sabato 31 ottobre 2015

Il mio 'stile dorsale'!

È qualcosa che ho visto circolare in Facebook un po’ di giorni fa. Magari è da tempo che esiste una cosa del genere, ma la mia attenzione ne è rimasta colpita solo da poco. Scrivere frasi, attraverso i titoli dei libri. C’è una pagina interamente dedicata (o forse più di una, non saprei). Credo esista anche un hashtag, ma nella confusione dei miei archivi mentali non sono riuscita a ritrovarlo e, comunque, non lo userei. Ho una sincera avversione per il cancelletto. Opinione del tutto personale, che esula dal fatto che possa esserci un’utilità intrinseca nel adoperarlo, al fine di aggregante tematico; come recita Wikipedia. Ci mancherebbe altro. 
Lo chiamano Stile Dorsale. Ed è ciò che mi ha costretto a fissare per giorni tutti i punti in cui sono sistemati libri in camera mia. Sembrava sufficientemente facile, da convincermi che in meno di un quarto d’ora anche io sarei riuscita ad avere la mia ‘combinazione’. Invece, niente. I primi tentativi sono falliti in maniera tanto rapida, da portarmi a rinunciare con la stessa fretta. Si vede che lo stile dorsale non fa per me. Oggi, solo per il fatto che accetto malamente darmi per vinta, c’ho riprovato e, non so come, sono riuscita a trovare una frase
Mettendo insieme un libro di pubblicazione non recentissima, acquistato dopo aver letto una recensione sulle pagine di un settimanale e ancora da leggere (quando voglio riesco a procrastinare alla grande!); una pubblicazione più esile, di cui essenzialmente non ricordo la trama, pur mantenendo la convinzione di averla letta prima dell’acquisto (insieme alla convinzione di aver spoilerato il finale, come faccio quasi sempre), il cui titolo racchiude in brevissimo quello che penso sia necessario avere sempre a disposizione; un altro che, più o meno alla stessa maniera del secondo, continua ad attirarmi per il suo saper racchiudere in un titolo l’importanza  e l'essenzialità di ciò che è sia semplice, che complicato; quindi l’ultimo. L'unico letto, per il momento. Ho scattato la foto, prima ancora di pensare che possa essere una frase perfetta per descrivere il mio importante 'progetto di parole'. Quello che ha superato la quota delle cinquantamila, quello di cui non ho ancora parlato, quello di cui ancora non parlo, per scaramanzia. Ma che - fondamentalmente - è tutto qui; in questa frase di senso compiuto, scritta con i dorsi dei libri.
Forse è per questo, che non sono riuscita a trovare niente prima. Perché, come per la maggior parte delle ricerche, capita di non trovare niente fino a che non si è disposti a vedere.




I sogni in tasca. Le parole giuste. Un semplice gesto di tenerezza. Scommettiamo che ti faccio innamorare?

Qual è il vostro stile dorsale?
Alla prossima! ;-)

sabato 17 ottobre 2015

A spasso per il Regno, con un piccolo Principe!

Questa è la storia di un piccolo Principe, che uscì una mattina per andare a spasso insieme alla sua fata Madrina. Il cielo sarebbe potuto essere più azzurro, ma era comunque piacevole sentire sul viso l’aria fresca di un giorno d’autunno e in fondo bastava vedere remoto il rischio di pioggia.
A bordo di una moderna carrozza rossa, Madrina e Principe avevano deciso che potesse essere una buona idea andare in cerca di funghi. Senza avventurarsi per boschi o arrivare chissà dove, avrebbero cercato tra i fili d’erba del prato poco distante dal Regno e, qualora quella caccia fosse riuscita a dare esito positivo, felici ne avrebbero raccolti in grande quantità.
Prima, però, c’era da dare un’occhiata ai diversi possedimenti, perché tutto fosse a posto. La carrozza avanzò sicura per le strade segnate da altri mezzi e, nonostante la terra bagnata qua e là e qualche pozzanghera di troppo, senza timore riuscì a raggiungere tutto ciò che c’era da poter vedere.
Lungo il tragitto, il Principe s’imbatté in una coccinella, che assicurò che tutto fosse a posto da quelle parti.


Incontrò anche una giovane chiocciola, ma questa era talmente tanto di poche parole, da non uscire dal guscio nemmeno per salutare, preferendo rimanere nascosta dentro la fessura di un muro di pietra. 


Il Principe avrebbe potuto punirla ed esigere rispetto, ma era un Principe d’animo talmente buono, che predilesse lasciar perdere e andare oltre.
Qualche metro più avanti, si imbatté nelle due Gatte guardiane.
Non gli erano molto simpatiche a dire il vero, ma anche questo il Principe scelse di non lasciarlo trapelare. Augurando loro una buona giornata, senza nemmeno chiedersi cosa andassero cercando con tanto fervore, passò oltre fino ad arrivare alla fine di quella prima strada.
Ce n’era ancora un’altra da controllare. Forse, però, era anche giunta l’ora di vedere se la fortuna avrebbe regalato loro i bei funghi prataioli che andavano sognando. Lesti, Principe e Madrina tornarono al prato che avevano costeggiato poco prima. Trovarono menta selvatica profumatissima e fiorita, in grande quantità.



E per un attimo il Principe divenne un giovane, piccolo ‘Cenerentolo’; perdendo a terra una delle sue scarpe nuove.


«Che il cielo non voglia di lasciarla qui!», la fata Madrina si affrettò a raccoglierla e a rimetterla al suo posto.
Con gratitudine, il piccolo Principe le sorrise. Era divertito e questo non impedì alla fata Madrina di pensare che potesse averlo fatto di proposito, ma… non avrebbe saputo dirlo con certezza.
Ripresero il cammino, un po’ delusi per quella caccia ai funghi finita con un nulla di fatto.
Raggiunsero l’altra estremità del Regno, dove un vecchio e saggissimo custode Bau non si stancava mai di fare la guardia. Assicurò loro che nessun intruso si era avvicinato al castello nella notte e che, fino che lui avrebbe avuto vita e fiato a sufficienza per abbaiare, mai nessuno sarebbe riuscito a farlo.
Il Principe si disse ben lieto di vedere e di sentire tanta dedizione, ma aveva un po’ fretta e preferì non dilungarsi troppo in chiacchiere. Doveva arrivare fino in fondo all’altra strada e assicurarsi che tutto fosse come doveva essere.
A metà della via incontrò un grillo, salterino e solitario, che riferì di come gli acini di oliva sulle piante del Regno fossero maturati bene e del fatto che, ormai, fossero pronti per essere raccolti. Il Principe garantì che se ne sarebbe occupato. Poi, giacché il grillo andava di fretta, lo salutò e si augurò che quei primi venti freddi non lo facessero stare troppo male.
Era quasi giunto il momento di tornare al castello, ma come poteva tornarvi senza qualcosa da riportare?
Quella mattina era uscito con il preciso intento di trovare un dono per la Madre Regina e per il Padre Re e, quanto è vero che era un Principe, non sarebbe rincasato a mani vuote.
Con la complicità della fata Madrina, allora, si avviò verso la zona dei trifogli.
«Forse riusciremo a trovarne uno di quelli speciali, con la quarta foglia a far da portafortuna»; disse la Madrina speranzosa. Nonostante lo sguardo aguzzo e il tempo perso a scrutare trifoglio per trifoglio, però, niente da fare.
Sembrava proprio che quei steli lunghi fossero i più normali e comuni che potessero esserci.
Principe e Madrina stavano per girare la carrozza e tornarsene al caldo, quando un’idea improvvisa arrivò a scacciar via i brutti pensieri. Pur non avendo trovato un quadrifoglio, avrebbero potuto comunque riportare qualcosa. Il Principe guardò sorridente la Madrina e subito si capirono.
Una sola foglia di trifoglio è un cuore e non può esserci regalo migliore per dei genitori tanto amorevoli. Finalmente soddisfatti, rientrarono a corte.



Il Principe poté riposare sereno sotto una coperta cosparsa di stelle, fino che tutti rincasarono. 

giovedì 15 ottobre 2015

Ancora 'su piazza'!

Un euro, per ogni volta in cui mi sono sentita domandare: “Sei fidanzata?”. A quest’ora, probabilmente, starei scrivendo dalle Bahamas; sorseggiando piña colada (pure da astemia). Non saprei… di preciso, cos’è che all’improvviso fa scattare una curiosità del genere, non trattandosi neppure di ipotetici, improbabili o presunti corteggiatori? Ho esaurito la fantasia, nella ricerca di una risposta che fosse originale. Che non lasciasse trapelare il mio fastidio, ma che non fosse irritante quanto un no secco. A trenta anni (che in molti casi continuano a non essermi riconosciuti… pare riesca a dimostrarne di meno), non è che non mi sia mai immaginata fidanzata (lo sono anche stata per 6 lunghi anni, a voler rinfrescare la memoria di alcuni dei più curiosi che, guarda un po’, conoscono le mie vicissitudini passate), o addirittura con marito e figli, come alcune mie coetanee. Ma… ho un piccolo problemino nei confronti di queste cose. Sempre avuto, tra l’altro. Nella mia testa non riesce a smettere di rimbalzare un pensiero, che fa più o meno così: “Non con chiunque! Non a tutti i costi!”. Dovessero suonare anche tutti i campanelli d’allarme del mondo, dovesse entrare in sciopero il mio orologio biologico, perché stanchissimo di ticchettare forte per farsi sentire; non riuscirei a cambiare idea. Non con chiunque. Forse perché, tra le tante cose, ho una personalità tendenzialmente egoista. Mi piace avere i miei spazi, le mie cose, le mie questioni personali e sarei disposta a ridimensionarmi solo e qualora dovesse capitare il tipo giustissimo (sorvolo sulle caratteristiche, ma ci tengo a precisare che sono lontana dal concetto di principe azzurro). Cosa c’è di stratosferico, o inaccettabile in un ragionamento del genere? Non mi sembra proprio di essere una marziana, ma per qualche strana ragione c’è chi ha provato (e continua a provare) a farmelo credere. A farmi credere che non avere un ragazzo, a trenta anni suonati, è manifestare una carenza grave. Un lasciar passare il tempo inutilmente, come a voler scherzare con il fuoco continuando a ignorare quanto possa bruciare. Strano, poi, che le uniche cicatrici che porto addosso, però, siano state fatte da persone che ho provato a tenere accanto a me. Perché ci sono stati momenti in cui ho pensato di aver trovato l’anima gemella (terminologia che tendenzialmente detesto, ma è sufficientemente sbrigativa, comprensibile e utile allo scopo), in cui mi sono sentita a casa, viva, desiderosa di crederci fino in fondo, vicino a qualcuno. Poi, però, nulla da fare. Allora, credo che il ‘Lui’ giusto debba ancora presentarsi. Perché, se lo avessi già incontrato, a quest’ora staremmo insieme. Nel frattempo, non me la sento di rimanere in apnea o di sentirmi un caso umano, con qualcosa in meno rispetto alla 'massa'. Quante probabilità ci saranno che io riesca a imbattere nel mio lieto fine personale? Non lo so. Spero quelle giuste. E se poi non dovesse essere un lieto fine sotto forma di fede al dito? Io sono disposta a farmene una ragione. Non è altrettanto con la faccenda di avere ancora a che fare con interrogativi del genere. Sarebbe fantastico ricevere di più domande tipo, che so… “Sei felice?”. Perché la felicità può dipendere (fortunatamente) da tanti fattori. Il più delle volte lo sono, non mi sembra poi tanto male la mia vita. Nonostante tutto, ho moltissimo per cui dire Grazie.
Uno subito... Grazie per averlo chiesto! ;-)

mercoledì 14 ottobre 2015

Dieci righe per... l'amore tra due persone!

Incontrarsi. Parlare. Di scrittura. Di libri. Di letture. Di progetti. Confrontarsi. Condividere. L'esercizio del giorno era: raccontare l'amore tra due persone in dieci righe (word garantisce che sono dieci)...
«Un saluto ad Angela, con un ti amo grande così. Il messaggio non è firmato. Speriamo sia arrivato comunque a destinazione». Lascio cadere a terra il pennello. Angela sono io. No! Non posso essere io. Angela è un nome comune. Abbiamo litigato. Te ne sei andato via. Non mi hai permesso di capire. Quel messaggio non può essere per me. Che senso avrebbe non dirmelo, guardandomi negli occhi? Che senso avrebbe l’anonimato? Raccolgo il pennello e spengo la radio. Penso al fatto che ci piace scherzare sulle dediche della gente. Inizia a tormentarmi il dubbio. Potrebbe essere tuo. Vorresti chiedermi scusa, ma non sai come fare. No! Non può essere. Il suono del campanello. Sei tu. Tu, insieme a una rosa bianca. Sai che la preferisco così. «Troverò sempre un modo per farti sapere quanto ti amo». Mi stai chiedendo di non dubitare più. Ti credo. Ti bacio.

martedì 13 ottobre 2015

Storie di Angeli!

Scrivere. Avere scritto. Essersi lasciata ispirare dalle bellissime illustrazioni di Cristina Berardi​. Da una, in particolare. Felicissima, scopro una busta gialla per me. È tra la posta arrivata oggi. "Già! Mi ero dimenticata di dirti che hai una raccomandata". La mamma e la sua memoria ballerina; prima o poi la obbligherò a fare una cura di fosforo. È già da qualche giorno che sto aspettando questo pacchetto e non vedo l'ora di poter stringere il contenuto tra le mani. Apro comunque con attenzione. È uno di quei casi in cui l'impazienza va tenuta sotto controllo. Assolutamente. 
Sono senza parole. E' sempre un battito di cuore speciale. È bellissimo. Sfoglio in fretta tutto, rimandando una lettura più attenta. Arrivata alla pagina con su il mio nome, mi scopro a trattenere il fiato. È già passato un po’ di tempo, spero sarà un piacere rileggere anche le mie parole. 




Grazie!!! 
A tutti. A Cristina. A chi ha saputo rendere realtà un bellissimo progetto. Agli altri 'colleghi autori'. A chiunque avrà voglia di perdersi un po' tra le righe di tante... Storie di Angeli! 

sabato 10 ottobre 2015

Un palloncino volante per riprendere a... volare in alto!


"Una volta passato lo spavento, 
si può riprendere a volare in alto!". :-D <3 
Bellissimo è sentire nascere un sorriso sulle labbra, per un pensiero inaspettato!!! :-D :-D :-D 
Un grazie immenso ad Anna Bernasconi​, del Blog meraviglioso 'Tra Realtà e Fantasia', per aver condiviso con me e con Tutto il futuro del mondo - L'uomo dei palloncini volanti​ un pezzettino di una storia speciale. Grazie, per aver regalato alla pagina Facebook la possibilità di 'far volare' questo suo capolavoro di colori... :-D Grazieeee!!! L'invito è ovviamente, sempre e comunque, esteso a tutti! Fatevi avantiiii!!! Messaggi, storie, pensieri, emozioni... legateli al filo di un palloncino! L'Uomo dei palloncini volanti ne sarà felicissimo! :-D Lasciatevi volare! In libertà. Con fantasia. Con le parole. Con qualunque cosa vogliate volare. In alto, sempre più in alto!!! ;-)


Ognuno si salva da solo!

Un altro giorno con il cielo grigio. Non ho nulla in contrario con le nuvole, quando decidono di tingersi di questo colore, ma riesco comunque ad accorgermi del senso diverso che sanno dare al tempo; alle giornate in generale. Un sabato con il cielo grigio è un sabato che, oltre a saper ospitare lunghi momenti di lettura, pause davanti alla televisione e tè e tisane a volontà (meglio se con qualche biscotto da sgranocchiare), riesce a ospitare anche momenti, più o meno lunghi e più o meno sereni, di riflessione. Magari mentre si sta seduti sul divano, con un film in dvd a far distrattamente da sottofondo e un piccolo plaid di pile disteso sopra le gambe; di quelli che fino a qualche giorno fa erano ancora chiusi nell’armadio, ben piegati e nascosti sotto mucchi di indumenti altrettanto ordinati.
Di tante riflessioni che si possono imbastire, poi, chissà perché, si va sempre a finire a pensare di sé. Ottobre è un mese ancora sufficientemente lontano dalla fine dell’anno, da potersi sentire autorizzati a rinviare ipotetici, forse necessari (ma non è detta!) bilanci personali. Eppure, mi rendo conto che anche per questo 2015 arrivato alla sua decima parte di dodici ne sono già successe di cose, che potrebbero bastare per provare a tirare le fila del discorso. Non ci provo. Manca la voglia.
Ma non posso comunque fare a meno di dirmi che, anche stavolta, per certe cose è andata bene. Non che non siano costate fatica. Non che non siano costate lacrime. Non che non abbia dovuto fare i conti con una sorta ormai nota di dolore che, ahimè, sembra avermi preso un po’ di mira.
Penso al fatto di credere che un po’ sia colpa mia, che in fondo non si soffrirebbe per niente e per nessuno, se non si permettesse a questo niente e a questo nessuno di toccarci nel cuore.
Sì. Indubbiamente, ho la mia giusta dose di responsabilità. Ma… cosa ne rimane, allora, della responsabilità altrui? Se anche fosse vera l’inconsapevolezza individuale dell’esporsi troppo al dolore, gli altri non potrebbero fare da scudo, evitando di infliggere ferite gratuite?
Qui aprirei volentieri un lungo monologo sulla superficialità (che a volte è cattiveria pura) umana, ma non è stato questo il giro fatto oggi dai miei pensieri.
Appurato di non essere riuscita a trovare la risposta a ogni domanda, mi sono ritrovata a pensare di avercela comunque fatta. Anche stavolta. Anche in una situazione umana che ha del paradossale, dove non sono riuscita a trovare neppure il briciolo di una sincera amicizia. È stata dura aprire gli occhi, ma ce l’ho fatta. Ho pensato a ipotetici ‘grazie!’ da dover elargire, almeno nella mente; almeno nel cuore. Il primo pensiero è andato alla mia famiglia. Perché ha saputo sostenermi, laddove il mio sorriso non ce la faceva a nascere. Perché ha saputo comprendere i miei silenzi e i miei malumori, senza fare troppe domande. Perché ha saputo esserci, nonostante tutto. Sì. Penso sia così l’essere fortunati ai massimi livelli, da questo punto di vista. Poi, però, mi sono ritrovata a pensare un’altra cosa ancora: Grazie a me! E l’ho urlato in mezzo ad altri pensieri. Grazie a me, ancora una volta. A me, che ho voluto credere con tutte le forze che una serie di concetti non compresi (per quanto lunga e tormentosa possa essere stata) non mi avrebbe uccisa dentro. A me, che – nonostante tutto – ho avuto il coraggio di andare in cerca della verità; pur sapendo che ne sarei uscita con le ossa rotte. A me, che nonostante tutto non ho mai reso pane per focaccia e ho sperato di farcela ad abbandonare le lacrime e le crisi di pianto improvvise, senza il bisogno di infliggere colpi bassi. A me, che oggi – oggi, come ieri e più che mai! – riesco ancora a guardarmi allo specchio con la convinzione di non essere una cattiva persona. Non di quelle in grado di bassezze di ogni genere, pur di… non si sa nemmeno che cosa. A me, che non ho mai utilizzato i miei dolori passati come ragione per far del male ad altri. A me, per tutte queste ragioni e per tantissime altre che non starebbero nemmeno in un libro. Allora, sono arrivata a una conclusione rapida, adesso facile da afferrare, avendola a portata di mano, ma quanto mai difficile da raggiungere. Non sono d’accordo con chi dice che: nessuno si salva da solo. È da dentro che parte la spinta per non morire nelle emozioni. È da dentro che parte la voglia di non arrendersi. È da dentro che nasce la grinta per dare il via alla ricerca di nuovi sorrisi. Nessuno può essere salvato da anima viva che lo circondi (per quanto possa essere amorevole come una famiglia), se prima non trova in sé la voglia di salvarsi. Se solo avessi permesso alla situazione di schiacciarmi del tutto, se solo non fossi riuscita a riflettere che non sarebbe stato giusto, se solo non avessi avuto il coraggio di porre domande, per non ricevere risposte (almeno, non dirette) o parole di conforto, se solo mi fossi vergognata di affrontare la mia debolezza a testa alta, anche a costo di andare incontro ad ilarità altrui, se solo avessi permesso alla mediocrità di certi bassi sentimenti di avere la meglio, a quest’ora sarei diversa. Non morta nell’apparenza, ma indubbiamente uccisa nell’essenza. Peggiore, indubbiamente. E sono sicura che ce ne saranno ancora di colpi da evitare, che faticherò sempre a riconoscere il falso a prima vista (un po’ perché per indole cerco di vedere il buono e il vero ovunque, un po’ perché… alle volte, il falso sa mascherarsi bene). Ma c’è viva nel cuore la speranza di farcela ancora; insieme alla speranza che parlare con le persone non sia sempre tanto inutile, che magari capiti di incontrare persone disposte ad ascoltare, ma ascoltare davvero e capire. Persone in grado di leggere il dolore e la paura negli occhi, senza sentire il bisogno di aumentarli; senza coltivare l’ambizione di riuscire a fare di peggio. Non lo so. 
Alla fine, come tutte le riflessioni che nascono per caso in un giorno di pioggia, a un certo punto il rumore dell’acqua addosso al vetro della finestra mi ha distratto e… subito dopo sono tornata nella confusione di pensieri di un attimo prima; che di solito sono i pensieri tranquilli di sempre.

giovedì 8 ottobre 2015

Di ciò che in effetti sono!

Quei sorrisi che nascono da incontri strani. Di quelli che durano un attimo, ma che hanno comunque in loro la capacità di riuscire a creare conversazioni strane. Brevissime; ma strane. Quei sorrisi che nascono nel primo istante del dopo. Quando è già tutto passato, ma è ancora tutto fresco per riuscire a fare a meno di pensarci. Non lo so. Mi sono ritrovata a pensare che, in fondo, anni addietro neanche io mi sarei immaginata così; oggi. Mi sono ritrovata a dirmi fortunata; felice… dopotutto. La porta è sempre la stessa. L’ambiente è tipicamente aziendale. Indosso una salopette, di quelle blu da lavoro, sporca in moltissimi punti. Ormai è più blu nell’immaginario, che nella realtà. Ai piedi ho il solito paio di antinfortunistiche bruttissime e sporchissime anche loro, le stesse che da settimane mi stanno supplicando di cambiarle e di concedere loro il pensionamento. Vedremo. Un giovane è appena arrivato con il furgoncino di un corriere e sta cercando proprio l’azienda per una consegna. Ha da attendere, ma io non posso trattenermi per tenergli compagnia. Un paio di minuti e me lo ritrovo vicino: “Lo sai che è la prima volta che mi capita di vedere una ragazza fare un lavoro del genere?”. Mi affretto a specificare che non sono l’unica donna lì e lui sgrana gli occhi. Forse, ha una scarsissima esperienza lavorativa. Non saprei. “Scommetto che non sei una di quelle ragazze tutte ‘Mimimì’”? Mi risulta difficile perfino scriverlo, in quel momento sono riuscita a evitare a stento una risata. “No… non direi”. A dire il vero, pensandoci meglio, ma com’è che è… una ragazza tutta ‘Mimimì’? Ricordi non troppo vaghi di femmine con  la puzza sotto il naso mi tornano in mente, incontri casuali che si sono dissolti nel nulla in meno di un secondo. Fosse questa la definizione per quel genere di persona… no! Non sono proprio io. Inaspettatamente, sento crescere dentro un senso d’orgoglio; di soddisfazione. Mentre il ragazzo continua a elargire complimenti in merito a quanto possa essere bello assistere a ciò che i suoi occhi osservano in maniera del tutto esterrefatta, penso che anni addietro non mi sarei immaginata così, ma che non mi dispiace esserlo ora. “Non è poi così male, in fondo! Nulla che una donna non riesca a fare”. Sorrido. “Ne sono convinto. Penso che, anzi, dovrebbero essere in più a pensarla come te”. Mi sono chiesta che genere di ragazze conosca o sia abituato a frequentare. Forse… sarebbe il caso di allargare un po’ il giro e permettere agli orizzonti di allargarsi. A tratti mi è sembrato di percepire un pizzico di cliché di troppo, comunque… Ci siamo salutati con un “Buon lavoro” reciproco. Rimasta tra il perplesso e il felice, ho ripreso ciò che stavo facendo; soddisfatta di ciò che non mi sarei mai aspettata di essere ma, in effetti, sono!