martedì 31 dicembre 2013

L'ultimo sole dell'anno...


Era l’ultimo sole dell’anno. Ma, non vi lesse solo questo.
In quell’ultimo sole lesse la speranza e l’attesa di un nuovo giorno. In quell’ultimo sole lesse la bellezza e il mistero del futuro. In quell’ultimo sole lesse la fiducia incondizionata nel domani. In quell’ultimo sole lesse… 
...Tantissimi Auguri!
Che questo 2014 possa essere un nuovo anno ricco. Ricco di cose vere. Ricco di cose importanti. Ricco di cose giuste


mercoledì 25 dicembre 2013

Alla ricerca di un Buon Domani!

Alle volte arriva quella paura, che sembra non volerti mollare più. Lo stomaco si chiude.
Anche se la senti benissimo, per un po’ provi a far finta che non ci sia.
Ma… quella paura è testarda e pretende di essere ascoltata.
Allora decidi di preparare una tazza di tè, aggiungi più zucchero del normale nella speranza che possa servire ad addolcire il momento, scegli anche due o tre biscotti di quelli più buoni, dalla scatola trovata sotto l’albero e appena aperta per fare festa.
La paura è ancora con te. Ti siedi e decidi di dirle che sei pronta ad ascoltare.
Non sei sicura che sia la cosa giusta da fare, ma… speri che anche la paura riesca ad essere clemente e che decida di non andarci giù troppo pesante.
Comincia a parlare e già dalle prime parole ti rendi conto che quel che dice fa più paura della paura stessa.
Racconta di una persona che non pensavi sarebbe mai potuta esistere. Racconta di te, che già troppe volte ti sei chiusa al mondo per non soffrire. Racconta di te e di quegli attimi in cui ricacci indietro la spontaneità di un abbraccio o la bellezza di un sorriso. Racconta di te e delle ferite che non ti aspettavi, ma che non ti decidi ad abbandonare.
Le hai classificate per bene e hai saputo dar loro dei volti, dei nomi e delle date di nascita, ma… quanto staresti meglio senza?
Racconta di te, che provi a convincerti che quieto è bello. Anche se non te la senti di zittire il cuore, quando sussurra che solo una vita piena d’amore può dirsi Vita. E quando dice che, non c’è felicità senza rischio e non c’è sorriso, senza prima turbamento.
Racconta di te, che provi a riflettere un modo perché il tuo piccolo mondo (e non solo il tuo) possa essere un mondo migliore. Ma alla resa dei conti sono sempre troppe le cose ancora da sistemare e non c’è verso di trovare una soluzione.
Racconta di te, che un po’ ti piaci e un po’ ti odi così come sei.  Forte e Fragile. Coraggiosa e Codarda. Al tempo stesso.
Allora… provi ad annullare quelle parti di fragilità e quelle di codardia. Dopo essere rimasta ad ascoltare in silenzio per un po’, ti sforzi di rispondere e lo fai appellandoti a tutta la speranza di cui senti di disporre. Alle volte si nasconde, vero. Ma non ti ha mai abbandonata.
Ti concentri sul grande potere e sulla meraviglia che si cela dietro alla parola ‘Domani’. Ogni domani è il domani giusto, perché sia un Buon Domani.
Senti la paura allontanarsi di nuovo e farsi di nuovo piccola. Almeno per un po’.

Mangi l’ultimo pezzetto di biscotto e sorridi. Perché decidere di continuare a credere in ciò in cui hai sempre creduto, anche se alle volte fa paura, sai già che è il miglior regalo che avresti potuto farti. In fondo… non ricordi chi lo ha detto, ma sai che è vero: non c’è peggior vita di quella trascorsa, ma non vissuta.

Tantissimi Auguri!!!


lunedì 23 dicembre 2013

Musica per le vie... Auguri!



Al di là della frenesia, passeggiando per strada. 
Al di là della confusione, andando per negozi. 
Al di là dello scintillio di vie e vetrine, intenso al punto da far sembrare giorno la notte.
Musica e parole riempiono l’aria, raggiungono le orecchie, fanno increspare le labbra in un sorriso e non si fermano… fino al Cuore!

“Un fremito di speranza…
Allieta il mondo stanco…
perché laggiù comincia un nuovo e glorioso mattino…” 

domenica 15 dicembre 2013

Andando per Borghi!

Di nuovo da queste parti... con le parole lasciate per il momento in disparte (ma... solo per il momento!) e tanta voglia di mostrare, invece, la meraviglia di una domenica speciale. Nuove conoscenze, bellissime persone, buon cibo, buona compagnia e... l'incanto di borghi medievali (e non solo) a pochi chilometri da casa. Pochi click con il cellulare, ma una gioia infinita ogni volta che mi sono sentita rimanere senza fiato.
Cosa ve ne pare?

















Per voi... come sono, invece, questi giorni precedenti alle feste? Scommetto che anche dalle vostre parti la frenesia non manca. A presto, allora!!! ;-)

domenica 3 novembre 2013

Tra le pagine di un’agenda

Novembre. 
La mente viaggia tra tanti pensieri. 
Forse perché novembre è il mese delle celebrazioni per i Cari defunti, o forse perché novembre è il mese che precede quello ultimo dell'anno. 
Forse perché è quella giusta via di mezzo tra l'essere ormai prossimi al Natale e l'esserne ancora distanti. 
O forse perché... essere a poche settimane dal 2014, novembre significa lasciarsi andare ai bilanci. 
Che siano personali o non, economici o emotivi... poco importa. Nell'assenza di frenesia che è tipica delle feste, novembre è il mese giusto per concedersi con calma a qualche ragionamento.
Novembre è' il mese dell'attesa, quello dei progetti e delle idee possibili (prima ancora che il tempo sarà volato in fretta e ci accorgeremo solo poi di essere riusciti nella metà - se siamo fortunati - di ciò che avevamo immaginato).... in vista di...
Allora, succede di trovare già pronte le vetrine di alcuni negozi. Mentre gli scaffali dei supermercati già abbondano di torroni, torroncini, pandori e panettoni. 
E' Novembre. Già si respira aria di Natale (e si pregusta l'intensificarsi che verrà) e, cercando di ignorare il clima mite fuori della porta, già si immagina di svegliarsi con la neve a render tutto bianco, con il silenzio che - almeno in zone di campagna - è tipico dell'inverno, con il freddo che è pungente, ma che il ricordo delle tribolazioni estive forse saprà rendere più sopportabile e con il cuore pieno di emozioni.
Adoro il Natale.
Non per i pacchetti sotto l'Albero. Anche se è piacevole trovarne, con il proprio nome scritto sopra.
Adoro il Natale per l'opportunità che offre, di stare in famiglia.
Preparare le pop corn, prima di guardare un film della tradizione. Lasciare che lo stereo suoni un cd di canzoni natalizie, mentre i biscotti nel forno stanno cuocendo... piccolo esperimento delle intenzioni mangerecce del 25 dicembre. Sbucciare un'arancia accanto alla stufa accesa e lasciare che la buccia si surriscaldi sopra la superficie in ghisa rovente... la stanza si riempie di un odore buono e pare inevitabile respirare a pieni polmoni. Preparare una cioccolata calda e provare per la prima volta ad aggiungere un pizzico di peperoncino. Buona.
Magari prendere un libro dallo scaffale, ignorare il fatto che il nome scritto sulla copertina sia lo stesso riportato all'interno della carta d'identità e raggiungere senza esitazione una pagina precisa.
Un lavoro a quattro mani che ha saputo sconfiggere la barriera del tempo. Leggo e, come sempre, penso a te... nonno!

Tra le pagine di un’agenda
(con il contributo di: Ennio Vagnarelli)


26 dicembre 2011.
Il giorno di Santo Stefano. Il giorno dopo Natale. Il giorno in cui suo padre – anni prima – aveva deciso di smettere di lottare contro la malattia; lasciandolo solo con sua madre.
Lui, all’epoca venti anni e poco più. Lei, cinquanta compiuti da poco. Entrambi, nonostante gli avvertimenti dei dottori, per nulla pronti a rinunciare a quella figura. A quel padre e a quel marito che, pensavano, ci sarebbe stato per sempre.

Asciugandosi di nascosto una lacrima, Luigi si alzò dalla tavola per un attimo. Lasciando gli altri a parlare di regali ricevuti, di regali solo desiderati e conservati in un angolino della mente per una ragione o per un'altra e di tutto il resto.
Si dovrebbe essere felici a Natale.
Eppure…
Eppure, Luigi sentiva nel cuore un peso. Come fosse stato schiacciato da un’incudine.
Non c’era verso di evitarlo. Non c’era verso di ignorarlo.
Veloce raggiunse il salotto e la scatola di sigari, che solo di tanto in tanto si concedeva.
Suo padre era stato un fumatore. Pure lui, non assiduo. Ma, Luigi ricordava ancora alla perfezione l’odore di fumo di sigaretta che – in qualunque stanza della casa si trovasse – si mescolava con quello del suo dopobarba; in note e aromi sempre inediti.
La soffitta. La soffitta era la stanza della casa dove suo padre amava fumare. Un po’, perché era quell’angolino tutto suo dove potersi sbizzarrire con le mille idee e i mille progetti che sempre gli animavano la mente. Un po’, perché – almeno – se fumava in soffitta, la mamma non avrebbe trovato niente da ridire e si evitava di dover correre da una parte all’altra della casa per aprire le finestre e fare uscire la puzza di fumo.
Sì. Immaginò che anche Letizia si sarebbe arrabbiata, se l’avesse trovato a fumare in salotto il giorno di Santo Stefano. Con gli ospiti ancora a tavola, nella stanza accanto.
Così, armeggiando per un po’ con accendino e tagliasigari, alla fine Luigi si decise a prenderne uno, a salire le scale e a raggiungere la soffitta.
Non ricordava il numero di volte che c’era andato, nei giorni successivi a quello del funerale. Respirare l’aria di quella stanza lo aiutava a illudersi che nulla fosse cambiato. Che suo padre fosse ancora su quella terra vivo e vegeto e che, presto, l’avrebbe sentito rincasare dal lavoro con la solita smania di sapere che cosa si sarebbe mangiato per pranzo o per cena.
Ma, l’illusione era comunque durata poco. Poi, nonostante le finestre rimaste sigillate in quell’angolo della casa, l’odore del padre aveva cominciato a farsi sempre più debole. Fino a sparire.
Allora, il cuore di Luigi aveva chiuso le porte con un tonfo sordo. Chiuse. Sigillate anche loro. Perché il dolore non riuscisse a distruggerlo. Perché l’amore non riuscisse a farlo sentire debole.
Era successo spesso, che gli altri glielo facessero notare. Era successo spesso che, accanto al suo nome, si sentissero parole come: freddo, glaciale, distante, pezzo di ghiaccio.
Ma, a Luigi non importava.
Anche se suo padre non avrebbe approvato, in quei trenta anni passati da quel lontano 26 dicembre non era riuscito a riaprirsi di nuovo alla vita e alle bellezze che, ogni giorno, nasconde in sé.

Tagliò la punta del sigaro con un gesto meccanico e, altrettanto meccanicamente, lo accese.
Non era sicuro che sarebbe riuscito a goderselo in santa pace, fino alla fine. Ma, cercando di non pensare al pranzo che continuava ad andare avanti due piani più sotto, prese la sedia che era stata di suo padre e si accomodò al tavolino.
Immediatamente, i ricordi si fecero di nuovo avanti nella mente. Prepotenti. A tratti, dolorosi.
Ripensò a tutte le volte in cui, da bambino, era salito fin lassù con i libri della scuola. A tutte le volte in cui si era seduto su quelle ginocchia, che aveva sempre considerato robuste. A tutte le volte in cui, sotto allo sguardo attento di quel babbo amorevole, aveva ripreso a fare i compiti. Quegli stessi, dannatissimi compiti che fino a un attimo prima proprio sembravano non volerne sapere di giocare a suo favore.
“Babbo, il problema di matematica non torna…”.
“Babbo, il riassunto di italiano è troppo lungo…”.
“Babbo…”.
Quante volte. Quante.
Luigi lasciò scendere dagli occhi l’ennesima lacrima. Avrebbe dato qualsiasi cosa, perché suo padre potesse essere ancora lì a dargli consiglio.
“Babbo…”.
Quella dolce, piccola parola gli sfuggì dalle labbra prima che riuscisse a serrarle.
Il sigaro acceso in mano, allora, non contò più. Il rumore della vecchia sveglia, che continuava a ticchettare sullo scrittoio poco lontano, si annullò all’improvviso.
26 dicembre 2011.
Luigi si alzò dalla sedia lentamente, quasi incerto.
Si rimise in piedi, avanzò ancora di più in direzione della scrivania e arrivò con la mano fino ad afferrare l’agenda che, nonostante i trenta anni passati, sia lui che la mamma non si erano mai sentiti di gettare via.
Era come ricordava. Di pelle. Un po’ usurata sugli angoli. Alcune pagine sgualcite.
Anche in quel caso, non avrebbe saputo dire quante volte aveva immerso il naso in quel piccolo mondo di carta. Quante volte, aveva scorso e riscorso con gli occhi quei fiumi di inchiostro nero.
Suo padre amava scrivere.
Pagine di diario contenenti la sua e la loro vita. Poesie. Ma, anche racconti.
Fu nell’imbattersi in uno di questi, che Luigi ebbe la sensazione di scoprire qualcosa di nuovo.
Sì. Anche se era più che certo che nuovo non potesse essere. Anche se aveva la piena consapevolezza di aver sfogliato quell’agenda – tutta quell’agenda – da cima a fondo e viceversa, centinaia e centinaia di volte.

Quando gli occhi ancora bagnati di lacrime si poggiarono su quel testo ordinato, per un istante credette di non averlo mai visto prima.
Iniziò a leggere e la stanza sembrò piombare in un silenzio, ancora più opprimente di quello che già c’era.

PRIMAVERA, ALLODOLE E AMORE

Correva il ruscello dagli argini rialzati, attraverso campi e prati, lambendo case, ravvivando orti e fiori…nascondendo una realtà che oggi è soltanto un sogno…Sogno splendido che il tempo non ha sfumato, sogno al quale, pur senza speranza, la mente ritorna con infinita dolcezza come ad oasi in un immenso deserto. Primavera esulta, lodole nel cielo trillano senza posa, lodole nei prati pigolano al sole di marzo, languore divino di creature in braccio all’amore…Eppure Carlo quel pomeriggio non pensava all’amore, camminava curvo con il fucile pronto a colpire, e con l’intento di far diventare 15 le 12 lodole appese alla cintura. Ma non era facile, poiché quel giorno non ne era entrata una e le poche che c’erano sembravano indemoniate; infatti anche allora con il loro pio-pio si alzarono fuori tiro. Carlo accucciato a terra, con il fischietto fra le labbra rifacente il verso, le seguiva con gli occhi sperando che si rimettessero poco lontano, o che gli passassero a tiro sulla testa, invece sorvolarono il ruscello e non le vide più nascoste dagli alti argini. Il giovane si rialzò asciugandosi il volto sudato e già abbronzato dal primo sole di marzo; accese una sigaretta e si incamminò nella direzione presa dalle lodole con quella speranza e tenacia che soltanto i cacciatori possiedono. Giunto al ruscello salì la scarpata e saltò sull’altro argine, lì inchiodato restò fermo a guardare…Sul prato sottostante, tra margherite e ciocche di viole un quadro meraviglioso giustificava la sua sorpresa, una bellissima fanciulla giaceva in dolce abbandono presa dal sonno in quel tepore di primavera. Linfa divina che violenta alimenti i giovani corpi, che prepotente addolcisci gli animi bruti immenso è il tuo potere, tuoi schiavi sono gli esseri che ti possiedono, disgraziati sono coloro che non ti conoscono. Ecco lì un uomo piegato al tuo volere, un essere di cui in un attimo hai annullato la mente, il suo cuore batte febbrile, il suo animo è una ridda di emozioni, il suo cervello non conta più…non ha che gli occhi, tutto il suo essere è concentrato negli occhi…vede una massa di capelli biondi, il sole li illumina, sembrano d’oro; due labbra vermiglie appena dischiuse sembrano pronte a baciare; un volto delizioso di bimba e bimba non è…perché no?...il cuore pazzo ripete bimba…bimba …perché no la sua bimba?...Ecco il cervello ricomincia a funzionare, ciò che prima aveva veduto limpido con una sola occhiata, ma poi dimenticato, ora l’osserva immoto e quasi calmo. Avrà forse venti ventun’anni, è assopita con la testa reclinata sopra il braccio sinistro disteso fra l’erba da poco nata, la mano stringe un libro rilegato in pelle marrone, il dito indice tiene ancora il segno; l’altro braccio è parzialmente disteso sul corpo mentre la mano sfiora le corolle di margherite, la veste è salita abbastanza sopra il ginocchio della gamba destra incrociata sulla sinistra. La pelle serica che il sole bacia per la prima volta dall’inizio dell’anno, manda riflessi indefinibili, una linea azzurra appena visibile dal ginocchio sale ad alimentare quel corpo perfetto, perdendosi nel mistero delle vesti…Carlo considera ora l’insieme di questa visione tranquillamente, con animo sereno; si siede sull’argine cautamente, timoroso di svegliarla, timoroso di ritornare nella realtà fugando una realtà che è sogno…Tiene stretto fra le mani, appoggiato sulle ginocchia, il fucile, e la sua stretta è un’inconscia carezza a questo strumento di morte una volta tanto mezzo di infinita dolcezza. Come dopo uno sforzo violento ed improvviso ora si sente stanco, spossato, forse il lungo camminare, forse la primavera, forse…la giovinezza che è in lui e che davanti a lui, immota, è pur ricca di tanta vita. Vorrebbe essere leggero come una piuma, scivolare sull’erba accanto alla fanciulla, respirare il suo alito, sentire i battiti del suo cuore…quanto è pazzo il cuore, gli ripete ancora “bimba, bimba” come se per lui bimba dovesse essere…bimba del suo cuore…ma non si sbaglia il cuore? E la realtà, e il risveglio?...ma ecco la bimba si sveglia...Carlo immobile come una statua non pensa più, guarda…guarda e sente il cuore che ha ripreso la sua marcia furiosa, e sente come per dono divino, che qualche cosa di meraviglioso sta per accadere, qualche cosa di cui non si renderà mai conto…La bimba si sveglia, si passa appena la mano destra sugli occhi, poi ha uno scatto, ora è seduta e lo guarda impaurita, Carlo è sempre immobile. Il sogno finirà, la fanciulla sparirà all’improvviso come all’improvviso è comparsa alla sua vista, questo aspetta, questo teme lui che non cede al suo cuore, ma il cuore non sbaglia…È meraviglioso, la fanciulla non ha più paura, solo un briciolo nel fondo degli occhi, occhi castani dai riflessi dorati come i capelli, occhi che parlano il loro linguaggio rapidamente, con decisione, inconsciamente. Ciò che era avvenuto per Carlo al suo apparire sull’argine, ora avveniva per la bimba al suo risveglio. Attimi eterni, attimi che l’uomo non può descrivere perché sono di Dio. Poi la bimba si riprese, schiuse le labbra al sorriso e una voce calda come il sole di marzo avvolse Carlo e lo attirò a sé. Ora i due giovani erano seduti uno accanto all’altro sul prato, lei parlava lentamente quasi soffocata da qualche cosa che non capiva, cercava di spiegare l’assopimento, cercava di spiegare il risveglio, ma non erano che parole, un desiderio folle si faceva strada nel suo animo e capì che era ciò che la soffocava; desiderio di appoggiare la testa sulla spalla del suo compagno, desiderio di sentire quella mano bruna sul suo volto…ed anche lei seppe con certezza che quando lui avesse parlato ciò sarebbe avvenuto…Ebbe di nuovo paura e incominciò a parlare più in fretta di cose futili, mentre pensava che non era ben fatto stare lì; capì che doveva andarsene capì che era ancora in tempo…ma non lo fece, Carlo le stava chiedendo il nome, Carlo le stava dicendo cose che altri non le avevano mai dette…Si chiamava Nadia, aveva ventidue anni ed era molto bella, abitava poco lontano in una villa dal tetto rosso, leggeva Kipling, e cosa inaudita per i suoi orecchi, stava ascoltando un uomo che la definiva brutta o meglio non bella. Stupefatta lo guardava, e mentre il suo orgoglio di donna corteggiata reagiva come sotto una sferza, tutto il suo essere attendeva avido altre parole, forse altre crude verità da quest’uomo rude che la dominava con la sua voce sincera, con la sua voce che tramutava in parole ciò che aveva nel cuore. Il suo orgoglio taceva per far posto all’ansia di udire ancora altre cose, che mai avrebbe pensato uomo avesse osato dirle in viso, ma erano cose tanto nuove e deliziosamente piacevoli. I suoi occhi non si staccavano da quella bocca che parlava, e non si accorse che non udiva più…vedeva solo quella bocca e sapeva solo che l’avrebbe baciata. Il giovane tacque come se avesse intuito il desiderio e i due volti furono a contatto, ma la bimba si ritirò leggermente evitando le labbra, schermaglia d’amore, tattica di donna che attende una dolce violenza. Ma l’uomo era un presuntuoso, come poi lei gli disse sorridente, e non la costrinse al bacio; ricominciò a parlare più sincero di prima, più rude di prima, quasi brutale, le gettò in viso come scudisciata il desiderio che aveva intuito, le disse che non l’avrebbe baciata sebbene lo desiderasse immensamente, perché anche lei immensamente lo desiderava e di spontanea volontà doveva farlo. La fanciulla non piegò presa da quel gioco inusitato ed eccitante, sviò il discorso, mentre l’animo invocava quel bacio che stava diventando un tormento. E nel tepore di marzo, mentre due corpi bruciavano, si parlò di caccia, di libri, di pesca, di donne e poi…ancora di amore. Ora le due bocche  si avvicinarono insensibilmente poi tacquero, le labbra furono sulle labbra unite in un bacio che fu il trionfo della giovinezza e il mutuo passaggio di mute parole fra gli animi. Da dietro l’argine, a volo radente sbucò uno stormo di lodole, videro i giovani, videro aperto sul prato il fucile, videro gli ottoni lucenti delle cartucce come due occhi di fuoco, e trilli di gioia solcarono l’aria verso il cielo, nella certezza che almeno per quel giorno, avrebbe taciuto inerte lo strumento di morte, abbandonato tra i fiori vinto dalla più formidabile potenza che esista nel mondo: l’Amore.

Arrivato fino a quell’ultimo punto, Luigi scansò alla svelta quelle pagine da sotto gli occhi, per evitare che le lacrime – cadendo – rovinassero quel capolavoro.
Suo padre. La sua incrollabile fede nella vita. La sua assoluta certezza, riguardo all’immenso potere dell’amore.
Bastava soffermarsi su quell’ultima parola, per capirlo. Una A maiuscola.
Rimase con l’agenda aperta in mano, per qualche secondo ancora. Fino a che si sentì chiamare dal piano di sotto.
La voce di Letizia sembrava tutto, fuorché tranquilla.
Svelto, allora, Luigi lasciò la soffitta. Dimenticandosi del sigaro e di tutto il resto, ma portando con sé l’agenda del padre.
Quando gli altri lo videro tornare a tavola, le due rampe di scale scese di corsa gli avevano lasciato un discreto fiatone. Gli occhi rossi rivelarono subito che aveva pianto.
“Ma, si può sapere…”.
Luigi non diede modo alla madre di terminare la frase, alzando una mano per zittirla.
Quindi, bevuto un piccolo sorso d’acqua, ignorò completamente la fetta di torta poggiata sul piatto e, guardando tutti intorno a sé, disse solamente: “Vorrei leggervi una cosa”. Ricominciò d’accapo.

Primavera, Allodole e Amore è un racconto scritto da Ennio Vagnarelli. Tratto da “In bocca al Lupo” mensile di caccia e pesca della sezione prov. Cacciatori di Perugia (dicembre 1952)

Tutto d'un fiato, fino all'ultimo punto. Per poi ricominciare d'accapo.

domenica 27 ottobre 2013

Poche righe da... (nuove letture in corso!)

Leggere e Condividere...

L'unica cosa che mi infastidisce è il codice a barre, che mi sembra troppo grosso. Ho l'impressione di assomigliare a una confezione di formaggio. Questo codice a barre è un segno dei tempi. Più che colui che possiede, il borghese è colui che classifica, che ordina.

D'altra parte, il racconto delle mie avventure e disavventure dimostra che, a dispetto dei codici a barre, sono stato amato, ho amato, ho incontrato librai e lettori felici. Accanto alle innumerevoli forze che tendono a fare dell'umanità un formicaio, esistono forze di senso contrario che impediscono la morte dell'intelligenza e dell'imprevedibile. Il libro è una di queste.


Poche righe da: Prendimi con te di Paul Desalmand

...Voi, cosa state leggendo di bello? 
Buona serata, a presto!

domenica 20 ottobre 2013

Ricordi su tappi di sughero

Una vita chiusa in scatola.
Non so nemmeno bene perché, ma... la maggior parte delle mie cose risiede tra quattro pareti, un fondo e un coperchio di carta
Il più delle volte è utile. Se si riesce a conservare una buona memoria fotografica, basta poco per ritrovare ciò che serve all'occorrenza. Quando la memoria non è d'aiuto, si può sempre ricorrere al uso di etichette. Perché ogni contenitore indossi il nome di ciò che contiene.
Nel mio ordine-caos di scatoloni, scatole, scatoline e scatolette... alcune riportano chiare diciture di ciò che custodiscono, altre - sistemate con più fretta - con il passare del tempo sono diventate un'incognita.
Per questo... avere tutto (o quasi) chiuso in scatola diventa un problema, quando si decide di dare una sistemata, magari cambiando qualche disposizione e aggiungendo delle novità.
Per i pochi punti fermi rimasti, ci sono decine di interrogativi. E questo? E quello? E quell'altro?
Ad un certo punto viene anche da chiedersi... ma, chi me l'ha fatto fare... di passare in questo modo gran parte della domenica?
A dire il vero... i piani non erano proprio questi.
Ieri sera sono andata a dormire con la ferma intenzione di svegliarmi presto la mattina, con l'altrettanto gratificante idea di fare una bella colazione e con l'importante progetto di piazzarmi davanti il computer per scrivere. Ultimamente... io e le parole che continuano a frullarmi per la testa non abbiamo avuto molte occasioni per un tête-à-tête. Per questo, immaginare di poter avere l'intera domenica a disposizione per dar retta a una nuova storia... sembrava meraviglioso.
Ed è rimasta un'idea meravigliosa... fino a che non è arrivato il mal di testa a mettersi in mezzo. Quando si dice... i danni che può fare un terzo incomodo! 
Non so come riusciate a cavarvela voi in ceri casi, ma... per quel che mi riguarda, il mal di testa è il nemico giurato numero uno! Io... odio il mal di testa! Che è tenace. Che non se ne va se rimango a riposo. Che stringe i denti e resiste, anche sotto l'effetto dell'antidolorifico. E lo immagino beffarsi di me, nel sapere che per ucciderlo... dovrei massacrare il mio stomaco con i medicinali più forti. No! Niente da fare.
Nel decidere di salvaguardarmi un po'... rivedo i miei piani per la giornata e abbandono tutti i progetti fatti, per dei nuovi da definire al momento.
Niente colazione da leccarsi i baffi. Al posto di fette biscottate e Nutella, sorseggiando un cappuccino caldo fatto in casa, biscotti integrali (che tristezza) e una tazzona di camomilla dolcificata con miele. Spero che tanta acqua, a stomaco praticamente vuoto, non mi uccida. Per quanto in tanti si sforzino di farmi capire che bere è importante, a meno che non si tratti di profonda disidratazione dovuta da eccessiva sudorazione, io e i liquidi ci incontriamo raramente. Lo so... è uno sbaglio :-(
Ad ogni modo... 
Può esserci di peggio, in una domenica mattina di cui già si pregustava lo svago? Sì!
Decidere di non darla vinta al mal di testa, rimettendosi a letto, e provare a dar retta - invece - a qualcosa letto in Internet diverso tempo fa: quando il fisico non è proprio al top, fare delle piccole faccende in casa aiuta. Niente di pesante, ovvio!
Insomma... ho pensato che, visti gli ultimi periodi, con la smania di mettere su carta storie e storie, con i progetti di EstroCreativo che, con il loro costante essere work in progress, ci manca mi sveglino di notte... magari stessi chiedendo troppo alla mente e che... fare qualcosa dove non è strettamente necessario pensare, magari sarebbe davvero servito.
La camera da letto, ultimamente, non è il massimo dell'ordine. Ma... di solito conservo la faccenda per quelle sere in cui la Tv non ha molto da offrire, il sonno riesce ad aspettare (insieme ai libri sul comodino) e tutto ciò di cui ho bisogno è... un po' di musica. Sistemare l'armadio con lo stereo a palla su una canzone dei Queen lo considero quasi una meraviglia. 
Niente camera... rimane il mio angolino privato in soffitta. A dire il vero, è da un po' che non ci metto le mani e la cosa mi preoccupa. Può un angolo incasinato dell'ultimo piano della casa aiutarmi nella lotta contro il mal di testa? Mah!
Salgo le scale con la tentazione di fare marcia indietro ad ogni scalino. Forse... darla vinta al letto non è un'idea troppo malvagia, dopotutto. E chissenefrega di quello che ho letto in Internet, vattelapesca quando e vattelapesca dove. Torno a dormire? No!
Ecco... dopo il mal di testa, ci mancava anche la vocina interiore a rompere! Ma... dico! Si può avere una coscienza tanto 'puntuale'?!?
'Hai promesso che l'avresti fatto, non appena passato il matrimonio di tua sorella... ricordi?'. Certo che continuare a salire le scale, conversando con il proprio io interiore è... quasi da pazzi?!? Speriamo di no.
Arrivata in cima, abbandono del tutto il proposito di tornare di sotto e di rimettermi sotto alle coperte. Senza scherzi... è un disastro! Mal di testa o non mal di testa, voglia o non voglia... serve una sistemata.
Non sono attrezzata con sacchi per la spazzatura e contenitori, ma... intanto comincio.
Sono le undici passate da venti minuti, quando mi accorgo che la testa non mi fa più male. Santo Internet divulgatore di conoscenza! Continuo a sistemare di buona lena per il resto del tempo, ma... quando mi chiamano per il pranzo sono arrivata appena a metà del lavoro.
Quello che c'è di positivo è che... nel riprendere nel pomeriggio potrò portare un po' di musica con me.
Tengo al mio lettore mp3 come fosse un amico di lunga data. In effetti... è con me da dieci anni!
Non è un I-pod... ma non ha nulla da invidiare a quei figurini minuscoli che fanno bella mostra di loro nelle vetrine. Quando è in tasca si fa sentire che c'è, ma... ha in sé tutte le colonne sonore dei miei momenti... Sempre impostato sulla modalità 'sequenza casuale', custodisce i miei gusti musicali e non disdegna di conservare anche i cosiddetti 'varie ed eventuali'... visto che il posto non manca. Alle volte, anche tra le sue cartelle serve un po' d'ordine... ma, è questione di poco! Certo... non è molto d'aiuto in caso di mal di testa :-(
Ma... quando la testa non è più un covo di batterie rullanti, con la musica a portata di mano è una vera pacchia! Continuo a sistemare scatole e buste, buste e scatole, fino a che... questa scatolina la ricordo!
Ha l'aspetto invecchiato... quanti anni saranno passati, da quando l'ho sistemata in soffitta tra libri, vecchie riviste e vecchissime videocassette registrate?
Basta aprirla, per avere una risposta. Poco meno di dieci!
Trovo le candeline del mio ventesimo compleanno, la vecchia fotografia di una carta d'identità, alcune tessere fotografiche di quando ancora avevo i capelli lunghi (devono essermi servite per il rinnovo del documento) e... due tappi di spumante.
Io non bevo alcolici, ma... questa cosa me la ricordo. Per ogni evento importante, tanto da essere festeggiato con un brindisi di bollicine, avevo l'abitudine di conservare il tappo di sughero. 
Li prendo tra le mani e rimango a fissare le date scritte con la penna... è bello averli ritrovati a distanza di tempo. 6-07-04 e 3-08-04... diploma e contratto per Galeotto fu l'Sms!
Ricordi del genere non sono una fotografia, ma... tenerli stretti per un po' è come ritornare al momento. 
Insieme ai tappi c'è anche un sottobicchiere. E' un'altra mania che mi appartiene, ma... in questo caso non ricordavo di aver un sottobicchiere-ricordo. Eppure... eccolo lì! 3-08-04 Firma Contratto!
Ripenso a quella mattina (ripenso ad entrambe, ma... i pensieri corrono di più verso il primo libro, che non verso il diploma di maturità!), ripenso all'emozione...
Perché ho smesso di catalogare i ricordi su tappi di spumante? 
Perché non c'è il brindisi della laurea?
Perché non ci sono quelli legati alle altre pubblicazioni? 
Mi rattrista un po' l'idea di aver smesso di collezionare piccoli ricordi. Ma... 
Non è tardi per ricominciare a farlo!
Allora... finisco di sistemare le cose che mi rimangono da sistemare, mentre già mi immagino a sfogliare gli album di fotografie alla ricerca degli stessi ricordi su carta lucida.
E già mi immagino a scattare due fotografie speciali... Sento la mente di nuovo al lavoro per le parole che riuscirò a buttar giù, con le dita frenetiche sulla tastiera del computer... 




Torno al lettore mp3 poco lontano e, stavolta, scelgo la colonna sonora del momento.

Sai che cosa penso
Che se non ha un senso
Domani arriverà
Domani arriverà lo stesso
Senti che bel vento
Non basta mai il tempo
Domani un altro giorno arriverà...
Domani un altro giorno... ormai è qua! 

domani, domani, domani... in attesa del prossimo tappo da datare! ;-)

sabato 5 ottobre 2013

Foto, musica, fette biscottate e marmellata a mezzanotte

Il rumore della chiave nella porta si confuse nel finale della canzone.
Non era la prima volta che l’ascoltava quella sera, ma questo non impedì a Elena di provare un pizzico di delusione.
«Ancora davanti al computer? Cosa stai facendo di bello?».
Con Riccardo vivevano insieme da qualche mese ma, nonostante i diversi impegni giornalieri dell’uno e dell’altra, che ogni settimana si ripetevano con una continuità alle volte stancante, Elena non riusciva proprio ad abituarsi all’idea di andare a dormire senza prima averlo visto rincasare.
«Sto guardando alcune delle fotografie che ho scattato oggi pomeriggio al parco, vuoi vedere?».
Il sorriso che Riccardo le riservò, mentre con una mano appoggiava il giubbotto sopra il divano, la diceva lunga su quanto Elena potesse essere prevedibile.
«Vediamo un po’… Parco Ranghiasci Brancaleoni?». Lei sorrise. Cosa poteva farci se aveva la fortuna di essere nata in una città che adorava?
«Questa mattina all’ufficio postale ho fatto prima del previsto… così ho pensato che, dato che siamo già in autunno e presto non sarà più tanto caldo, un giro al parco potesse essere una buona idea per svagarmi un po’. Per dirla tutta… ho anche conosciuto qualcuno».
Le labbra le si incurvarono appena in segno di divertimento, quando vide Riccardo bloccarsi e cercare il modo giusto di controbattere a quel ‘qualcuno’. Era geloso. Anche se non voleva ammetterlo, l’idea che qualcuno di non ben precisato avesse passato del tempo al parco con la sua donna lo stava facendo impazzire.
«In che senso… hai conosciuto qualcuno?». Il tono di voce era leggermente cambiato, ma niente di grave.
«Sono arrivata al parco, ho oltrepassato un gruppo di turisti romani che si erano fermati all’ingresso e sotto il ponte che dà sul Camignano ho conosciuto…».
Elena si interruppe, lasciando posto a qualche secondo di silenzio. Se aveva capito come era fatto, Riccardo non le avrebbe chiesto di continuare. Ma, non avrebbe gradito che non lo facesse.
«…una ragazza». Lo confessò scoppiando a ridere della faccia di lui, che non sopportava l’idea di aver ceduto per l’ennesima volta alla gelosia. Poi si accostò piano con le labbra alle sue e lo baciò teneramente.
« L’ho sorpresa che stava scrivendo un messaggio d’amore sul muro. L’ho fotografato con il cellulare… vuoi vedere?». Elena si sbrigò a rimettersi seduta e a ritrovare la fotografia.


Chiunque amasse la musica di Max Pezzali, di fronte a quelle parole non avrebbe potuto non riconoscere una canzone stupenda.
«Sì, ma… poi tu le hai detto che scrivere sui muri, di qualunque cosa si tratti, è reato?». Riccardo era serio e in un primo momento Elena si ritrovò a chiedersi perché, prima di ciò che è giusto o non lo è, lui non fosse riuscito a vedere in quella foto la bellezza di un gesto illegale. Verissimo! Scrivere sui muri è reato, ma… alle volte l’amore si manifesta anche facendo cose prive di buonsenso.
«A dire il vero… no! Visto che l’ho beccata mentre stava cancellando ciò che aveva scritto dopo il cuore, le ho semplicemente chiesto chi fosse il suo primo e ultimo pensiero, ogni giorno».
«E… cosa ti ha risposto lei?».
«Mi ha detto che il lui in questione si chiama Matteo e che – siccome abita da quelle parti – scrivere sul muro del parco le era sembrata una buona idea per provare a dirgli che lo ama. Poi, però…».
Una nuova pausa. Elena si alzò per andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua e quando tornò vicino al computer Riccardo stava scorrendo veloce sulle altre fotografie.
Si bloccò con il mouse su quella bellissima di un piccolissimo scorcio della città incorniciato dalle foglie sempreverdi delle siepi d’alloro e da quelle di rosa dai bordi frastagliate, dopo aver osservato velocemente l’immagine di una rosa canina non più giovane, ma ugualmente bellissima, quella di alcune foglie dai colori sfumati e impreziosite da alcune gocce d’acqua e quella dell’equilibrio perfetto di alcuni esemplari di tigli.





«Questa è stupenda! Il Villino ha in sé una bellezza inglese in grado di scatenare ammirazione e stupore anche in occhi disattenti». Una nuova foto, prima che Elena riuscisse a riprendere il controllo della situazione.


«Dicevo… poi, però… insomma… in sostanza un attimo dopo aver scritto le sue iniziali, disegnato un piccolo cuore e aver aggiunto le iniziali di lui, non le è più sembrata una buona idea quella del messaggio e l’ho beccata proprio mentre stava cancellando le iniziali del ragazzo di cui è innamorata».
«Quanti anni pensi possa avere questa grafomane?». Il tono di Riccardo continuava ad essere indecifrabile, ma per quanto Elena potesse aver capito le sue ragioni, aveva anche deciso di non dargliela vinta e di continuare a difendere la ragazza.
«Buffo, ma vero… anche lei si chiama Elena. Mi ha raccontato di essere al primo anno di Lettere e mi ha confessato di stare male perché non se l’aspettava proprio di innamorarsi. Pare che il ragazzo non ricambi i suoi sentimenti… o che non sia sicuro di ricambiarli; questo non l’ho capito. Lei ci sta male e si sfoga come può. Era al parco per cercare di rilassarsi un po’ e per provare a svuotare la mente, prima di mettersi a studiare nel pomeriggio».
«Cioè mi vuoi dire che questa signorina non solo non ha la più pallida idea di ciò che significhi rispettare un bene pubblico, ma… se ne va in giro a scrivere sui muri frasi d’amore sdolcinate, per un tizio che nemmeno la ricambia?». Riccardo non era il tipo da cedere ad ogni sorta di carineria, né trovava romantica o appropriata qualunque manifestazione d’affetto, ma… aveva un cuore.
Elena sorrise nel ricordarsi quanto fosse stato proprio questo suo temperamento a farla innamorare. A differenza di tanti altri ragazzi pieni di false attenzioni e di false premure, lui non sapeva sempre trovare il modo giusto di starle accanto, ma c’era. C’era con i suoi ‘Ti Amo’ non detti, c’era con gli abbracci non sempre dati, c’era quando Elena aveva più bisogno che ci fosse. Il loro vivere in due non era mai diventato l’essere sempre, comunque e costantemente insieme, ma… l’essere l’essenza delle giornate dell’altro, il motore di ogni respiro, pur essendo altrove.
«Sai che sei proprio buffo, quando fai così… vero?». Elena si allungò per regalargli un nuovo bacio. «L’amore non è qualcosa che si vive e si manifesta solo quando è ricambiato… l’amore è amore e basta. E se anche questa ragazza è innamorata di qualcuno che non la ricambia, io trovo coraggiosa la sua scelta di non fare finta di niente».
Stavolta, fu Riccardo a sorridere. L’amore è amore e basta. Le stesse parole che le aveva sentito dire la primissima volta in cui l’aveva vista.
Era passato un anno e mezzo, ma ricordava come fosse stato solo ieri il momento in cui era rimasto folgorato da Elena. Un vero e proprio fulmine in pieno cuore. Un calore improvviso, sin dal primo sorriso che le ha visto comparire sulle labbra. Qualcosa che non se ne era più voluto andare da allora, e che era rimasto dentro, nonostante le incomprensioni e i momenti difficili. In un mondo dove non è una bugia dire che conta più apparire che essere, in un momento in cui a Riccardo sembrava di avere intorno solo attori di film già visti e rivisti, con poche parole Elena era riuscita ad essere una stella brillante dietro alle nuvole.
Non tutto è per tutti. Ci sono cose rare, che sembrano comuni solo in apparenza.
Lui che usciva da un rapporto finito male. Lei che aveva deciso di non rimanere accanto ad un uomo che era stato il suo compagno per più di dieci anni. La ricerca folle, ma giusta, di quella perfezione che non è perfezione per il piacere degli occhi altrui o per la conformità a determinati status… no! La ricerca di quella perfezione che è perfetta per il cuore. Perché la persona più in gamba e più in sintonia con il proprio modo di vedere sarebbe perfetta, ma non è quella giusta se manca di quel qualcosa che la renda perfetta per il cuore.
Riccardo era rimasto seduto sullo sgabello del pub, ascoltando Elena che continuava a parlare nel tentativo di convincere un’amica a non buttarsi via, una relazione dietro l’altra. Era rimasto ad ascoltarla mentre parlava della bellezza di quel paradiso interiore, che solo la persona che possiede quel qualcosa in più è in grado di far provare. Era rimasto ad ascoltarla mentre continuava a ripetere all’amica che delle buone caratteristiche e l’andare d’accordo su molte questioni possono essere il principio di un amore, ma… che il più delle volte lo sono di un’amicizia; se solo non ci si nascondesse dietro al folle desiderio di essere coppia a tutti i costi e si ragionasse su quanto l’amore abbia poco a che vedere con tutto il resto. L’amore è amore e basta. L’amore è una cosa semplice, non uno schema di pro e contro fatto a tavolino.
Riccardo era rimasto ad ascoltarla per più di un’ora, prima di finire d’un fiato la sua birra, prendere tutto il coraggio che aveva, arrivare davanti ai suoi occhi con la mano già tesa e presentarsi.

«Che ne dici se ora finissimo di guardare le tue foto, preparassimo due fette biscottate con marmellata e due tazze di latte caldo, poi andassimo a dormire? È mezzanotte passata?».
«Non sarebbe meglio con la Nutella?»
Terminare i discorsi passando ad altro era il modo con cui il più delle volte la smettevano di parlare di certe questioni. Non era né giusto, né sbagliato. Era il loro modo.
Stavolta fu Riccardo a sparire in cucina: «No! Facciamo marmellata di fragole, stavolta. La Nutella sarà per la prossima. Ok?».
Ad Elena non servì di rispondere. Aspettò che Riccardo le fosse di nuovo vicino con tutto il necessario per quello spuntino straordinario, poi accese per l’ennesima volta la canzone.
«Dovessi scrivere sui muri qualcosa per te… prenderei le parole da questa». Un nuovo bacio, mentre con la mano gli chiedeva di stringerla e, tra le sue braccia, gli chiedeva di farla ballare.
Un lento giro, prima che Riccardo si accorgesse che sullo schermo del computer stavano passando le bellissime foto del parco. Una dietro l’altra, a fare da sfondo a quell’attimo di magia.






















Immersa in un caos di pensieri

La vita è ciò che ti capita mentre sei impegnato a fare altri progetti. Chi lo ha detto? Non lo ricordo.
Non lo ricordo, ma è vero. E se ciò che ti capita non assomiglia a ciò che avevi progettato, poco importa.
Ciò che è importante è il modo in cui saprai gestire la situazione, quello in cui saprai giocare con i sorrisi e con le lacrime, quello in cui saprai andare avanti… nonostante tutto. Non avanti, perché indietro non si torna. Avanti, perché niente e nessuno merita di fermarti. Allora, per dirla con un’altra citazione, fatti credere folle, lascia che chi hai davanti ti pensi pazzo, lascia uscire dalla bocca parole senza senso, perché nessuno riesca a capirti fino in fondo e riserva i discorsi seri a pochi, rari, splendidi momenti.
Cerca di capire se chi hai di fronte ti sta ascoltando o se il vento è tutto ciò che prende in carico i tuoi discorsi. Vivi ascoltando mente e cuore, ma anche corpo e anima. Vivi. Vivi e respira. Respira e vivi.
E se anche ciò che immaginavi non assomiglia a ciò che ti circonda, poco importa. Ascolta con pazienza il rumore dei tuoi minuti. Lasciali vibrare quando non riesci a contenerne il frastuono, ma sappi tenerli a bada quando pensi che la quiete sia tutto ciò che ti serve.
Vivi con la personalità negli occhi, ma usa gli occhi per mostrare la verità solo se vuoi e solo quando lo ritieni giusto. Rifiuta ciò che non fa per te e ciò che non desideri, con decisione. Ma… anche con gentilezza e senza ferire. Lasciati avvicinare da pochi, ma solo a pochissimi permetti di capire veramente chi sei. Ci sono cose che sono più rare di quanto si pensi, ma non stancarti di cercare il raro che è creato per te.

E se alla fine di tutto avrai avuto il coraggio di scegliere ciò che ti fa stare bene, allora ne sarà valsa la pena.