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sabato 30 aprile 2016

Lungo una strada conosciuta...

Una po’ di tempo per me. L’idea di andare a fare una passeggiata insieme a Mat. Quella di percorrere una strada conosciuta, ma sempre speciale. Pensieri zero.
Mi accorgo di avere l’attenzione catturata da qualcosa. I rumori intorno. L’originale mescolarsi tra di loro. Mi ritrovo a cercare di carpire l’esistenza - o meno - di un certo ritmo; di una certa sequenza. Il rumore dei miei passi sulla strada sterrata. Il rumore delle sue zampe sullo stesso tragitto. Il rumore del mio respiro, a tratti affaticato. Il rumore del suo, anch’esso spesso più pesante del normale. Il rumore delle foglie mosse dal vento. Quello della sua medaglietta al collo. Tintinnio leggero, ma costante, a testimonianza sonora della sua esuberanza canina. Lo scorrere dell’acqua, in lontananza. Un concerto inedito, unico e irripetibile.
A un certo punto, una curva.
È lì, appena dietro l’angolo. Lo sguardo cattura l’istante e, anche se gli occhi hanno già visto ciò che stanno ammirando, scattano comunque una nuova fotografia per il cuore.
Quel posto sa di essere speciale. Sa di essere emozione pura per molti. Sa che potrebbero essere non frequenti gli incontri, ma non per questo capita di trovarlo non all’altezza delle aspettative.



È un posto paziente. Sa aspettare il momento in cui c’è bisogno di lui, perché l’animo possa rasserenarsi di più. È un luogo immerso in un’atmosfera speciale, che è quasi magia.
Respiro a pieni polmoni. chiudo gli occhi per un istante, prima di riprendere a camminare.
Poco più in là c’è un pezzo di prato. Distesa su una panca di legno, cerco di immortalare una porzione di cielo.


Un nuovo sbuffo di vento. Mi ritrovo a seguire con lo sguardo il volo leggero di qualcosa che non riconosco immediatamente. È il seme di un dandelion; o soffione.
Se escludo le volte in cui li ho liberati in aria con un soffio, dopo aver espresso un desiderio, penso di poter dire che questa sia la prima occasione che ho di incontrarne uno solitario.
Continuo a fissarlo e mi sorprendo a scoprire quanto sia vero, che sembra stia danzando. Il rumore delle foglie mosse dal vento. Quello dell’acqua che scorre. Un seme di dandelion danzante.
A proposito d’acqua, comincia a piovere. Poche gocce, che lasciano traccia immediata di loro sulla pietra. È ora di andare.
Chiedo in silenzio alle nuvole che aspettino ancora un po’, prima di mettersi a piangere per bene.
La strada a ritroso sembra più breve.
A poche decine di metri da casa, mi accorgo di essere stata una sorta di taxi per un piccolo ospite. Un piccolo bruco verde. Chissà cosa l’ha spinto ad aggregarsi. Certo dovrà aspettare di essere farfalla, per poter tornare dov’era. O, forse, non vi tornerà affatto.
Lo lascio libero su un filo d’erba, non prima di aver scattato una fotografia.


Mat si accorge e richiede attenzioni tutte per sé.


Gli prometto di replicare presto momenti come questo, ma adesso è tempo di muoversi.
Sull’asfalto, che rimane in silenzio sotto di noi, a un certo punto incontriamo Pepe.
È uno yorkshire impavido. Si avvicina al naso di Mat e pretende un incontro, occhi negli occhi. Si allontana di nuovo. Abbaia più volte, forse offeso dal fatto di non aver ricevuto chissà quale reazione. Non gli importa la differenza di stazza, né che Mat continui a guardalo con noncuranza evidente. Lui continua ad abbaiare.

Non ci rimane che allontanarci in fretta e riprendere, lesti, il cammino. Pochi passi ancora…

sabato 17 ottobre 2015

A spasso per il Regno, con un piccolo Principe!

Questa è la storia di un piccolo Principe, che uscì una mattina per andare a spasso insieme alla sua fata Madrina. Il cielo sarebbe potuto essere più azzurro, ma era comunque piacevole sentire sul viso l’aria fresca di un giorno d’autunno e in fondo bastava vedere remoto il rischio di pioggia.
A bordo di una moderna carrozza rossa, Madrina e Principe avevano deciso che potesse essere una buona idea andare in cerca di funghi. Senza avventurarsi per boschi o arrivare chissà dove, avrebbero cercato tra i fili d’erba del prato poco distante dal Regno e, qualora quella caccia fosse riuscita a dare esito positivo, felici ne avrebbero raccolti in grande quantità.
Prima, però, c’era da dare un’occhiata ai diversi possedimenti, perché tutto fosse a posto. La carrozza avanzò sicura per le strade segnate da altri mezzi e, nonostante la terra bagnata qua e là e qualche pozzanghera di troppo, senza timore riuscì a raggiungere tutto ciò che c’era da poter vedere.
Lungo il tragitto, il Principe s’imbatté in una coccinella, che assicurò che tutto fosse a posto da quelle parti.


Incontrò anche una giovane chiocciola, ma questa era talmente tanto di poche parole, da non uscire dal guscio nemmeno per salutare, preferendo rimanere nascosta dentro la fessura di un muro di pietra. 


Il Principe avrebbe potuto punirla ed esigere rispetto, ma era un Principe d’animo talmente buono, che predilesse lasciar perdere e andare oltre.
Qualche metro più avanti, si imbatté nelle due Gatte guardiane.
Non gli erano molto simpatiche a dire il vero, ma anche questo il Principe scelse di non lasciarlo trapelare. Augurando loro una buona giornata, senza nemmeno chiedersi cosa andassero cercando con tanto fervore, passò oltre fino ad arrivare alla fine di quella prima strada.
Ce n’era ancora un’altra da controllare. Forse, però, era anche giunta l’ora di vedere se la fortuna avrebbe regalato loro i bei funghi prataioli che andavano sognando. Lesti, Principe e Madrina tornarono al prato che avevano costeggiato poco prima. Trovarono menta selvatica profumatissima e fiorita, in grande quantità.



E per un attimo il Principe divenne un giovane, piccolo ‘Cenerentolo’; perdendo a terra una delle sue scarpe nuove.


«Che il cielo non voglia di lasciarla qui!», la fata Madrina si affrettò a raccoglierla e a rimetterla al suo posto.
Con gratitudine, il piccolo Principe le sorrise. Era divertito e questo non impedì alla fata Madrina di pensare che potesse averlo fatto di proposito, ma… non avrebbe saputo dirlo con certezza.
Ripresero il cammino, un po’ delusi per quella caccia ai funghi finita con un nulla di fatto.
Raggiunsero l’altra estremità del Regno, dove un vecchio e saggissimo custode Bau non si stancava mai di fare la guardia. Assicurò loro che nessun intruso si era avvicinato al castello nella notte e che, fino che lui avrebbe avuto vita e fiato a sufficienza per abbaiare, mai nessuno sarebbe riuscito a farlo.
Il Principe si disse ben lieto di vedere e di sentire tanta dedizione, ma aveva un po’ fretta e preferì non dilungarsi troppo in chiacchiere. Doveva arrivare fino in fondo all’altra strada e assicurarsi che tutto fosse come doveva essere.
A metà della via incontrò un grillo, salterino e solitario, che riferì di come gli acini di oliva sulle piante del Regno fossero maturati bene e del fatto che, ormai, fossero pronti per essere raccolti. Il Principe garantì che se ne sarebbe occupato. Poi, giacché il grillo andava di fretta, lo salutò e si augurò che quei primi venti freddi non lo facessero stare troppo male.
Era quasi giunto il momento di tornare al castello, ma come poteva tornarvi senza qualcosa da riportare?
Quella mattina era uscito con il preciso intento di trovare un dono per la Madre Regina e per il Padre Re e, quanto è vero che era un Principe, non sarebbe rincasato a mani vuote.
Con la complicità della fata Madrina, allora, si avviò verso la zona dei trifogli.
«Forse riusciremo a trovarne uno di quelli speciali, con la quarta foglia a far da portafortuna»; disse la Madrina speranzosa. Nonostante lo sguardo aguzzo e il tempo perso a scrutare trifoglio per trifoglio, però, niente da fare.
Sembrava proprio che quei steli lunghi fossero i più normali e comuni che potessero esserci.
Principe e Madrina stavano per girare la carrozza e tornarsene al caldo, quando un’idea improvvisa arrivò a scacciar via i brutti pensieri. Pur non avendo trovato un quadrifoglio, avrebbero potuto comunque riportare qualcosa. Il Principe guardò sorridente la Madrina e subito si capirono.
Una sola foglia di trifoglio è un cuore e non può esserci regalo migliore per dei genitori tanto amorevoli. Finalmente soddisfatti, rientrarono a corte.



Il Principe poté riposare sereno sotto una coperta cosparsa di stelle, fino che tutti rincasarono. 

lunedì 6 aprile 2015

Dodici palloncini rossi

Tolse gli occhiali da sole, un attimo prima di entrare in negozio.
Aveva con sé il portafogli, il cellulare e un libro.
Non era abituato a cose del genere. Sentì il dubbio di voler fare marcia indietro.
«Buongiorno! Posso esserle utile?». Il sorriso spontaneo della ragazza dietro il bancone lo convinse a farsi coraggio.
«Buongiorno a lei! Preferirei dare un’occhiata prima, se non le dispiace». Si avviò verso lo scaffale, dritto davanti a sé. Cercò di perdersi tra ninnoli vari per le feste e pacchi interi, di stoviglie di plastica in ogni forma e colore.
Gli era bastato alzare gli occhi al soffitto, per capire di essere nel posto giusto. Fiori di palloncini erano appesi ovunque.
Si fermò un attimo, a guardare la parete riservata alle candeline. Non era lì per un compleanno.
Avvicinandosi lentamente al bancone, sorrise di nuovo. Chissà perché, quel secondo sorriso fu più stentato.
«Potrei… potrei avere un mazzo di palloncini rossi?». Chiese indicando i pacchetti colorati alle spalle della ragazza.
«Che non siano palloncini troppo grandi… vorrei somigliassero a un mazzo di rose».
La ragazza dietro il bancone sorrise di nuovo. Aveva dei bellissimi occhi azzurri, che si accesero di curiosità.
«Sono un regalo per la sua ragazza?».
Non avrebbe dovuto chiederlo. La discrezione era la prima buona regola del venditore.
Già alle prese con la scelta dei palloncini giusti, si affrettò a scusarsi: «Mi dispiace. Non volevo essere invadente».
Le era rimasta viva dentro la curiosità di sapere per chi fosse quel mazzo di palloncini rossi, ma fece finta di niente.
Gonfiati i primi quattro, si rese conto di aver bisogno di un’altra informazione.
«Quanti?». Aveva cominciato a contare gli stecchi, che sarebbero serviti per tenerli fermi tra le mani.
«Qual è il numero giusto, per chiedere a una ragazza di uscire con te?». Conosceva la mania che c’era, per le rose, di regalarle a dozzine o a mezze di esse. Chissà se… per i palloncini valeva altrettanto?
Stava torturando uno spigolo del libro con le dita, quando la voce della ragazza si decise a tranquillizzarlo: «Direi che dodici possano andare bene. Sarebbe proprio un bel mazzo!». L’ennesimo sorriso. «Fosse un regalo per me, ne sarei entusiasta!». Risero entrambi.
«Potrebbe reggere un attimo qui, per favore?». Gonfiato anche l’ultimo palloncino, serviva di trovare qualcosa per riuscire a tenerli insieme.
«Che ne pensa di un grande fiocco di raso verde?». Non era pratico di certe cose. Si limitò ad annuire.
«Posso aggiungere delle farfalle finte?». Annuì di nuovo. Si ricordò del libro che aveva con sé.


«C’è il modo di aggiungere questo? E… vorrei scrivere un biglietto, se ha una penna da prestarmi».
I cartoncini, insieme con le buste colorate, erano sistemati vicino alla cassa. Ne prese uno di un verde più leggero, rispetto al nastro di raso che la ragazza aveva scelto per il fiocco.
Trovata una penna vicino la calcolatrice, pensò un attimo a cosa scrivere.
Non era bravo con le parole. Mai stato.
Passati inutilmente cinque minuti, decise di lasciarsi ispirare da una frase del libro. L’uomo dei palloncini volanti lo avrebbe aiutato.

Vorrei essere per Te, un Principe Azzurro!

Si ritrovò a sorridere. Chi l’avrebbe detto.


Lui. Proprio lui, che era sempre stato dell’idea di non credere in certe cose.

Era bastato uno sguardo. Un sorriso. Poco di più. Per ritrovarsi ad avere a che fare, con il suo sogno più grande!

domenica 15 febbraio 2015

Amore e bigliettini

«Ehi… che fai?».
«Butto la carta… perché?».
«Senza leggere il bigliettino? Non lo sai che un Bacio si mangia praticamente apposta?».
Riccardo rimase a guardarla in silenzio. Angela aveva quel sorriso furbetto, che lui trovava bellissimo.
«No! Credo che un Bacio si mangi, piuttosto, perché è un cioccolatino buonissimo. Personalmente, adoro lo scrocchiare della nocciola intera sotto i denti e il sapore deciso, ma non troppo, del fondente; per cui vorrei mangiarne sempre uno in più».
«Ma senti tu! Che razza di…», Angela bloccò il discorso sul nascere. Non perché fosse intenzionata a dargli vinta la partita. Al contrario. Con pacatezza, ma con decisione, aggiunse d’un fiato: «Se vuoi sentire lo scrocchiare di una nocciola intera sotto i denti, basta mordere una qualunque tavoletta di cioccolato che ne abbia. Ma… se mangi un Bacio, è perché credi nella bellezza intrinseca dei messaggi che custodisce. Non si può mangiare un Bacio e non leggere il bigliettino. È contro… è contro…». A dire il vero, Angela non avrebbe saputo dire a che cosa, di preciso, la questione andasse contro. Ma, continuava a essere certa di una cosa. Non si mangia un Bacio, senza gustarne anche le parole.
«Non vorrai mica diventare come quegli uomini cinici, che girano per le strade del mondo e che non sono più nemmeno in grado di alzare gli occhi al cielo, per accorgersi delle stelle?».
«Ma… io non sto ignorando le stelle, non l’ho mai fatto finora e spero di non ritrovarmi a farlo più avanti, quando di anni ne saranno passati di più e – forse – le delusioni vissute potrebbero essere superiori alle conquiste. Spero di ricordarmi sempre, che le stelle ci sono».
Sembrava assurdo come, dal niente, fossero finiti a parlare di cose tanto astratte, quanto fondamentali. Il cielo, le stelle, il significato intrinseco di ogni cosa, il futuro e le aspettative. Angela sorrise ancora.
«Ok… ok! Però… c’è sempre il rischio che il cinismo e il disincanto si insinuino, piano, piano, in una personalità, a partire da un semplice bigliettino dei Baci. Andiamo! Sarebbe come giocare al Lotto e non verificare se si è vinto qualcosa. Come acquistare un Gratta e Vinci e non grattarlo. Se qualcuno ha pensato di mettere un biglietto insieme a un cioccolatino… una ragione ci sarà, no?».
«Ssss…sì!». Riccardo non sembrava troppo convinto, ma Angela scelse di non farci caso. Rimase a guardarlo, mentre sembrava giocare tra le dita con una pallina di carta stagnola. Il bigliettino era tutto stropicciato, ma ancora leggibile.
«Cosa c’è scritto?», gli chiese con un’espressione carica di aspettativa.
«L’amicizia è il matrimonio dell’anima. Voltaire». Riccardo rimase con il bigliettino in mano. 


Doveva ammetterlo, tra il non leggerlo e l’averlo letto era lo stesso. Elogi inutili, di buoni sentimenti il più delle volte non protagonisti nel mondo.
«Beh! Cos’è quella faccia? Non pensi che sia vero?». Angela non era intenzionata a cedere, però… c’era rimasta male, nel percepire il più totale disinteresse in quei due occhi scuri che adorava.
«Vediamo se riesco a trovare il modo di strapparti un sorriso. Te l’ho mai detto, che quando sorridi sei bellissimo?». Riccardo gliene regalò subito uno, ma Angela voleva vedere le stelle.
Strappò un pezzo di carta dal fondo della piccola rubrica telefonica, che aveva cura di portare sempre con sé, qualora il cellulare avesse deciso di darle forfait all’improvviso, per scongiurare il pericolo di rimanere senza contatti a portata di mano.
Trovò in fretta anche una penna e scrisse veloce.
«Ecco… tieni!».
Riccardo l’aprì e lesse ad alta voce: «T puntato, A puntato».


Un attimo di silenzio, poi: «Cosa vuol dire, T puntato, A puntato?».
«Vuol dire Ti Amo… no?!?».
«E… perché non lo hai scritto per esteso?».
Angela sorrise.
«Perché, in quel caso, tu non mi avresti chiesto niente e io non avrei potuto dirtelo ad alta voce… che ti amo… ti amo, più di quanto abbia mai amato qualcuno».
«Ripetilo ancora, allora. Voglio sentirlo di nuovo».
«Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo….», Angela avrebbe potuto continuare a dirlo all’infinito, se Riccardo non fosse riuscito a zittirla con un bacio.
Niente cioccolato fondente, niente nocciole intere e croccanti. Solo l’incontro di quattro labbra, vogliose di non perdersi mai.
«Anche io ti amo… tantissimo!», Riccardo sorrise. Fu in quel sorriso, fatto anche dagli occhi luminosi e fissi, immobili su di lei, che Angela riuscì a vedere le stelle.
«Io… di più».

martedì 30 dicembre 2014

Fiocco, dopo fiocco...


Naso di carota, braccia di rosmarino. Indossa una sciarpa di raso e in testa ha un campanellino. Di giornale è il cappello, di vetro sono i bottoni. È arrivato fiocchettando e sorride ai bimbi buoni. Quante emozioni poter guardare, altra neve fiocchettare. Presto o tardi, chi lo sa, nuova festa si farà! 


domenica 31 agosto 2014

Con un Micio tra le righe!

(Foto semi-serie... di una mattinata tra carta e inchiostro :-D)


Si comincia sempre così... con uno sguardo innocente, che ti osserva da sotto il tavolo :-D


Poi però... se c'è la fortuna di avere i 'mezzi' a disposizione... perché non provare a cambiare angolazione?!?


Perché si sa... il mondo non è mai lo stesso... cambia ogni volta che a cambiare è il punto di vista! :-D


Allora... giusto il tempo di pensarci un po' su... prima del salto! 


Guarda un po' cosa c'è qui... sembra interessante...


Molto, molto, molto... interessante...


Talmente tanto interessante...


...da non volersene separare...


Proprio no! Per nessuna ragione...


Sembra qualcosa di adatto...


...da rosicchiare! :-D


Anche se, alla fine, dopo essersi guardati meglio intorno...


Sì! E' meglio decidere che...



...Un po' di relax è proprio quel che ci vuole! :-D

sabato 5 ottobre 2013

Foto, musica, fette biscottate e marmellata a mezzanotte

Il rumore della chiave nella porta si confuse nel finale della canzone.
Non era la prima volta che l’ascoltava quella sera, ma questo non impedì a Elena di provare un pizzico di delusione.
«Ancora davanti al computer? Cosa stai facendo di bello?».
Con Riccardo vivevano insieme da qualche mese ma, nonostante i diversi impegni giornalieri dell’uno e dell’altra, che ogni settimana si ripetevano con una continuità alle volte stancante, Elena non riusciva proprio ad abituarsi all’idea di andare a dormire senza prima averlo visto rincasare.
«Sto guardando alcune delle fotografie che ho scattato oggi pomeriggio al parco, vuoi vedere?».
Il sorriso che Riccardo le riservò, mentre con una mano appoggiava il giubbotto sopra il divano, la diceva lunga su quanto Elena potesse essere prevedibile.
«Vediamo un po’… Parco Ranghiasci Brancaleoni?». Lei sorrise. Cosa poteva farci se aveva la fortuna di essere nata in una città che adorava?
«Questa mattina all’ufficio postale ho fatto prima del previsto… così ho pensato che, dato che siamo già in autunno e presto non sarà più tanto caldo, un giro al parco potesse essere una buona idea per svagarmi un po’. Per dirla tutta… ho anche conosciuto qualcuno».
Le labbra le si incurvarono appena in segno di divertimento, quando vide Riccardo bloccarsi e cercare il modo giusto di controbattere a quel ‘qualcuno’. Era geloso. Anche se non voleva ammetterlo, l’idea che qualcuno di non ben precisato avesse passato del tempo al parco con la sua donna lo stava facendo impazzire.
«In che senso… hai conosciuto qualcuno?». Il tono di voce era leggermente cambiato, ma niente di grave.
«Sono arrivata al parco, ho oltrepassato un gruppo di turisti romani che si erano fermati all’ingresso e sotto il ponte che dà sul Camignano ho conosciuto…».
Elena si interruppe, lasciando posto a qualche secondo di silenzio. Se aveva capito come era fatto, Riccardo non le avrebbe chiesto di continuare. Ma, non avrebbe gradito che non lo facesse.
«…una ragazza». Lo confessò scoppiando a ridere della faccia di lui, che non sopportava l’idea di aver ceduto per l’ennesima volta alla gelosia. Poi si accostò piano con le labbra alle sue e lo baciò teneramente.
« L’ho sorpresa che stava scrivendo un messaggio d’amore sul muro. L’ho fotografato con il cellulare… vuoi vedere?». Elena si sbrigò a rimettersi seduta e a ritrovare la fotografia.


Chiunque amasse la musica di Max Pezzali, di fronte a quelle parole non avrebbe potuto non riconoscere una canzone stupenda.
«Sì, ma… poi tu le hai detto che scrivere sui muri, di qualunque cosa si tratti, è reato?». Riccardo era serio e in un primo momento Elena si ritrovò a chiedersi perché, prima di ciò che è giusto o non lo è, lui non fosse riuscito a vedere in quella foto la bellezza di un gesto illegale. Verissimo! Scrivere sui muri è reato, ma… alle volte l’amore si manifesta anche facendo cose prive di buonsenso.
«A dire il vero… no! Visto che l’ho beccata mentre stava cancellando ciò che aveva scritto dopo il cuore, le ho semplicemente chiesto chi fosse il suo primo e ultimo pensiero, ogni giorno».
«E… cosa ti ha risposto lei?».
«Mi ha detto che il lui in questione si chiama Matteo e che – siccome abita da quelle parti – scrivere sul muro del parco le era sembrata una buona idea per provare a dirgli che lo ama. Poi, però…».
Una nuova pausa. Elena si alzò per andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua e quando tornò vicino al computer Riccardo stava scorrendo veloce sulle altre fotografie.
Si bloccò con il mouse su quella bellissima di un piccolissimo scorcio della città incorniciato dalle foglie sempreverdi delle siepi d’alloro e da quelle di rosa dai bordi frastagliate, dopo aver osservato velocemente l’immagine di una rosa canina non più giovane, ma ugualmente bellissima, quella di alcune foglie dai colori sfumati e impreziosite da alcune gocce d’acqua e quella dell’equilibrio perfetto di alcuni esemplari di tigli.





«Questa è stupenda! Il Villino ha in sé una bellezza inglese in grado di scatenare ammirazione e stupore anche in occhi disattenti». Una nuova foto, prima che Elena riuscisse a riprendere il controllo della situazione.


«Dicevo… poi, però… insomma… in sostanza un attimo dopo aver scritto le sue iniziali, disegnato un piccolo cuore e aver aggiunto le iniziali di lui, non le è più sembrata una buona idea quella del messaggio e l’ho beccata proprio mentre stava cancellando le iniziali del ragazzo di cui è innamorata».
«Quanti anni pensi possa avere questa grafomane?». Il tono di Riccardo continuava ad essere indecifrabile, ma per quanto Elena potesse aver capito le sue ragioni, aveva anche deciso di non dargliela vinta e di continuare a difendere la ragazza.
«Buffo, ma vero… anche lei si chiama Elena. Mi ha raccontato di essere al primo anno di Lettere e mi ha confessato di stare male perché non se l’aspettava proprio di innamorarsi. Pare che il ragazzo non ricambi i suoi sentimenti… o che non sia sicuro di ricambiarli; questo non l’ho capito. Lei ci sta male e si sfoga come può. Era al parco per cercare di rilassarsi un po’ e per provare a svuotare la mente, prima di mettersi a studiare nel pomeriggio».
«Cioè mi vuoi dire che questa signorina non solo non ha la più pallida idea di ciò che significhi rispettare un bene pubblico, ma… se ne va in giro a scrivere sui muri frasi d’amore sdolcinate, per un tizio che nemmeno la ricambia?». Riccardo non era il tipo da cedere ad ogni sorta di carineria, né trovava romantica o appropriata qualunque manifestazione d’affetto, ma… aveva un cuore.
Elena sorrise nel ricordarsi quanto fosse stato proprio questo suo temperamento a farla innamorare. A differenza di tanti altri ragazzi pieni di false attenzioni e di false premure, lui non sapeva sempre trovare il modo giusto di starle accanto, ma c’era. C’era con i suoi ‘Ti Amo’ non detti, c’era con gli abbracci non sempre dati, c’era quando Elena aveva più bisogno che ci fosse. Il loro vivere in due non era mai diventato l’essere sempre, comunque e costantemente insieme, ma… l’essere l’essenza delle giornate dell’altro, il motore di ogni respiro, pur essendo altrove.
«Sai che sei proprio buffo, quando fai così… vero?». Elena si allungò per regalargli un nuovo bacio. «L’amore non è qualcosa che si vive e si manifesta solo quando è ricambiato… l’amore è amore e basta. E se anche questa ragazza è innamorata di qualcuno che non la ricambia, io trovo coraggiosa la sua scelta di non fare finta di niente».
Stavolta, fu Riccardo a sorridere. L’amore è amore e basta. Le stesse parole che le aveva sentito dire la primissima volta in cui l’aveva vista.
Era passato un anno e mezzo, ma ricordava come fosse stato solo ieri il momento in cui era rimasto folgorato da Elena. Un vero e proprio fulmine in pieno cuore. Un calore improvviso, sin dal primo sorriso che le ha visto comparire sulle labbra. Qualcosa che non se ne era più voluto andare da allora, e che era rimasto dentro, nonostante le incomprensioni e i momenti difficili. In un mondo dove non è una bugia dire che conta più apparire che essere, in un momento in cui a Riccardo sembrava di avere intorno solo attori di film già visti e rivisti, con poche parole Elena era riuscita ad essere una stella brillante dietro alle nuvole.
Non tutto è per tutti. Ci sono cose rare, che sembrano comuni solo in apparenza.
Lui che usciva da un rapporto finito male. Lei che aveva deciso di non rimanere accanto ad un uomo che era stato il suo compagno per più di dieci anni. La ricerca folle, ma giusta, di quella perfezione che non è perfezione per il piacere degli occhi altrui o per la conformità a determinati status… no! La ricerca di quella perfezione che è perfetta per il cuore. Perché la persona più in gamba e più in sintonia con il proprio modo di vedere sarebbe perfetta, ma non è quella giusta se manca di quel qualcosa che la renda perfetta per il cuore.
Riccardo era rimasto seduto sullo sgabello del pub, ascoltando Elena che continuava a parlare nel tentativo di convincere un’amica a non buttarsi via, una relazione dietro l’altra. Era rimasto ad ascoltarla mentre parlava della bellezza di quel paradiso interiore, che solo la persona che possiede quel qualcosa in più è in grado di far provare. Era rimasto ad ascoltarla mentre continuava a ripetere all’amica che delle buone caratteristiche e l’andare d’accordo su molte questioni possono essere il principio di un amore, ma… che il più delle volte lo sono di un’amicizia; se solo non ci si nascondesse dietro al folle desiderio di essere coppia a tutti i costi e si ragionasse su quanto l’amore abbia poco a che vedere con tutto il resto. L’amore è amore e basta. L’amore è una cosa semplice, non uno schema di pro e contro fatto a tavolino.
Riccardo era rimasto ad ascoltarla per più di un’ora, prima di finire d’un fiato la sua birra, prendere tutto il coraggio che aveva, arrivare davanti ai suoi occhi con la mano già tesa e presentarsi.

«Che ne dici se ora finissimo di guardare le tue foto, preparassimo due fette biscottate con marmellata e due tazze di latte caldo, poi andassimo a dormire? È mezzanotte passata?».
«Non sarebbe meglio con la Nutella?»
Terminare i discorsi passando ad altro era il modo con cui il più delle volte la smettevano di parlare di certe questioni. Non era né giusto, né sbagliato. Era il loro modo.
Stavolta fu Riccardo a sparire in cucina: «No! Facciamo marmellata di fragole, stavolta. La Nutella sarà per la prossima. Ok?».
Ad Elena non servì di rispondere. Aspettò che Riccardo le fosse di nuovo vicino con tutto il necessario per quello spuntino straordinario, poi accese per l’ennesima volta la canzone.
«Dovessi scrivere sui muri qualcosa per te… prenderei le parole da questa». Un nuovo bacio, mentre con la mano gli chiedeva di stringerla e, tra le sue braccia, gli chiedeva di farla ballare.
Un lento giro, prima che Riccardo si accorgesse che sullo schermo del computer stavano passando le bellissime foto del parco. Una dietro l’altra, a fare da sfondo a quell’attimo di magia.