martedì 13 dicembre 2016

A partire da... una saponetta!

Tantissimi i modi attraverso i quali un ricordo può scegliere di arrivare dritto al cuore. Alcuni comuni, altri meno. Altri ancora che, decisamente, non ti aspetti. Il bagno pieno del vapore caldo della doccia. Lo specchio che non è più in grado di restituire un’immagine veritiera. Il freddo nelle ossa che non smette di farsi sentire e sembra voler chiedere di sistemarsi alla svelta sotto il raggio dell’acqua bollente. Una prima passata di shampoo. Una seconda. Poi, la scelta di strofinare il viso con vigore. Non con il solito sapone in gel, però. C’è una saponetta praticamente nuova poco lontano dal flacone di sempre e sembra avere tutta l’intensione di rendersi utile. È grande. Ovale. Pesante. Non una saponetta comune. I palmi delle mani, nonostante la collaborazione delle dieci dita, sembrano far fatica a gestirla. Un giro. Un altro. Un contro giro. Un contro giro ancora. Quasi come fosse un valzer. La pelle si compre in fretta di schiuma bianca e gli occhi sono pronti a chiudersi, per non farsi male.
Senza ombra di dubbio, è un buon sapone quello che sa farsi riconoscere; ignorando la prepotenza del raffreddore. Le guance calde gioiscono del tocco delicato di quelle bollicine. La prima volta che ho sentito un profumo del genere avevo dieci anni. La prima volta che mi sono ritrovata in mano il pacchetto della saponetta, lì per lì non sono riuscita a evitare un’espressione di delusione.
Sesamo indiano. Sarebbe potuto essere anche Chanel n. 5, ma a dieci anni, decisamente, – e dico... decisamente!!! – non ti aspetti di ricevere una saponetta per Natale.
Eppure pareva essere un regalo da dover apprezzare. Una confezione elegante quanto basta, per non far sfigurare il contenuto. E un piccolo bigliettino d’auguri accompagnato da una banconota in lire, dove mi si diceva che con quei soldi avrei potuto acquistare ciò che più desideravo e che quella saponetta era l’unico pensiero di uno zio forse un po’ troppo al di fuori dal mondo femminile (soprattutto da quello delle teenager, o prossime) per riuscire a capire quale sarebbe stato il regalo giusto per una ragazzina come me.
A distanza di 21 anni… il profumo di una saponetta mi riporta al ricordo. Non rammento cosa ho acquistato con la banconota in lire che accompagnava il bigliettino, ma ho ancora memoria di quella saponetta ricevuta in dono. Tanto, da andare a cercarla in un negozio giorni fa. Perché, in prossimità del Natale, mi sono ritrovata a pensarci. Pensare a una saponetta, in prossimità del Natale... che stramberia!
Il punto è che la saponetta è stata un piccolo dono, che però ha saputo rimanere nella mia vita. Un piccolo dono di uno zio che ha provato comunque a metterci il cuore, più che il portafogli. Un piccolo dono che, forse, mi ha portato a pensare – negli anni a venire – che raramente esiste qualcosa di meglio. Meglio dei piccoli doni, intendo.
Viaggio in fretta con i pensieri e mi ritrovo a riflettere sui compleanni passati. Quanti sono i regali che ricordo veramente di aver ricevuto? Bastano le dita di una mano per contarli e non sto qui a elencarli. Tutto il resto? Che fine ha fatto il resto?
Niente. Memoria k.o. Nessun ricordo. La saponetta vince. Vince su tutto, o quasi.
Arrivo a pensare, allora, a che cosa ho scritto nella mia letterina per Babbo Natale.
Libri e/o Cd. Un plurale che non vuole essere di pretesa, ma che vuol piuttosto indicare che – in generale – non ho gusti particolarissimi da dover accontentare.
Nonostante la libreria pienissima, nonostante la musica un po’ ovunque in giro per casa, la mia ‘letterina’ somiglia tantissimo a quella degli anni passati.
Come negli anni passati, capita poi che sotto l’Albero ci sia molto, ma molto di più. Dei regali che apprezzo, ma che – in tutta onestà – non sempre ricordo.
Un libro è diverso. Regalarlo significa regalare la possibilità di trascorrere ore bellissime. Regalarlo significa regalare qualcosa che va al di là del tempo e che, per davvero, potrebbe rimanere in eredità a qualcuno dei miei parenti molto futuri. Un libro sa farsi ricordare ed è un regalo che non passa mai di moda. È quasi certo che non entrerebbe mai nelle mire di eventuali (speriamo di no) furfanti notturni (cosa che invece potrebbe succedere a ben altri oggetti, di ben più alto valore e di più bella figura…) e che, sì, proprio come una saponetta… ogni libro abbia un suo profumo. Qualcosa che, sfogliando le pagine, potrebbe dar vita a un’emozione, che poi – con il passare degli anni, chissà – il cuore potrebbe ritrovarsi a vivere attraverso un ricordo. Tutto questo ragionamento… a partire da una saponetta!

giovedì 18 agosto 2016

Dodici minuti dalle Dodici

Aveva l’abitudine di esprimere un desiderio ogni volta che, imbattendosi in un orologio, le capitava di trovare ore e minuti uguali.
Aveva l’abitudine di esprimere un desiderio ogni volta, anche se poi arrivava sempre quel pensiero cattivo a ricordarle che i desideri non si avverano; solo perché gli occhi catturano l’immagine di due numeri gemelli dentro un display. O perché due lancette, una più veloce dell’altra, a un certo punto si ritrovano a segnare lo stesso valore.
Aveva l’abitudine di esprimere un desiderio ogni volta che,  imbattendosi in un orologio, le capitava di trovare ore e minuti uguali.
Lo faceva con la stessa noncuranza con cui, almeno una volta la settimana, entrava in tabaccheria per chiedere un ‘gratta e vinci’. Perché non si può sperare di essere fortunati, se non si è disposti a dare una possibilità – anche più di una – alla fortuna. Anche se poi non le era ancora mai capitato di vincere qualcosa e gli unici soldi che era riuscita a mettere nel portafogli, che non provenissero dal suo stipendio, li aveva effettivamente incontrati per strada, in fondo a una via solitaria, poco lontano da una cicca di sigaretta sporca di rossetto.
Una piccola banconota da cinque euro. Non certo quel che basta per dare una svolta alla vita.
Incontrarla a pochi metri da un bar, con lo stomaco che aveva appena cominciato a brontolare per la fame e con la consapevolezza che l’ora di pranzo fosse ancora abbastanza lontana da non riuscire a resistere fino ad allora, l’aveva convinta che potesse essere il momento giusto per uno spuntino. Cinque euro sono più che sufficienti per un cornetto alla marmellata, per un cappuccino, di quelli con il supplemento di schiuma e di polvere di cacao che non si dimenticava mai di chiedere ovunque fosse, e per un ‘gratta e vinci’ che, a giudicare dall’insegna blu sopra la porta, con molta probabilità avrebbe trovato appesi in lunghe file dietro il bancone.
Ci sono bar che, a una certa ora, riescono a essere più affollati di una piazza in un giorno di mercato e bar che – come quello – preferiscono garantire alla clientela una giusta quiete costante. Erica era felice di essersi imbattuta in un posto del genere. Poté poggiare su una sedia le sue buste degli acquisti, senza che a qualcuno venisse in mente di chiederle un attimo dopo se per caso quella fosse una sedia libera e se, per gentilezza, avrebbe potuto prenderla.
Poté allontanarsi dal tavolo, senza portare con sé il timore che qualcuno avrebbe potuto approfittare della sua assenza per toccare le sue cose o, e non seppe stabilire se sarebbe stato peggio, rubarle il posto. Poté rimanere davanti il bancone delle cose da mangiare per tutto il tempo che reputò necessario, senza per questo sentirsi in imbarazzo davanti al barista. Senza rischiare di essere strattonata da altri affamati; più affamati di lei. E potendo scegliere (senza fretta) effettivamente quello che avrebbe voluto scegliere, scegliendo con gli occhi.
Grazie alla calma del luogo si accorse infatti di essere entrata – sì – per un cornetto alla marmellata e per un cappuccino con tanta schiuma, ma di voler chiedere un panino con prosciutto cotto e maionese e un bicchiere di spremuta d’arancia.
Chiedeva sempre una spremuta d’arancia, anche se poi – il più delle volte – in molti bar si ritrovava costretta a ripiegare sul succo in bottiglietta; che non ha niente a che vedere con il sapore delle arance appena spremute.
L’uomo dietro il bancone impiegò pochissimi secondi a spaccare i tre frutti necessari per riempiere un bicchiere e a Erica parve che l’aria dentro il locale s’impregnasse all’improvviso di quel buon odore di agrumi.
Tornò a sedersi insieme al suo panino e non riuscì a evitare di sorridere imbattendosi nel suo riflesso dentro a uno specchio a muro un po’ segnato dal tempo.
«Ecco a lei». A giudicare dalla pelle delle mani Erica avrebbe detto che quel barista non potesse essere tanto in là con l’età, ma le rughe sul viso tradivano una vita già vissuta per la maggior parte e la luce negli occhi, seppur ancora presente, sembrava essere una di quelle luci non più fresche come quelle che si trovano in gioventù o, comunque, nel buono degli anni.
Quel bar era il bar giusto anche per questo. Segno che i cinque euro trovati per strada non si erano fatti trovare davanti ai suoi piedi per caso. Per la prima volta qualcosa l’aveva spinta ad entrare proprio lì, in quel posto che aveva sempre ignorato. E si era ritrovata ad avere a che fare con una persona sconosciuta, ma che – a pelle – già godeva di tutta la sua fiducia. Una persona che, in qualche modo, la faceva sentire bene.
«Grazie!». Prese il bicchiere dal piccolo vassoio d’acciaio, cercando di nascondere il tremore delle mani che alle volte era in grado di procurarle un disagio. Aveva sentito diversi medici al riguardo e, per fortuna, tutti i controlli fatti avevano portato a credere che non ci fosse nulla fuori posto. Così, visto che le mani continuavano a ballare una danza tutta loro  di tanto in tanto, alla fine ad Erica era stato detto che – con molta probabilità – poteva trattarsi di una reazione emotiva. Reazione a che cosa? Non era dato sapere. Emotivamente parlando, però, Erica avrebbe preferito non dover aggiungere anche quello alla sua lunga lista di ‘difetti’.
«Ha trovato qualcosa di interessante in libreria?». Il barista indicò le buste con un cenno, scostandosi di qualche passo in direzione del bancone. Dei tre libri che Erica aveva appena acquistato, solo di uno era assolutamente sicura e fu quello di cui gli parlò.
«Una bella storia d’amore. Una di quelle con il lieto fine sicuro, qualunque cosa accada in mezzo alle pagine». Sorrise. A ben pensarci, avrebbe potuto approfittare di quella sosta imprevista in quel bar per leggere un po’. Ma non lo fece.
Ignorando l’imbarazzo di parlare guardando dritto negli occhi il suo interlocutore, chiese invece: «A lei piace leggere?». Il bar era tanto bizzarro da non tenere in giro neppure un quotidiano, perciò c’era da credere che il barista avesse qualche tipo di avversione per la parola scritta e che gli avesse fatto quella domanda solo per dimostrarsi cordiale.
Quando Erica lo vide tornare di nuovo dietro il bancone per tirar fuori da un cassetto una vecchia agenda di pelle e una bellissima penna stilografica, non riuscì a evitare di spalancare la bocca per lo stupore.
«Mi piace scrivere, anche se non sono poi così bravo».
«Sta scrivendo qualcosa, adesso?».
Il sorriso del barista lasciava intendere di sì, ma la sua testa rispose comunque muovendosi a destra e a sinistra.
«Peccato. Mi sarebbe piaciuto poter leggere qualcosa scritto da qualcuno che…». Erica interruppe la frase a metà, consapevole che chiuderla con la parola che aveva in mente – ossia ‘conosco’ – non fosse proprio dire la verità. Sarebbe stato più giusto affermare che le sarebbe piaciuto poter leggere qualcosa scritto da una persona cui poter stringere la mano, poi, per congratularsi del lavoro fatto. Questo, sì! Anche se, a ben pensarci, anche in tal caso non era certa che le parole del barista le sarebbero piaciute al punto da congratularsi con lui.
Scelse di rimanere in silenzio, concentrandosi sull’ultimo morso del suo panino.
«Potrebbe tornare qui fra qualche giorno e chiedermi di nuovo se ho qualcosa di finito da farle leggere, sono sicuro che per allora mi sarò fatto venire in mente almeno una piccola storia». Il barista aprì le pagine della sua agenda fino a trovarne una completamente bianca e svitò il tappo della sua stilografica come a lasciar intendere che si sarebbe messo subito all’opera.
Erica non riuscì a evitare di ridere di gusto. Non fosse stato per l’imbarazzo della richiesta, gli avrebbe domandato la possibilità di fare una fotografia insieme. Lei, lui, l’agenda e quella stilografica che poteva considerarsi, senza sbagliare, la fuoriclasse delle penne.
Continuando a tenere il cellulare in tasca, però, preferì alzarsi per raggiungere la cassa e pagare il conto.
Aveva già allungato la banconota da cinque euro oltre il bancone, che si sentì dire: «12 e 12. Esprima un desiderio…». Non era sicura che valesse, così, su comando. Né era sicura che fosse valido esprimere un desiderio in quel caso, per il fatto che non erano stati i suoi occhi a catturare la coincidenza. Ma Erica preferì ubbidire, senza pensarci troppo. Era comunque un’occasione in più, che avrebbe potuto dare a tutto ciò che avrebbe voluto diventasse realtà.
Per i desideri vale un po’ quel che vale per la fortuna. Se non si è disposti a dar loro un’opportunità quando se ne presenta l’occasione, poi non ci si può lamentare del fatto che non si avverino.
Aveva l’abitudine di esprimere un desiderio ogni volta che, imbattendosi in un orologio, le capitava di trovare ore e minuti uguali.
Pensò fosse buffo che anche quel barista custodisse in sé la stessa mania.
Lesse lo scontrino per controllare che fosse vero. Che fossero davvero appena passati dodici minuti dalle dodici.
In quel momento lesse anche un nome… Giuseppe.
«È lei Giuseppe?». Stavolta, la testa dell’uomo si mosse in su e in giù per rispondere di sì.
Erica pensò che un tipo del genere non l’avrebbe certo rintracciato su Facebook. Per questo, si affrettò ad allungare una mano e a presentarsi: «Mi chiamo Erica…». Avrebbe voluto raccontargli del modo bizzarro in cui aveva deciso di entrare in quel bar per la prima volta, ma non lo fece.
Non chiese nemmeno il ‘gratta e vinci’ che aveva immaginato avrebbe chiesto prima di uscire.
Quei cinque euro trovati per strada le avevano appena pagato una delle colazioni più tranquille, buone e insolite della sua vita e le avevano appena regalato la possibilità di esprimere un desiderio. Non poteva chiedere di più.
Forse, la prossima volta che sarebbe tornata a trovarlo, avrebbe potuto giocare una partita con la fortuna. E, magari, Giuseppe le avrebbe fatto trovare una storia scritta ispirandosi a quel loro breve attimo insieme. Magari, Giuseppe avrebbe potuto scrivere un racconto che parlasse dei desideri che si esprimono, quando il tempo è fatto di numeri uguali. Magari, lei avrebbe fatto in tempo a finire il libro di cui gli aveva accennato e avrebbe potuto raccontarglielo con maggiore precisione. Avrebbe potuto chiedere un’altra spremuta, per respirare di nuovo l’odore del frutto fresco nell’aria, o scegliere di farsi venire i baffi bianchi; sorseggiando un cappuccino schiumoso.
Aveva la certezza che sarebbe tornata in quel posto ed era comunque tutto ciò che contava.
Alle 12 e 18 si salutarono con un: «Arrivederci!» detto all’unisono.
Pare che alcuni esprimano desideri anche in situazioni del genere, quando la stessa parola esce da bocche differenti nello stesso momento.
Loro… no! Loro avrebbero aspettato di nuovo di imbattersi in ore e minuti uguali.


sabato 6 agosto 2016

L'amore, quando basta!

Giulia addormentata sul divano. Federico la svegliò stringendola a sé. Forte. L'abbracciò, come se quell’abbraccio fosse tutto ciò di cui aveva bisogno per ricaricare le pile dopo una lunga giornata di lavoro. “Esci con me”, le sussurrò a un orecchio facendole solletico con il respiro. Era il suo modo speciale per chiederle di concedersi qualche attimo insieme sul prato fuori casa, prima di andare a dormire. Il suo modo speciale per dirle che, se anche per tutto il giorno non erano potuti stare insieme, avrebbero potuto comunque rimediare. “Le stelle sono così belle stasera, sarebbe un peccato perdersele”. Federico sorrise e a Giulia bastò l’immagine di quelle labbra perfette e incurvate all’insù per scacciare via il fantasma del sonno. “È ancora un po’ presto per i desideri, però”. Gli baciò il collo, mentre con la mano cercò la sua per poter intrecciare le dita. “Cosa vorresti chiedere a una stella cadente?”. Federico era sicuro di conoscere il desiderio più grande di Giulia, ma lo domandò comunque. Era altrettanto certo che non glielo avrebbe rivelato, ma si finse comunque un po’ imbronciato quanto lei gli rispose: “Non posso dirtelo, altrimenti non si avvera”. Oltrepassarono il portone e raggiunsero il prato senza curarsi nemmeno di prendere una coperta. “Sarà ancora un po’ presto per le stelle cadenti, ma… è il momento perfetto per lasciare cadere a terra i vestiti. Che ne dici?”. La sveglia avrebbe suonato di nuovo tra meno di sei ore, ma non importava. Giulia cercò le labbra di Federico per catturarle in un bacio lunghissimo. Quello era il suo modo preferito di ricaricare le pile.

martedì 2 agosto 2016

Il mondo attraverso una rete di pasta frolla!

18.30. Una consegna da effettuare. Seduta in macchina, in un parcheggio che si affaccia sulla strada, provo a ingannare il tempo osservando le automobili che passano. Cerco le mie iniziali nelle targhe. Arrivo a contarne sette in meno di cinque minuti e già non ne posso più. Troppe EV in circolazione. Alzo gli occhi e provo a immaginare le questioni di chi è alla guida. Dove staranno andando. Cosa staranno pensando. Da dov’è che sono partiti. Cose così. Mi colpisce un uomo che, tra un’occhiata e l’altra alla strada davanti a sé, sta addentando uno spicchio di pizza. Vorrei poterlo fermare e dirgli che quello spicchio di pizza avrebbe un sapore decisamente più buono, se mangiato altrove. Magari seduto a un tavolino, davanti a un bicchiere di birra. Ma, pare che il mondo stia diventando dei frettolosi; o forse no. Io spero di no, mentre cerco di ignorare la fame che mi è venuta a vedere quella pizza. Alcune macchine dopo… una ragazza, lato passeggero, sbadiglia. Scopro così che lo sbadiglio è contagioso anche da abitacolo ad abitacolo e se ne frega dei finestrini chiusi a sbarramento. Sbadiglio. Bene! Osservando le macchine sono riuscita a guadagnare fame e sonno in meno di un quarto d’ora. Arriva la persona che stavo aspettando. Si scusa per il leggero ritardo e, sorridendo, mi dice che dovrebbe ricompensarmi con una crostata; per la gentilezza e la pazienza. Bellissimo questo mondo, in cui un dolce può essere ancora una soluzione, ma… ha detto per caso la parola crostata?!? Sì! L’ha detta. Il mio stomaco brontola di approvazione, ma è abbastanza silenzioso nel farlo e riesco a non fare una figuraccia. Mai parlare a una persona affamata di cose da mangiare, ma lui non può saperlo. Torno a casa e, mentre cerco di rimanere concentrata sulla guida, mi pare di vedere il mondo attraverso una fitta rete di pasta frolla!

sabato 23 luglio 2016

Ho provato ad aggiustare il tiro...

“Alle volte la vita sbaglia i momenti”. L’ho letto stamattina in un libro e da allora non faccio che pensarci. Un pensiero altrettanto frequente è un pensiero anche bizzarro; in realtà. Non lo so perché, ma la mia mente continua a produrlo da giorni e lo produce in inglese. Spessissimo me lo ritrovo in mezzo al solito caos che ho in testa, che riecheggia come sotto l’effetto di un loop infinito: 
...I’m not a robot!
C’ho messo tantissimo per capirlo ed è curioso ritrovarcisi ad avere a che fare proprio adesso che, forse per la prima volta nella mia vita, ho agito come se per davvero fossi una macchina; come se del mondo fuori non mi importasse abbastanza da cercare di capire e comportarmi di conseguenza.
Forse il mio atteggiamento è il prodotto di questioni masticate a lungo e comunque mal digerite, anche se è una magra consolazione. Forse questa vuole essere una resa dei conti caotica, in cui il misero premio di consolazione e accorgersi di avere tradito un po’ me stessa (quella me stessa che sa non tirarsi indietro, anche se c'è da correre il rischio di farsi male); con la speranza di riuscire ad aggiustare il tiro perché non è ancora tardi. Forse, sono fasulli sia l’uno che l’altro pensiero e la mia pazzia personale è più vicina al limite di quanto a me piaccia credere. Potrebbe essere…
Il punto è questo: l’incapacità di credere. L’incapacità di credere alle persone, che è il blocco peggiore che si possa avere. Con chiunque io mi ritrovi ad avere a che fare, mi accorgo di cercare - prima di ogni altra cosa - segnali possibili di in che modo questo qualcuno vorrà provare a fregarmi.
Una persona entra nella tua vita all’improvviso, lo fa con tutta la gentilezza possibile e  tu, per tutta risposta, le chiudi la porta in faccia senza avere una vera ragione. Vorrei potermi dire soddisfatta del fatto di aver colpito per prima, almeno per una volta. Ma la verità è che – invece – continuo a pensare di aver giocato troppo d’anticipo.
Perché l’ho fatto? Per paura.
Nulla paralizza di più un cuore, seppur desideroso di nuove emozioni, che la paura di soffrire di nuovo.
Non ho mai nascosto le mie ferite. Non per la vanità del sentirsi una sopravvissuta a certe cose. Non ho mai nascosto le mie ferite perché sono alcuni degli ingredienti che appartengono alla complicata ricetta di me. Io sono il risultato di momenti felici, di momenti indimenticabili, di passi fatti in equilibrio precario su un filo, di cadute inaspettate e di ferite. Da oggi mi sento di aggiungere a questo particolare miscuglio anche un pizzico di occasioni mancate. Un ingrediente che scopro di volere ancora meno del dolore, perché… mentre con il dolore sono riuscita a scendere in qualche modo a patti e in tutti i casi (posso dirlo con certezza) è stato in grado di portarmi a qualcosa di buono, un'occasione mancata è la fotografia istantanea di una strada da percorrere, che però non sentirà mai il tocco dei miei piedi.
Cosa si fa quando ci si ritrova ad avere a che fare con un'occasione mancata? 
...Si prova ad aggiustare il tiro.
Divertendomi a tempo perso con arco e frecce, posso assicurare che ce ne sono di belle da fare per riuscire a raggiungere il giallo. E, se anche il risultato non è mai garanzia, è certo che abbandonare non è la soluzione. Così, ho provato a immaginarmi come in una delle sedute di allenamento. Ho preso un respiro, ho allontanato i pensieri negativi, ho cercato di focalizzare quello che avrei voluto ottenere e ho scagliato la mia freccia.
Quando si ferisce qualcuno senza che ce ne abbia dato reale motivo, l’unica cosa possibile da fare – perché un tiro fatto male possa sperare di aggiustarsi – è chiedere scusa.
In un groviglio di parole che non mi è stato possibile dire di persona, ho cercato di spiegare le mie ragioni. Niente da fare.
Così, ora mi ritrovo a dover gestire anche un altro pensiero. Che forse ho agito male, vero. Ma che le cose si sarebbero potute aggiustare con la massima tranquillità, se solo anche dall’altra parte ci fosse stata l’esigenza di aggiustare il tiro allo stesso modo. 
Una cosa che di me non è mai cambiata è proprio questa. L’esigenza di un’emozione che può essere tanto veloce quanto una stella cadente, ma che - necessariamente - deve essere vera.
È stata un’emozione a spaventarmi. Qualcosa che, al di là di ogni mio calcolo, è riuscito a fare un passo in più rispetto alla convinzione che avrei potuto fare tranquillamente a meno di certe cose e il pensiero che avrei preferito non immischiarmi più in faccende umane del genere.
Mi sono ritrovata seduta su una panchina, a parlare più di niente che di qualcosa, a cercare di raccontarmi per quel poco che sono e a sorridere felice; dentro una serata d’estate decisamente inaspettata.
In quel momento ho saputo riconoscere un attimo speciale. Un piccolissimo frammento della normalità che vado cercando, da cui però – subito dopo – ho sentito l’esigenza di difendermi. Di scappare.
Forse ho sbagliato. O, forse, no. Cerco di mettermi nei panni di quest’altra persona e, nel limite di quel poco che ho potuto conoscere, cerco di capire se per caso non abbia esagerato con le parole nei confronti di qualcuno che, magari, era spaventato quanto me. Non saprei. Continuo a provare a mettermi nei panni di quest’altra persona e mi domando perché, semmai, possa essere bastato così poco per lasciar perdere. Provo a mettermi nei panni di quest’altra persona e penso che non sia possibile non accorgersi di come ho provato a sistemare le cose. Torno a mettermi nei miei panni e sento di nuovo quel pensiero in inglese: I’m not a robot! Il che significa che, forse, è proprio perché non sono una macchina che ho agito in questo modo. Perché le macchine non temono di farsi male. Perché le macchine, in nessun modo, provano a farsi capire pure sbagliando. Perché le macchine non hanno cuore. Torno a mettermi nei miei panni e ritrovo quel bisogno di essere protetta, anche se farlo potrebbe significare avere a che fare con un mucchio di spine. Torno a mettermi nei miei panni e ritrovo il desiderio di incontrare qualcuno che, in un mondo pieno di apparenze e di finta perfezione, in un mondo dove sembra sia la regola non lasciarsi coinvolgere dalle cose, sia imperfetto quanto me, magari abbia un lato oscuro difficile quanto il mio, sia il risultato di un miscuglio di ingredienti assurdi da mettere tutti insieme e sappia difendersi chiudendo le porte al mondo, se quel mondo non lo fa sentire al sicuro quanto vorrebbe. Sono porte che si chiudono anche per misurare il coraggio di chi viene a bussare, per vedere quanto sarà in grado di insistere ed aspettare. E si chiudono sempre e solo se c'è stato un pizzico di felicità alla base. Perché solo ciò che è in grado di regalare un'emozione è in grado di far nascere la paura di doverne fare a meno. 
Ho provato a trasformare uno zero in un dieci. Ho provato ad aggiustare il tiro…


lunedì 18 luglio 2016

Una penna incline alla felicità...

Una serata per scrivere. Ritrovarsi insieme in una stanza accogliente. Mondi diversi e sconosciuti tra di loro, che per un po' si cibano della stessa aria. Quaderno e penna con me. La voglia, il bisogno di chiudersi per un po’ in un mondo di parole. Il resto fuori. Una serata per scrivere dedicata alla bellezza e all’importanza dell’incipit. L’incipit. L’inizio. L’inizio è importante in ogni cosa. Da come le cose iniziano, si riesce a intuire gran parte del resto. Il più delle volte. Due fotografie. Una bellissima piazza Grande al tramonto e l’immagine di una coppia sorridente. Felici a colpo d’occhio, le mani abbracciate. Immaginare un'incipit che includa questi elementi. Dare un nome ai personaggi. Scegliere per loro una situazione. Una penna incapace di non considerare un lieto fine. Una penna incline alla felicità... la mia.
Matteo. Alice. Una conoscenza di sei mesi appena. Un amore forte sin da subito. Un amore che se ne frega della prudenza e va dritto per la propria strada...


“Un lunedì sera. Un lunedì sera qualunque, in effetti. La Piazza deserta e il sole pronto per andare a dormire. Una fotografia scattata con gli occhi su quel mondo intorno già silenzioso, che poi non sarebbe più stato lo stesso. Una scalinata lunga che riesce a farsi notare da lontano. Oltrepassare il portone tenendosi mano nella mano. Un passo alla volta. Insieme. Fino in cima. Sempre insieme. Li stavano aspettando...”.

Matteo e Alice. Una conoscenza di sei mesi appena. Un amore forte sin da subito. Un amore che se ne frega della prudenza e va dritto per la propria strada...
“Ci prenderanno per pazzi, lo sai?”
“Sì! Però… dei pazzi felici!”.
Una fine. Un'inizio...
…Una penna incline alla felicità: la mia!

sabato 18 giugno 2016

Quel momento in cui tre frecce hanno trafitto il dieci...

Alle volte lo maledico. 
Spesso non è con me, quando serve. 
Il cellulare...
Trovo in 'lui' un alleato, quando si tratta però di immortalare un momento. 
Anche se ieri sera non ce l'avevo in tasca e l'intenzione iniziale era di lasciarlo abbandonato dentro la borsa per tutto il tempo dell'allenamento. 
Ho ripercorso i 18 metri all'indietro e sono andata a prenderlo.
Amo immortalare le "prime volte". 
Nella mente lo faccio sempre, con le parole. Istintivamente. Trasformo le mie "prime volte" in piccole, brevi storie; che riesco meglio a ricordare. 
Il cellulare moderno mi consente di scattare fotografie e di giocare con i colori. Perché no? 
Ne farò comunque un album di ricordi, da poter sfogliare a distanza di tempo. E, a distanza di tempo, mi ricorderò di un venerdì diverso dal solito. 
Di un venerdì 17 in cui l'Italia disputava la seconda partita agli Europei. 
Di un venerdì 17 in cui, a diciassette minuti dalle 17, il numero 17 della Nazionale ha segnato il gol della vittoria. 
Mi ricorderò di un venerdì 17 in cui il tempo ha potuto concedersi il lusso di scorrere lento e ricorderò di quel momento in cui, sul cominciare profondo della sera, per la primissima volta... tre frecce hanno trafitto il dieci!!! 


Il primo 30, cui forse ne seguiranno altri. 
Cui spero ne seguiranno altri. 
Con la consapevolezza che nessuno avrà, però, lo stesso sapore del primo!   

domenica 5 giugno 2016

Tutto il futuro del mondo: BlogIntervista a Laura Bonelli

Il tempo che scorre veloce. Progetti in corso che, un po' anche per il timore di dover scrivere l'ultimo punto e doverli 'lasciare', procedono più lentamente di quanto vorrei.
BlogInterviste e "Tutto il futuro del mondo"... che ne dite di riprendere da dove eravamo rimasti? :-D
Dopo il post dedicato a... Rosario Amenta e quello scritto per presentarvi Paola Cavallari (un click sui nomi per le loro BlogInterviste, se vorrete rinfrescarvi la memoria!) eccomi a parlarvi di un'altra co-autrice del libro... 



E' la volta di Laura Bonelli e del suo: 
La teoria della Matrioska

Consigli che daresti a esordienti?

Non è semplice dare consigli, mai, in nessuna situazione.... posso solo dire quello che è successo a me. Scrivo perché ho un sincero amore per questo genere di espressione, perché mi obbliga a riflettere, a pensare e ad imparare da me stessa e dalle storie che gli altri mi comunicano. La pubblicazione di un proprio scritto è senz'altro importante, ma è più importante la maturazione personale che questa espressione obbliga a fare, proprio perché certe esperienza interiori, certi sentimenti e certi pensieri possono essere tradotti in scrittura solo quando vengono “lavorati” internamente.
      
Libri d’altri… le tue letture preferite?
      
Ho, da molto tempo,una passione per il modo di scrivere di Gianni Biondillo.  Trovo che  sia davvero interessante e stimolante. Mi piace la scrittura teatrale, con una particolare propensione per autori come Samuel Beckett ed Eugene Ionesco e amo molto le sperimentazioni. Segnalo due libri, in questo senso, cioè “Prima del calcio di rigore” dello scrittore austriaco Peter Handke, scritto nel 1970 e un romanzo breve “La mia dea” del regista Giacomo Faenza, pubblicato qualche anno fa.


Quando hai capito che saresti diventato uno scrittore, o che avresti comunque amato scrivere e come è nata l’idea della storia presente in Tutto il futuro del mondo?

In terza elementare, avrei voluto diventare una tassista e scrivere.
Non ho mai guidato un taxi.
Il progetto “Tutto il futuro del mondo” proposto da Arpanet Edizioni mi è piaciuto tantissimo e ho voluto inviare il racconto che, con mio grande piacere, è stato selezionato per far parte dell'antologia. “La teoria della matrioska” è un poliziesco, e per scriverlo ho chiesto la consulenza di un esperto del Nucleo Operativo di Parma, che opera di fianco ai R.I.S.
Ho passato un paio d'ore nel suo ufficio e l'ho tempestato di domande sulla reale modalità di lavoro della polizia. Prima di inviare il racconto gliel'ho fatto leggere e ho avuto il suo, divertito, benestare.

Il commento più bello che hai ricevuto da un lettore?

L'ho avuto da una lettrice spagnola, che mi ha detto che c'è bisogno che  la visione della vita di cui scrivo, venga raccontata.

Il prossimo libro-racconto che scriverai parlerà di...?

Forse di mondi paralleli o forse di api... staremo a vedere!

Alla prossima! 
Buone letture!!! :-D

venerdì 27 maggio 2016

Con la tinta sulla testa...

I capelli da sistemare. Colore, taglio. Giusto una 'spuntatina'. L'appuntamento preso all'ultimo momento; stamattina. Chiedo per le 18.30. "Arriva un po' prima, se puoi...". Alle 18 sono lì. C'è una bella folla femminile. C'è una bimba, anche. E' lei a catturare l'attenzione più di tutte. Sposta una sedia per avvicinarla ai divanetti e ci si sistema sopra con le gambe incrociate. Tiene in mano una rivista di cucina. Gli occhi curiosi. Due guanciotte 'attira-baci' leggermente arrossate. Comincia a sfogliare e si ferma appena trova l'immagine di un piatto di spaghetti. Ha la mia stessa espressione di quando ho fame. "Gli spaghetti sono una cosa buonissima", dice in mezzo a mille sorrisi. Sono d'accordo. Dopo una lunga serie di "Questo cos'è?", decide che vorrebbe trovare una pizza tra quelle pagine. Niente da fare, ma anche questa seconda passione culinaria è una cosa che condividiamo. Si alza e prova ad ammazzare la delusione a suon di caramelle. Ne guadagno una anch'io... all'albicocca. Si chiama Maria. 2 anni, quasi 3. Mentre sono seduta con il lavabo alle spalle e la tinta già in testa, immagino quanto potrei essere buffa conciata in quel modo. Lei non se ne cura. Mi guarda seria e dice: "Io e te non abbiamo ancora giocato insieme!". Non sia mai. Passiamo i venti minuti successivi a fare finta che io non mi accorga di lei, mentre si diverte a giocare con la testa della doccia e finisce per bagnarsi le maniche della maglia di cotone. Si intestardisce di voler bere da lì, come fosse una bottiglietta. Ho il compito di impedirglielo. Ha l'espressione furba, di chi se ne frega se qualcosa 'non si fa'. Aspetta comunque che glielo dica ogni volta e, ogni volta, mi regala una risata. Prima di ricominciare daccapo! ;-) <3

sabato 21 maggio 2016

A chilometri di distanza: "Quando infinito non è"

Eccomi di nuovo da queste parti! :-D Con il cuore a 100&+ per dei progetti in corso (di cui spero di poter parlare presto) e con la voglia di continuare a mettermi alla prova... scrivendo! 
E' on-line l'ottava parte della 'storia Wattpad': 
"A chilometri di distanza"!!! 
Ma, come fosse una serie televisiva di quelle americane, questo Blog ve la presenta con un leggero ritardo e ve la fa leggere 'in differita'. 
Che ne dite... vi va di continuare a conoscere il mondo di Sofia, che avete conosciuto in questo primissimo Post della serie?!? :-D
Era un sì, quello che ho sentito uscire dalle casse malandate del computer? Mi fa piacere!
Ecco a voi la seconda parte... 


Quando infinito non è


«Hai messo il maglione pesante in valigia?».
Gli occhi della mamma si ostinano a seguirmi in ogni spostamento, dall'armadio al letto e viceversa.
Non vorrei farle presente quanto sia estenuante per me, averla attorno in questo momento. Ma è estenuante.
Continua a guardarmi come se il fatto di aver deciso di cambiare città, così, all'improvviso, sia la decisione peggiore che potessi prendere.
Evito di farle presente che in un passato non troppo remoto m'era balzata per la mente l'idea di fare fuori una certa Bionda e scelgo di tenere per me anche l'idea, di gran lunga più recente e di gran lunga più sconvolgente, di trovare un ponte dove potermi spenzolare giù e farla finita. Quelle sì, che sarebbero state decisioni pessime. Pessime e senza possibilità di ripensamenti.
«Mamma! Sto andando in Umbria, mica al Polo Nord!».
Con la mia famiglia viviamo a Roma. Con il mio ex marito eravamo riusciti ad acquistare un piccolo appartamentino a pochi metri di distanza dalla casa dei miei. Con i miei ex suoceri ci bastava camminare per poco meno di un chilometro, per poter essere tutti insieme a pranzo, o a cena. Da una parte, o dall'altra.
Ovvio che, qualunque altro posto sulla faccia della terra, non sia mai stato degno di considerazione per noialtri. Almeno, finora.
Anche la scelta delle vacanze, a dire il vero, è sempre stata piuttosto ardua. Forse perché detesto volare e la sola idea di ritrovarmi immersa nelle nuvole, a metri, e metri, e metri da terra non mi ha mai entusiasmato più di quel tanto. Anche se pare che viaggiare in aereo sia il modo più sicuro. Io di sicuro ci vedo soltanto il fatto che, qualunque cosa succeda, non la racconterai.
Afferro l'ultimo paio di jeans, di quelli che considero i miei preferiti, e chiudo la lampo. Manca la scelta delle scarpe e un beauty-case da preparare, con lo stretto indispensabile.
«Beh! Anche se sono appena tre ore di macchina da qui, non si sa mai che tu possa incontrare la neve».
Come se il fatto di imbattersi in una bella nevicata sia da considerarsi una catastrofe. Blocco al volo la mamma, che cerca di approfittare della mia capatina in bagno per nascondere in valigia uno degli ultimi regali della nonna. Un pullover di quelli realizzati a mano, con i ferri e il gomitolone di lana di tutti i colori. Non so se rendo l'idea.
Indossarlo, anche solo per un minuto, mi fa subito venire in mente l'idea di aver bisogno di mettermi a dieta.
In realtà tra i dispiaceri, il divorzio e tutto il resto, l'asticella della bilancia si è notevolmente abbassata. Ma non lo consiglierei a nessuno, come sistema infallibile per perdere peso.
«Mamma! Non ti ci mettere anche tu! Siamo in primavera, non c'è più bisogno di cose del genere».
Tolgo il maglione dalla valigia e sfrutto lo spazio che la mamma è riuscita a ricavare per infilarci un'altra tuta. Ho il sospetto che sia uno di quei modi di vestire che, lentamente, ti fa dimenticare tutti gli altri.
«Forse qui a Roma no, hai ragione. Ma non credo che in Umbria farà caldo allo stesso modo», mi guarda in quella maniera che solo a una madre può appartenere. Con gli occhi che gridano tutto l'amore del mondo e le labbra che non riescono a fare uscire le parole.
«D'accordo, mi hai convinta. Anche se ho sentito Giada al telefono proprio questa mattina e pare che quest'anno l'inverno abbia saltato il turno da loro».
Giada è la mia migliore amica. Ci siamo conosciute sui banchi della scuola elementare e, a parte qualche brutta litigata ogni tanto, siamo riuscite a rimanere una nella vita dell'altra, come se in realtà fossimo sorelle.
Afferro il maglione della nonna e lo porto in macchina insieme alla valigia.
Mentre riesco a sistemare il bagaglio sul sedile posteriore, alla maglia consento l'onore di potermi rimanere accanto.
«Così, se mai dovessi imbattermi in un brusco calo delle temperature, ce l'avrò a portata di mano».
La mamma riesce a sorridere e riesco a farlo anch'io. Il babbo ha preferito fare un salto al bar, per andare a trovare gli amici con cui non si vedeva da circa dodici ore.
Ho imparato a non prendermela. Anche se avrei preferito poter stringere anche lui in un abbraccio. So che, in fondo, gli somiglio più di quanto io sia disposta ad ammettere e lo capisco quando dice che certe cose non fanno per lui.
C'è anche da dire che non si tratta mica di un addio. Ho promesso di invitarli tutti a passare un po' di tempo in campagna, appena con Giada avrò trovato il modo di sistemarmi. Sto solo scappando via da un ex marito e da un'ex vita coniugale. Loro non c'entrano.
«Telefona, appena arrivi».
Faccio di sì con la testa, mentre con gli occhi sono già appiccicata allo specchietto retrovisore. Già mi ritrovo a domandarmi se per caso io non stia facendo una cavolata.
Detesto i salti nel vuoto. A dispetto di chi si ostina a sostenere che rimanere immobili in certe situazioni sia dannoso. Forse dovrei ripensarci.
Mi stavo trovando talmente tanto bene nella mia vita da persona adulta, in compagnia dei miei progetti personali e familiari, che avevano tutti l'aria di essere perfetti e infallibili, che la caduta a terra è stata un volo dal alto; finito con un tonfo micidiale.
Dopo quindici minuti di guida mi sento già stanca, ma cerco di non farci caso. Con il solo rumore del traffico a tenermi compagnia, decido di accedere la radio e di bloccarmi sulla prima canzone che passa. Ho dimenticato di prendere alcuni dei miei vecchi cd. Così, imparo! A non aver voluto perdere tempo a scrivere una lista.
Dopo l'ennesimo giro di stazioni, ancora non ho trovato niente. Nulla che riesca a sintonizzarmi sul giusto umore; almeno.
Spengo di nuovo e provo a distrarmi canticchiando.
Sono una frana con il canto. Sempre stata. Ma pare che cantare ad alta voce, specie quando si ha la certezza che non ci sia qualcuno ad ascoltare, sia da considerarsi un'attività liberatoria delle più efficaci.
Se riesco a esibirmi per tre ore di fila, forse posso arrivare a casa di Giada senza sembrare una che è appena stata schiacciata da un treno e, magari, riuscirò a non farle tornare in mente il proposito di farmi parlare con una sua amica psicologa.
Sarebbe anche fantastico riuscire a cantare in maniera tanto convincente, da dimenticare chi sono almeno per un po'.
Invece mi ritrovo a tamburellare con le dita sul volante ed ecco che la mia realtà di donna appena divorziata torna a uccidere tutti gli altri pensieri.
Mi accorgo della fede che non c'è più e non perché io stia guardando il mio anulare sinistro.
Pur rimanendo concentrata sulla strada, sento l'assenza di quell'anello.
È rimasto addosso a me fino a che sono stata costretta ad apporre una maledettissima firma. Quei consensuali che, a detta di altri, dovrebbero aiutare a soffrire di meno.
A tratti mi pento di non avergliela fatta pagare. Ormai è tardi, però.
Per le quattro estati che sono riuscita a rimanere sposata, ho quasi odiato quel anello.
Quando le mani si gonfiavano fino all'inverosimile per il troppo caldo era come avere addosso un piccolo marchingegno di tortura.
L'inverno accadeva l'opposto.
Con le dita troppo rinsecchite per il freddo, faticavo a trattenerlo al proprio posto. Per ben tre volte ho addirittura rischiato di vederlo sparire dentro il buco del lavandino.
Adesso mi manca. È un po' come essere nudi, anche se lo so che può apparire eccessivo.
Pochi mesi ancora e scomparirà anche il segno più chiaro, quella piccola striscia di pelle che non è mai stata esposta al sole; da dopo il matrimonio.
Anche la fede è rimasta a Roma. Avrei potuto restituirla al mio ex sposo, a suggellare ancora di più il nostro addio. Ma non ce l'ho fatta a essere tanto al di sopra della situazione. Temo che un giorno il mio ex marito possa lasciarsi sedurre dall'idea di riciclarla. Sarebbe disgustoso, ma sarebbe da lui.
Ha sempre considerato eccessivo il fatto di spendere più del necessario, per aggiungere due piccoli diamanti dentro alle O dei nostri nomi.
Stefano e Sofia. Pensare che, a giocarci un po', le nostre iniziali sono in grado di dare origine all'infinito.
Forse avrei potuto rivenderla. Avrebbe di sicuro giovato alle mie finanze non proprio floride. Pare che il mondo non abbia bisogno di giornalisti freelance, in questo momento. Specie di una come me. Che, a un passo dal terminare la procedura d'iscrizione all'albo dei pubblicisti, ha fatto marcia indietro.
Purtroppo mi è mancato il coraggio. Ma ho intenzione di mettere la faccenda - anzi le faccende - in cima alla lista delle cose urgenti da fare; appena riesco a trovarne un pizzico.
Alla prossima!!! :-D

sabato 14 maggio 2016

Stelline per un Compleanno!!!

Lo scoccare della mezzanotte. Un 13 Maggio che riesce a cavarsela con un...
...bilancio positivo!!! 
Non so perché, ma è un giorno che temo sempre un po’. Quella paura che qualcosa possa andare storto, che qualcosa di spiacevole, o di difficile da gestire, possa verificarsi 'proprio nell’arco di quelle 24 ore'; che possa accadere: “Proprio oggi, che è il mio compleanno!”. Invece... mi ritrovo a sorridere. Con il pigiama già indosso, dentro l’abbraccio delle coperte ancora pesanti; nonostante manchi poco più di un mese all’estate. È già domani e sono pronta ad addormentarmi con la felicità di essere riuscita a fare qualcosa di ‘insolito’ , con la soddisfazione di aver completato la lettura di un libro che ho praticamente divorato (pur alternando la lettura con quella di altre storie) e con il cuore a mille per il fatto di aver sentito il cellulare notificare più volte degli apprezzamenti su Wattpad!!! :-D
Lo so. Non è molto e potrebbe persino apparire sciocco, da parte mia. Ma ci sono pensieri che mi accompagnano sempre, ogni volta che scrivo. Pensieri che riconosco essere alle volte contrari a ciò che pensa la maggior parte della gente, che prova a confrontarsi con il foglio bianco come faccio io.
“Fallo! Anche dovessi essere solo tu a trarne soddisfazione. 
Fallo! Perché ti piace».
Ecco perché... anche una sola stellina che si accende (chi è almeno un po’ pratico di Wattpad sa di che cosa parlo) è una grande soddisfazione e diventa, nel giorno del mio compleanno, un regalo immateriale e inaspettato. Il motore del terzo pensiero, che - da un po’ di tempo a questa parte - ho imparato a ripetermi come un 'mantra speciale'; insieme ai primi due. 
“Fallo! Perché - in fondo - non puoi sapere se riuscirai a tenere compagnia a qualcuno; con le tue parole. 
Magari, a regalare un sorriso. 
Magari, a regalare un’emozione”.
È tutto qui! Un tutto, che sa di tanto. Un tutto, che riempie di tanto questo giorno speciale.

Un 13 Maggio che si conclude con un... bilancio positivo. 
Per tante ragioni. Per tante cose inaspettate. Per una serie di ‘Grazie!’, che sono felicissima di poter dire! :-D

 ...Grazie, Grazie, Grazie!!!

Li scrivo in verde, il colore della Speranza. Con la speranza che sia un po' vero... che le cose belle sanno farsi seguire da altre cose belle! 
Pure se è verità imprescindibile quello che 'dice' il titolo del libro appena finito. Che... La tristezza ha il sonno leggero. Mi addormento con la voglia di crederci un po'. Di credere ai momenti leggeri. Di credere i sogni. Con la voglia di dare a entrambi più possibilità, di quanto abbia fatto finora. Che, poi, non si sa mai...
Mi addormento insieme a un bellissimo "Chissà..."; 
che è forse il regalo più bello che potessi farmi...
...nel giorno del Mio Compleanno! :-D 
Alla prossima! ;-)

sabato 30 aprile 2016

Lungo una strada conosciuta...

Una po’ di tempo per me. L’idea di andare a fare una passeggiata insieme a Mat. Quella di percorrere una strada conosciuta, ma sempre speciale. Pensieri zero.
Mi accorgo di avere l’attenzione catturata da qualcosa. I rumori intorno. L’originale mescolarsi tra di loro. Mi ritrovo a cercare di carpire l’esistenza - o meno - di un certo ritmo; di una certa sequenza. Il rumore dei miei passi sulla strada sterrata. Il rumore delle sue zampe sullo stesso tragitto. Il rumore del mio respiro, a tratti affaticato. Il rumore del suo, anch’esso spesso più pesante del normale. Il rumore delle foglie mosse dal vento. Quello della sua medaglietta al collo. Tintinnio leggero, ma costante, a testimonianza sonora della sua esuberanza canina. Lo scorrere dell’acqua, in lontananza. Un concerto inedito, unico e irripetibile.
A un certo punto, una curva.
È lì, appena dietro l’angolo. Lo sguardo cattura l’istante e, anche se gli occhi hanno già visto ciò che stanno ammirando, scattano comunque una nuova fotografia per il cuore.
Quel posto sa di essere speciale. Sa di essere emozione pura per molti. Sa che potrebbero essere non frequenti gli incontri, ma non per questo capita di trovarlo non all’altezza delle aspettative.



È un posto paziente. Sa aspettare il momento in cui c’è bisogno di lui, perché l’animo possa rasserenarsi di più. È un luogo immerso in un’atmosfera speciale, che è quasi magia.
Respiro a pieni polmoni. chiudo gli occhi per un istante, prima di riprendere a camminare.
Poco più in là c’è un pezzo di prato. Distesa su una panca di legno, cerco di immortalare una porzione di cielo.


Un nuovo sbuffo di vento. Mi ritrovo a seguire con lo sguardo il volo leggero di qualcosa che non riconosco immediatamente. È il seme di un dandelion; o soffione.
Se escludo le volte in cui li ho liberati in aria con un soffio, dopo aver espresso un desiderio, penso di poter dire che questa sia la prima occasione che ho di incontrarne uno solitario.
Continuo a fissarlo e mi sorprendo a scoprire quanto sia vero, che sembra stia danzando. Il rumore delle foglie mosse dal vento. Quello dell’acqua che scorre. Un seme di dandelion danzante.
A proposito d’acqua, comincia a piovere. Poche gocce, che lasciano traccia immediata di loro sulla pietra. È ora di andare.
Chiedo in silenzio alle nuvole che aspettino ancora un po’, prima di mettersi a piangere per bene.
La strada a ritroso sembra più breve.
A poche decine di metri da casa, mi accorgo di essere stata una sorta di taxi per un piccolo ospite. Un piccolo bruco verde. Chissà cosa l’ha spinto ad aggregarsi. Certo dovrà aspettare di essere farfalla, per poter tornare dov’era. O, forse, non vi tornerà affatto.
Lo lascio libero su un filo d’erba, non prima di aver scattato una fotografia.


Mat si accorge e richiede attenzioni tutte per sé.


Gli prometto di replicare presto momenti come questo, ma adesso è tempo di muoversi.
Sull’asfalto, che rimane in silenzio sotto di noi, a un certo punto incontriamo Pepe.
È uno yorkshire impavido. Si avvicina al naso di Mat e pretende un incontro, occhi negli occhi. Si allontana di nuovo. Abbaia più volte, forse offeso dal fatto di non aver ricevuto chissà quale reazione. Non gli importa la differenza di stazza, né che Mat continui a guardalo con noncuranza evidente. Lui continua ad abbaiare.

Non ci rimane che allontanarci in fretta e riprendere, lesti, il cammino. Pochi passi ancora…