tutto. Amo i contemporanei, la Mazzantini e Erri De Luca, Valentina D'Urbano che è una giovane autrice che ha già scritto tanto, Carmen Pellegrino...si, mi piace nominare oltre che i grandi di ieri, pure gli autori di oggi, che scrivono il nostro tempo e le visioni che regala. Il libro più speciale che ho incontrato però è “Rayuela. Il gioco del mondo” di Cortazar. Lo consiglio a tutti, perché è un viaggio straordinario e stranissimo. Poi c'è Omero, Iliade e Odissea mi hanno regalato tra le immagini più belle che porto con me.

Il prossimo libro che scriverai parlerà di...?
Questa domanda capita in un giorno in cui è prossima l'uscita del mio secondo libro. Una storia contemporanea a me, nel senso che l'ho scritta fino a gennaio scorso, quindi è una storia di oggi. Un libro nel libro, un racconto nel racconto, epoche diverse, personaggi che richiamano altri personaggi...insomma è un lavoro che io definisco “la mia prima e vera prova del fuoco”. Ha una copertina disegnata da un ragazzo che conosco, un artista della mia città che ho coinvolto in questa mia avventura...anche nel mio primo libro, l'immagine di copertina è di una ragazza, un'artista eugubina. Mi piace dare uno spazio a loro,anche se la mia barca dovesse affondare so che ha avuto una famiglia intorno, e questa la rende già speciale.

Che altro aggiungere?
Vi lascio la descrizione del libro e… i riferimenti alla sua pagina Facebook! Non ve ne pentirete. Parola! :-D <3


“Succede di amarsi, amarsi terribilmente, amarsi in una maniera folle. Succede di tornare ad amare se stessi dopo essersi rinnegati. Succede, dopo un lungo viaggio al buio, di ritrovare l'orizzonte ampio di un cielo limpido. Succede la pace. Succede un silenzio. Succede una notte zeppa di sogni, una notte come questa. Succede ed è meraviglia." In un giorno d'estate, Marta e Luca si ritrovano e nel caldo torrido di una notte in collina tornano a guardarsi. Marta racconta, saltando tra passato e presente, il desiderio di felicità che nutre da sempre e che Luca raccoglie, esaudisce. Il cuore di questo romanzo breve è un incontro, un amore sognato e per questo vivo. Se è accaduto davvero o è solo frutto di immaginazione, non importerà saperlo. Leggendolo, accadrà.

sabato 23 aprile 2016

In un sabato mattina qualunque

Un sabato che comincia e prosegue a rilento. Colpa di un mal di gola che non mi da tregua da ieri sera. Quelle infezioni fastidiose, pur non eccessivamente debilitanti, che si manifestano appena hanno il sentore di fine settimana in avvicinamento. Ho la sensazione che proprio adesso si stia tenendo un rave party di formiche sopra la mia faringe.
Rimango comunque dell’idea di sbrigare l’unica incombenza vera della giornata e, già che ci sono, vorrei passare in  libreria. Oggi è la giornata mondiale del libro.
Sono le dieci quando riesco a tirarmi fuori dal letto e scendere in cucina per la colazione. Il progetto di ritornare a scrivere di mattina presto se ne va a farsi benedire per l’ennesima volta.
Un’ora e venti più tardi sono già in fila all’ufficio postale; un’altra delle cose che sarebbe bene sbrigare prima delle nove.
Prendo il numero riservato ai contocorrentisti. Dovrebbe garantire una velocità di scorrimento maggiore, almeno in teoria. Ma dubito che serviranno meno di trenta minuti per far sì che le undici persone che ho davanti si tolgano di mezzo.
Sono il 51. Stanno servendo il 39.
Un signore entrato subito dopo di me sbuffa, ancor prima di vedere il piazzamento del suo turno, perché l’ufficio è decisamente affollato.
Ok! Pazienza. Se non riesco ad andare in libreria entro la mattinata, vorrà dire che ci tornerò nel pomeriggio. È la giornata mondiale del libro, non si può non acquistare nulla per l’occasione.
Osservo lo scorrimento dei numeri sul grande display appeso al muro, con lo stesso interesse con cui mi ritrovo a leggere le notizie che scorrono su uno schermo tv poco lontano. Dovessero interrogarmi in merito all’una o all’altra cosa, in entrambi i casi non saprei cosa rispondere.
Riesco a ristabilire la giusta attenzione nel momento in cui i numeri sembrano impazzire all’improvviso e saltano in fretta dal 41 al 46. Quei piccoli miracoli inaspettati, che possono accadere all’ufficio postale se qualcuno decide di non poter aspettare più di qualche minuto per poter essere servito. Certo che sei persone che abbandonano il tentativo non sono poche...
Buon per me!
Per me e per la signora seduta più avanti, che un attimo prima già si stava lamentando di dover ancora andare al supermercato a fare la spesa per il pranzo ed ora è davanti all’addetto per poter pagare dei bollettini in scadenza.
Anche la donna seduta accanto non scherza, in quanto a entusiasmo improvvisamente ritrovato.
Stringe in mano due biglietti e ha l’aria di chi sta controllando le estrazioni del lotto alla tv, per vedere se ha vinto.
È un testa a testa tra i numeri dei correntisti e quelli generici per i bollettini. Da una parte il 47, aspettando il 48. Dall’altra il 73, aspettando il 74. Scatta prima il 48.
Sorrido mentre la osservo che si alza in piedi per far capire di esserci e sento le labbra incresparsi ancora di più quando la vedo regalare il suo 74 al ragazzo seduto accanto a lei. Lui stringeva in mano l’85. Quando si dice un colpo di fortuna di massa!
Il 49 è di nuovo mancante. Il 50 è sbrigativo. Arrivato finalmente il mio turno, decido di dare una mano anch’io al prossimo scegliendo di non bloccare la fila per compilare il modulo per un bonifico. L’ultima volta che mi è capitato di doverne fare uno, l’addetto allo sportello ha preferito approfittarne per riposarsi un po’. Scelte.
Il signore dietro di me mi sorride. A mezzogiorno siamo entrambi fuori di lì.
C’è un movimento discreto di gente anche in libreria. Mi piace pensare che siamo lì tutti per la stessa ragione, ma rimane una supposizione non verificata.
Mi piazzo davanti allo scaffale delle novità e rimango a fissare le copertine, fino a che non trovo qualcosa in grado di colpirmi. È strano dover fare i conti con un imbarazzo della scelta che non dipende tanto dal fatto di non trovare qualcosa che sia affine ai gusti, quanto al non sapere a che cosa dare la precedenza.
Leggo la quarta di copertina di tre libri che trovo tutti interessanti e, anche se vorrei stabilire in maniera oculata quale portare fino alla cassa con me, alla fine lascio che sia l’istinto a guidarmi. Una volta tanto…


Un giro per gli altri scaffali, trovo anche ‘lui’...



La prima volta che mi ci sono imbattuta, leggendo commenti entusiasti su Facebook, mi sono trattenuta dall’acquistarlo immediatamente on-line. La seconda volta è stato un faccia a faccia al supermercato. Non l’ho messo nel carrello insieme ai cereali, agli yogurt e ad altre cose, un po’ perché andavo di fretta e un po’ perché… custodivo l’idea di conservare quell’acquisto per un’occasione speciale. Oggi non avevo più scuse per rimandare ancora.
Ho la sensazione che entrambi i libri saranno in grado di regalarmi qualcosa di speciale. Non capita sempre, pur trattandosi di buone letture.
Mentre torno a casa, con i miei acquisti sistemati dentro una busta di carta, mi ritrovo a domandarmi se per caso si trovino bene l’uno accanto all’altro. Il pensiero folle di un secondo, che è però ragione di un nuovo sorriso divertito.
Arrivo al parcheggio sotto un cielo grigio, che più grigio non si può. È una fortuna che il tempo abbia retto, nonostante sia da una settimana che tutti vanno dicendo quanto pioverà questo weekend.
Entro in macchina e mi lascio avvolgere dall’odore di pane fresco. Avevo dimenticato di essere passata al forno, prima di ogni altra cosa.
In fondo alla strada, ferma allo stop, le prime gocce cominciano a colpire il vetro. È il tempo ideale per un pranzo veloce, per una tazza di tè e per una nuova storia da leggere sotto le coperte. Mentre le formiche continuano con il loro rave… ;-)

Alla prossima!

sabato 16 aprile 2016

Post-Presentazione: "Pestilentia" di Stefano Mancini

«Non puoi escluderlo a priori!».
Un concetto che mi sta dando parecchio da fare, ultimamente. Di qualunque cosa si tratti. In ambiti totalmente diversi tra loro. In momenti più o meno frequenti che, non senza difficoltà, riescono ad avere qualcosa in comune.
C’è da dire che… funziona! Alle volte; almeno.
Sta funzionando per i libri.
Provo ad aumentare il numero delle mie ‘letture inusuali’ e, grazie anche a nuove conoscenze fatte tramite il Web (leggi Facebook), provo a non escludere nulla (o quasi!).
Facile?!? Non sempre!
Ne vale la pena? Sicuramente!
Il nuovo libro appena conosciuto, di cui vorrei provare a parlarvi un po’?

Ve lo presento nello stesso modo in cui è stato presentato a me…


La tentazione di averci nulla a che fare all’inizio è stata forte. Poi però, lette le poche pagine di un estratto, non ho permesso che avesse la meglio.
Stefano Mancini ci sa fare.
Il suo è uno di quei libri in grado di catturare l’attenzione sino ai massimi livelli (anche il mio stomaco ne sa qualcosa… :-P). Un mix di generi che è ben dosato e che sa accontentare anche i lettori più esigenti.
Forse perché non è un libro d’esordio, la storia è strutturata in maniera particolare, particolareggiata e affascinante.
Laureato in giornalismo e iscritto all’Ordine dei professionisti dal 2005, Stefano lavora come redattore presso un’importante testata nazionale ed è direttore dell’agenzia “Aragorn servizi editoriali”. Ha pubblicato la trilogia high-fantasy composta dai romanzi Le paludi d’Athakah, Il figlio del drago e Il crepuscolo degli dei (Linee Infinite edizioni, 2013-2015), terza classificata al Premio Cittadella 2016. I suoi altri libri sono: La spada dell’elfo (Runde Taarn edizioni, 2010) e Il labirinto degli inganni (AndreaOppureEditore, 2005).

Vi ho incuriosito almeno un po’?
Immagino si possa fare ancora meglio.

Che ne dite di provare a conoscere Stefano, attraverso l’intervista realizzata da Francesca Pace? Domande e risposte che indagano su Pestilentia e… leggete, leggete!

Perché qualcuno dovrebbe leggere il tuo libro?
Beh, il mio parere potrebbe essere di parte, ma trovo che sia una bellissima storia, con un’ambientazione molto particolare e affascinante, un ritmo serrate e dei personaggi molto ben caratterizzati. Penso sempre che la lettura sia anche evasione dalla realtà quotidiana: il mio nuovo romanzo, dunque, penso possa offrire ai lettori qualche ora di piacevole intrattenimento e perché no, anche trasmettere qualcosa.
Che cosa c’è di innovativo e quali sono gli elementi di continuità con il genere o con la tradizione?
Trovo questo romanzo fortemente innovativo, tanto che sarebbe, anche provandoci, difficile classificarlo in un genere specifico. È un po’ fantasy e un po’ distopico; un po’ storico e un po’ thriller. Ogni elemento, tuttavia, è fuso con gli altri in maniera inestricabile e funzionale, in modo che il risultato sia omogeneo e tutt’altro che confusionario. La commistione credo, anzi, che dia un notevole “quid” in più a tutto il libro. Il lettore che si avvicina a “Pestilentia” non si faccia spaventare dal trovarsi di fronte un libro originale, perché mi sento di assicurare che il risultato è valido sotto ogni punto di vista.

Che cosa ti ha spinto a scrivere?
La spinta per la scrittura viene da molto lontano. Questo è il mio settimo romanzo pubblicato, nonché quello che ritengo il migliore per tutta una serie di ragioni. Scrivo da quando sono bambino e fin da allora sogno di fare lo scrittore. Da un paio d’anni questo sogno si è tramutato – seppure solo in parte –, in realtà e per me sarebbe impossibile immaginare una vita senza scrittura.

Da che cosa è nata la storia? Quali sono state le fonti di ispirazione?
La storia nasce da un’idea ben precisa, quella di raccontare un fantasy innovativo, con tinte gotiche e un po’ dark. Mi piaceva soprattutto l’idea di dargli un’ambientazione estremamente caratterizzata, una di quelle che entrasse nella pelle dei lettori e fosse vissuta quasi alla stregua di un vero e proprio personaggio. Poi, come spesso succede, il testo ha preso una sua strada e io non ho fatto altro che seguirla, inserendo via via nuovi elementi.

Quando scrivi? E come? In modo organizzato e continuo o improvviso e discontinuo?
Mi piace scrivere nel pomeriggio. Trovo quel momento il migliore, con il silenzio che mi circonda e la mente che può librarsi da sola dove vuole. Cerco di essere metodico e di non sgarrare, scrivendo tutti i giorni. Non perché sia un peso o un obbligo, ma anzi per l’esatto opposto: perché per me scrivere è soddisfazione e appagamento e quindi più tempo posso dedicargli, meglio mi sento.

Quali strategie hai adottato per promuovere il tuo libro e che tipo di strumenti hai usato – e usi – per proporlo all'attenzione dei tuoi potenziali lettori?
Avendo ormai una certa esperienza in questo campo, di solito mi affido molto al web. Social network, siti internet e blog sono il canale migliore per farsi conoscere e per far conoscere i propri libri. Ed è quello che faccio, attraverso interviste, recensioni e segnalazioni, proprio come in questo caso.

Progetti per il futuro?
Di sicuro c’è l’uscita di un mio nuovo fantasy, di stampo più classico, a ottobre, con la mia storica casa editrice, la Linee Infinite. Sarà il primo di una nuova saga, che riprenderà la stessa ambientazione già vista nella trilogia composta da Le paludi d’Athakah, Il figlio del drago e Il crepuscolo degli dei.

Tre persone da ringraziare…
Sicuramente il mio editore Astro Edizioni per “Pestilentia”, nella persona del suo direttore editoriale Francesca Costantino. Poi Cristina Pace, che cura la mia pagina Facebook autore con grandissima capacità. E infine i miei lettori, che con il loro sostegno mi spingono a scrivere sempre di più.
Manca ancora qualcosa…


Vi lascio con una breve Sinossi…
Un ragazzo in fuga da qualcosa che non doveva essere liberato. È l’inizio della fine. Quattro secoli dopo, il mondo è un ammasso purulento. Una pestilenza ha spazzato via quasi ogni forma di vita, e il gelo ha stretto nella sua morsa gli ultimi superstiti.
Quando la setta eretica della Mors Atra trafuga la più potente reliquia della Chiesa di Nergal, ultimo faro contro la decadenza, padre Oberon si ribella. E convoca Eckhard, devoto cavaliere della Fratellanza. Ispirato dalla fede, questi darà vita a uno spietato inseguimento sulle tracce della ladra Shree e del suo insolito compagno di viaggio, un eretico appartenente alla razza dei gha’unt.
Perché la reliquia va recuperata a ogni costo. O il suo terribile segreto trascinerà nel baratro la chiesa, condannando il mondo all’oblio.

Al prossimo Post-Presentazione! Chissà che nel frattempo non riesca anch’io a buttare giù qualcosa… Stay Tuned! ;-)

domenica 27 marzo 2016

Libri: Sette lettere da Parigi

Samantha adora i viaggi, il buon vino e la cucina francese. Dopo quarant’anni trascorsi in America e una carriera da direttore creativo nella pubblicità, si è trasferita nel sud della Francia, dove ha sposato un ingegnere aerospaziale. Vive con due figli acquisiti e con un gatto Bengala.

Ci siamo ‘conosciute’ grazie a un libro, io e lei. In un pigro sabato mattina precedente a San Valentino, sfogliando le pagine del settimanale che in casa teniamo sempre a portata di mano per essere informati sui programmi tv, mentre aspettavo che il caffelatte si raffreddasse un po’ per non correre il rischio di ustionarmi le papille gustative, ho scoperto il suo mondo fatto di pagine e d’inchiostro. È stato amore a prima vista. E, anche se con i libri devo ammettere di essere una persona dal innamoramento facile, posso giurare di aver sentito quel brivido lungo la schiena che non sempre capita, ma che quando accade è una sorta di garanzia.
Tutto. Veramente tutto di quel libro aveva con sé la magia del lieto fine. Anche solo guardarlo, dentro un trafiletto stampato su una pagina satinata, anteposto alla pagina della 'ricetta della settimana', era in grado di regalare al cuore un battito di quelli speciali.
Ho annullato i programmi mentali che già mi ero preparata per trascorrere in tranquillità quel inizio di weekend e mi sono precipitata su per le scale, per correre in camera a cambiarmi. 
Ero praticamente certa che non l’avrei ancora trovato in libreria, troppo fresco d’uscita per essere già sugli scaffali, ma… a parte il fatto che tentare non nuoce mai in certi casi, non potevo permettermi di aspettare che tra noi capitasse un incontro casuale. Dovevo ordinarlo. Dovevo almeno riuscire a garantirmi la certezza di averlo tra le mie mani il prima possibile.

Sette lettere da Parigi


Ditemi se la copertina non è tanto attraente da catturare l’attenzione ai massimi livelli.
Eppure… volete sapere qual è la cosa che mi ha colpito di più?
Tre piccole, a prima vista ignorabili, parole: una storia vera.
Le storie vere non sono tutte belle, o piacevoli, o facili da attraversare; leggendole. Il più delle volte, anzi, mi è capitato di imbattermi in libri che sono stati mezzo per veicolare storie vere più forti e dolorose di un cazzotto preso in pieno stomaco. Non sto qui a stilare un elenco di titoli. Sono sicura che almeno un paio possano venire in mente anche a voi, senza bisogno del mio aiuto.
Quando, invece, una storia vera parla d’amore… allora, sì! È musica per le mie orecchie.
E se il grande amore ti concedesse una seconda possibilità? Concetto irresistibile, per un cuore romantico come il mio; che pure ha paura di fronte a certe cose. Recente scoperta, infatti, è quella per cui mi ritrovo a pensare di me stessa di aver paura dell’amore. Ma questa è una faccenda a parte; per quanto sia un aspetto che ho in comune con la protagonista della storia. Magari, non ho ancora trovato quei due occhi in grado di guardarmi senza farmi temere nulla.
E se la storia del libro, oltre a essere vera, oltre a essere incredibilmente romantica, raccontasse della vita della scrittrice?
Samantha è Sam. Sam è Samantha. Le sette lettere da Parigi hanno viaggiato veramente fino in America e lo hanno fatto nel 1989. Dopo venti anni di silenzio, Sam trova il coraggio di rispondere. È l’inizio.
L’inizio di che cosa?
Di tanto. Di tutto. Di qualcosa che mi piacerebbe riassumere, riportando di seguito alcune delle righe che mi hanno colpito di più…

“Ti amo, Sam. Te l’ho già detto e continuerò a ripeterlo finché non mi crederai. Voglio dividere con te quel che ho. Anche se non è molto. Sono un uomo semplice, che conduce un’esistenza semplice”.

Che altro dire? Leggetelo! 
E se pensate di non farlo perché non vi sentite sufficientemente romantici, fatelo perché è vero ciò che si dice della realtà. Che, alle volte, può essere più fantasiosa della fantasia stessa. 
Pare, tra l’altro, che presto ne sarà tratto un film...

Alla prossima!

mercoledì 23 marzo 2016

Libri: 'Non vuol dire dimenticare' di Riccardo Schiroli

Il mio viaggio è iniziato il sette di agosto, una giornata plumbea come si pensa che una giornata di agosto non sarà mai.
Comincia così Non vuol dire dimenticare, romanzo d’esordio di Riccardo Schiroli. 190 pagine che accompagnano il lettore non solamente nel viaggio fisico vero e proprio, ma anche alla scoperta dell’universo femminile; con il quale il protagonista tenta di approcciarsi. Il punto di vista è quello maschile. La narrazione è in prima persona. Proprio per questo, lo stile richiama molto quello di un diario di viaggio. Con una scrittura moderna, vivace e scorrevole, Non vuol dire dimenticare si legge d’un fiato. Il protagonista ha un modo di fare ironico e divertente. Non manca anche un pizzico di autocommiserazione, ciò che alle volte impedisce al vissuto di divenire insegnamento. Inserito nella collana Romanzo nel cassetto per le edizioni Soldiershop, il libro è disponibile in versione e-book su Amazon, o in formato EPub su Ebook.it
“Non vuol dire dimenticare ha avuto una gestazione piuttosto complessa”. Scrive Riccardo Schiroli sul suo sito: http://www.riccardoschiroli.com/ “La prima stesura è stata completata con una macchina da scrivere. Da lì è partita un’opera di revisione apparentemente infinita e che ha portato a una seconda versione. In verità, il libro non è mai stato veramente riscritto e sono soddisfatto del risultato finale solo a tratti. Ma è ora che il romanzo cammini con le sue gambe e che io mi dedichi ad altri progetti”.


SUL ROMANZO:
Siamo nel 1989 e, con un volo Linate-Zagabria, inizia un viaggio negli Stati Uniti. Per il protagonista, che è l’io narrante di un romanzo scritto in prima persona, si tratta di un momento epocale. Va in un paese che ha conosciuto prevalentemente attraverso i  libri e  il cinema e lo fa per inseguire un sogno d’amore nel quale non è certo di credere. Va solo: il suo mondo si è dissolto e cerca di costruirsene uno nuovo. E’ in compagnia delle sue canzoni, che lo aiutano a convivere con gli stati d’animo. Ma a poco a poco, finirà con il dover mettere i piedi per terra.
Il sogno d’amore non si rivelerà qualcosa in cui credere, ma nella California del sud e a New York City, inizierà la dolorosa transizione verso una fase nuova della vita.
Perché penso che sia da pubblicare? Sono convinto di essere riuscito a ottenere un linguaggio che rappresenta moltissimo le persone come me: che vengono da una educazione cattolica un po’ invasiva, che sono cresciute abbastanza privilegiate, che non hanno mai fatto troppa fatica a scuola. Anche perché il protagonista si è lasciato alle spalle i privilegi e si trova a farsi largo da solo e un po’ disorientato.
Credo anche che il romanzo rappresenti bene l’impatto che gli Stati Uniti potevano avere su un europeo del 1989. Descrivendo un mondo nel quale ancora non c’è internet e il protagonista può stupirsi delle centinaia di canali via cavo che vede grazie al televisore del Motel, penso sia anche interessante notare come non sia poi vero che i ventenni degli anni ’80 erano così diversi da quelli del terzo millennio.


BIOGRAFIA DELL’AUTORE:

Riccardo Schiroli è nato a Parma nel 1963. Giornalista professionista e poliglotta (parla correttamente Inglese e Tedesco, comunica in Francese e Spagnolo), è entrato nel mondo della comunicazione come conseguenza dei suoi studi di Economia. Una volta Amministratore Unico della Comunicazioni Parmensi s.r.l., sulla fine degli anni ’80 si è dimesso dall’incarico e ha deciso di seguire la sua vocazione,  cercando di percorrere la strada del giornalismo. Prima di ottenere l’accesso all’esame di Stato per l’esercizio della professione, ha fatto in tempo a diventare responsabile dell’informazione di Radio Onda Emilia (novembre 1990) e poi (agosto 1996) responsabile del Telegiornale di Teleducato a Parma. Una volta professionista (2000) ha assunto la direzione di Teleducato Piacenza.

domenica 14 febbraio 2016

Io & "Cento giorni di felicità"

Wikipedia recita: “Cento giorni di felicità è il primo romanzo di Fausto Brizzi, il quinto libro che ha pubblicato considerando anche i romanzi che ha tratto dai suoi film”.
Per quello che mi riguarda, è il primo libro di Brizzi letto.
Lo so. Sono una ritardataria. E lo sono con tutta la consapevolezza di esserlo, non solo perché non ho idea di come siano strutturati i quattro libri che hanno preceduto questo capolavoro, ma soprattutto perché mi sono ritrovata a iniziare la lettura di questo quinto appena qualche settimana fa.
L’anno di pubblicazione è il 2013. Certo, devo ammettere di non aver avuto un approccio nemmeno lontanamente tempestivo. Anche nel riparare al fatto di non aver mai letto prima qualcosa di suo, ho avuto i miei bei lunghi tempi da superare.
Una cosa da tenere in considerazione, però, c’è. O, almeno, io spero che ci sia e che riesca a giustificarmi un po’. Cento giorni di felicità di Fausto Brizzi è un libro che risiede sul primo scaffale della mia libreria dà più di 730 giorni (alias due anni); ormai.
L’ho acquistato con lo stesso spirito ottimista con cui ogni volta entro in libreria. Senza considerare mai la mole di parole che a casa mi accoglie ogni sera e in ogni momento libero e con l’allegra convinzione che, stavolta è la volta buona!, sarebbe stato diverso. Eh! Si dice sempre così.
Da lettrice appassionata quale ritengo di essere, nonostante altri impegni non mi consentano sempre di esserlo esattamente come e quanto vorrei, sapere che in un dato momento, di un certo anno, c’è un libro sulla cresta dell’onda, è come per le api sapere che, a pochi metri di distanza dall’alveare, c’è un prato fiorito e ricco di nettare.
Insomma, le buone intenzioni iniziali c’erano tutte. Peccato, poi, che siano arrivati subito altri pensieri a dare il via alla procrastinazione. Una parola che, permettetemi di fare un inciso, comincio a odiare in maniera quasi viscerale.
Mentre sul web continuavo a interessarmi a qualunque cosa riguardasse questi ‘Cento giorni’, ho cominciato a temere che potesse non essere una lettura adatta a me. Certa di non svelare nulla a chi sta leggendo, la scrivo esattamente come l’ho pensata: “Lucio Battistini ha il cancro e questo cancro lo sta per uccidere. Poco importa che lui lo chiami ‘Amico Fritz’, sempre di cancro si sta parlando. Vuoi veramente leggere un libro che racconta la storia di un malato di cancro? Come andrà a finire per il tuo stomaco? E come la mettiamo, poi, con la gastrite nervosa?”. Considerando che reggo a malapena le notizie di un telegiornale e che non di rado, perdonate l’ammissione di inadeguatezza a questo mondo, mi ritrovo a girare canale per non dover sentire, un tot considerevole di pagine che, per forza di cose, mi costringerebbe a entrare in empatia con un morituro (aggettivo calzante, utilizzato dallo stesso Battistini in riferimento a se stesso) potrebbe non essere una buona idea.
La prima volta che l’ho incontrato in libreria, l’ho sfogliato per un po’ e l’ho rimesso a posto sullo scaffale. Tra le libertà di un lettore c’è quella di scegliere. Sceglievo di non affrontare. Anche se una frase sul retro della copertina è comunque riuscita a rimanermi addosso: “L’unico rimpianto è aver dovuto scoprire di morire, per cominciare a vivere”.
Una settimana dopo, a seguito di nuovi incontri casuali con citazioni dalla storia, sono tornata in libreria e l’ho acquistato. Avessi trovato anche il coraggio di aprirlo, questo Post sarei riuscita a scriverlo nel già lontano 2013.
No! ‘Cento giorni’ è rimasto a fissarmi nella mia quotidianità, sopportando con pazienza l’attenzione data ad altri volumi, per un tempo che risulterebbe insopportabile per qualsiasi essere umano.
Come ha fatto a convincermi che fosse giunto il momento di un tête-à-tête? Tirando in ballo uno dei diritti di un libro: quello di essere letto!
“Almeno provaci! Se proprio non ci riesci, vorrà dire che farai un passo indietro e lo lascerai perdere”. È un mantra personale, che da un po’ di tempo a questa parte accompagna le mie giornate. Poche parole, che mi spronano a entrare in azione.
Potrei dirvi che il resto di questa particolare ‘amicizia’ è facilmente immaginabile, ma lasciate comunque che ve lo racconti. Cercherò di essere breve.
A un ritmo di venticinque-trenta pagine per sera (peccato non riuscire a resistere al sonno un po’ di più e avere la sveglia che suona la mattina sempre troppo presto), ‘Cento giorni’ è riuscito a tenermi compagnia per due settimane circa. Un libro che è un countdown carico di vita, contrariamente a quanto si possa pensare. Un insegnamento a ogni riga. Leggerezza, nello scrivere di una ‘questione’ seria. Un’esplosione di emozioni. Come un fuoco d’artificio di mille colori. Ho sorriso, ho riso di gusto, ho sentito le parole lette rimanere attaccate ai pensieri e non volersene andare, non sono mancate le strette allo stomaco che immaginavo avrei dovuto affrontare. Con una maestria narrativa non facile da trovare, Brizzi ha saputo sorprendermi. E quel libro tanto temuto, acquistato per poi essere ignorato per tantissimo tempo, ha saputo diventare esperienza indimenticabile. Ho sofferto. Come se Lucio fosse un amico vero, come se Lucio fosse uno di famiglia. Ho sperato fino alla fine di leggere un ‘ho sconfitto il male’, ma niente da fare. Del resto, Lucio lo aveva anticipato già alle prime pagine: “Era una domenica inutile e tropicale, durante la quale non successe niente degno di nota. Se escludiamo il fatto che alle 13.27 circa ho preso un bel respiro e sono morto”. Ho sperato comunque in un colpo di scena. Ho sperato si fosse trattato di una bugia, detta per stupire sul  finale con effetti speciali.
Invece, no! Lucio è morto per davvero.
Allora ho pianto, fino a farmi venire il singhiozzo. Ho faticato a razionalizzare il fatto di stare solo leggendo un libro. Lo stomaco mi ha torturata.
L’attimo dopo è stato semplicissimo pensare a quel libro, come a un buonissimo libro. Raro. Come sono rari quelli che sanno scuotere fin nel profondo dell’anima.
Una volta chiuso per non riaprirlo, l’ho rimesso al posto che aveva sul primo scaffale della libreria. L’ho guardato per la prima volta, senza temerlo più. Ero già pronta ad afferrare la lettura successiva quando, mentre con la mente mi stavo imponendo di scegliere un lieto fine, mi sono ritrovata a domandarmi: “Sono proprio sicura, sicura, che ‘lui’ non ce lo abbia avuto?”.
Ok. Lucio è morto, su questo non si discute. Ma rimane vero anche che Lucio è riuscito a vivere i suoi ultimi ‘Cento giorni’ dando loro un senso. Facendoli diventare: “Cento giorni di felicità”.
Mi ricordo allora di quella pagina che ho contrassegnato con un’orecchietta, per non perderla di vista (lo so, atteggiamento atroce nei confronti di un libro). Riprendo il libro. Lo riapro.
“Quanti sono i giorni che ricordate bene della vostra vita? Quelli speciali che potreste raccontare anche a tanti anni di distanza. E quanti sono invece quelli  normali in cui non accade niente degno di nota e che scivolano via anonimi? I secondi sono molti di più. Mi accorgo che ricordo soltanto un centinaio di giornate memorabili, a fronte di oltre 14.000 invisibili. Esco dall’ospedale con un pensiero fisso. Voglio che oggi sia un giorno da mettere al fianco dei tre che vi ho raccontato all’inizio di questa storia. […] È stato un campanello d’allarme sovrannaturale: «Ehi Lucio, tu credi di dominare il tuo destino e di avere ancora quaranta giorni di vita, ma non è detto che sarà così».


Procrastinazione. Ho detto di odiare questa parola (e il concetto che rappresenta) in maniera quasi viscerale. Ora mi accorgo che è per una ragione ben precisa. Per quel ‘non è detto che sarà così’. 

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Vivere, prima di morire. :-D