lunedì 10 ottobre 2011

Un sogno realizzato!

Eccomi di nuovo qui!
Stavolta, la distanza tra un post e l'altro non è tantissima. E' andata bene!
Sto lavorando su nuovi racconti brevi, perché questo Blog non rimanga un mondo di parole e di pensieri troppo vuoto, ma...
Questa sera...
Questa sera, no. Niente, nuove storie.
Stasera, scrivo con una felicità particolare nel cuore perché: uno dei miei piccoli-grandi sogni si è realizzato!!!
La realizzazione di un sogno è sempre un momento speciale, ma... Quando questo succede quando meno te lo aspetti ed - anzi - proprio quando stavi per smettere di crederlo possibile e stavi per gettare la spugna, allora... allora, il sapore che lascia in bocca è molto, ma molto più dolce; di quanto sarebbe stato; se il cuore avesse continuato a sperarci.
Di che cosa si tratta?
Ok.
Probabilmente, leggendo le righe successive, a molti sembrerà di leggere un nulla. Ma... per me - vi assicuro! - non lo è stato.
E' successo ieri pomeriggio; intorno alle cinque.
Dopo due ore passate a guardare un film insieme alla zia (un film inaspettatamente non molto allegro, alla resa dei conti!), per tirarmi un po' su il morale ho pensato di approfittare del portatile della zia acceso sul tavolino e di girovagare qua e là per la rete.
Di solito, Internet è - per me - sempre un valido scaccia malumore!
Così...
Prima ho gironzolato qua e là tra i Blog (sempre a bocca aperta, per le meraviglie che si trovano di Post in Post!), poi - trattenendomi dall'accedere al sito di qualche libreria on-line, per paura di innamorarmi di qualche libro e di aumentare (così) la mia già lunga lista di letture arretrate - ho effettuato l'accesso alla mia pagina Facebook.
Vado di rado su Facebook, devo ammetterlo.
Purtroppo, ho una scarsa propensione a rovistare qua e là in cerca di qualcosa da condividere o di qualche link da inserire, per arricchire il mio profilo.
Il più delle volte - difatti - passo prima per youtube, scelgo una canzone che mi ricordi qualche cosa in particolare o che mi sia rimasta in mente per qualche motivo e risolvo così il mio problema del non aver mai troppo da dire, nel universo delle amicizie virtuali per eccellenza.
Ma...
Ieri...
Ieri, non è andata così!
Difatti, stavo quasi per cliccare sul "più" che consente l'apertura di una nuova scheda, quando la finestrella della chat si apre in basso a destra mostrandomi un messaggio di qualche giorno fa...
Leggo il nome del mittente e lo riconosco subito. Rispondo e - inaspettatamente - la trovo dall'altra parte pronta a parlarmi. E' un'amicizia accettata la scorsa settimana, una persona che non conosco, ma che - per qualche motivo a me ignoto - ha deciso di avermi nel suo elenco di conoscenze.
Anche a questo proposito, il mio atteggiamento "facebookiano" è piuttosto particolare...
Difatti, mentre in molti scansano le richieste di amicizia non note a priori, io - a patto di verificare un minimo che non si tratti di qualche virus, ma che ci sia un'identità vera dietro ad un nome - non clicco mai sul pulsante "rifiuta".
Ed è proprio su una cosa del genere che - in fin dei conti! - si basa il mio piccolo grande sogno.
Personalmente, infatti, sono dell'avviso che - salvo rare eccezioni (tipo l'essere in due città differenti o simili... non mi dilungo troppo, a proposito) - serva a poco un programma per tenersi in contatto con le persone che già si conoscono. Insomma, come disse una volta un noto comico in TV... se non ti ho cercato per tutto questo tempo (riferendosi alle persone con cui ci si è persi di vista), figuriamoci se mi salta in mente di cercare il tuo nome su "faccialibro!". Concordo in pieno!!!
Altrimenti detto, riconosco l'enorme potenziale del sistema ed il genio che si nasconde dietro all'idea, se Facebook viene visto come un modo per essere in qualche modo vicini; anche qualora non lo si sia mai stati nella vita reale.
Allora, quando a contattarti è una ragazza di diciannove anni che - nel già lontano 2004 - si è trovata a passare dalle tue parti (Gubbio!), è rimasta colpita dal manifesto che invitava la cittadinanza (e non solo) alla presentazione del tuo primissimo libro (Galeotto fu l'Sms) ed ha pensato, addirittura (perché, non è poi così scontato!) di entrare in libreria e di acquistarne una copia... Allora, sì! Sì... sono felicissima di essermi iscritta nell'archivio-persone praticamente più grande della rete, di averlo fatto con questa piccola speranza nel cuore, di aver atteso (nonostante le volte in cui ho pensato di spegnere l'account, causa il continuo sentirsi come un pesce fuori dell'acqua!) e di aver potuto constatare di persona che: Sì! A volte, i sogni si avverano!!!
Perciò...
Non mi resta che concludere questo mio secondo Post di ottobre, con un ringraziamento speciale per questa ragazza speciale... che in poco tempo a saputo regalarmi decine e decine di sorrisi e che spero di poter continuare a sentire anche nei giorni a venire. Grazie, grazie, grazie.
A tutti voi un saluto grandissimo ed un abbraccio.
Buona serata, a presto!!!

domenica 2 ottobre 2011

Mai dire...

“Mamma, io esco. Vado a fare un giro”.

Sull’ultimo scalino, con una mano già appoggiata alla maniglia del portone, aspetto di sentire arrivare la risposta dalla camera da letto.

Non ho voglia di uscire. Ma, non ho nemmeno voglia di rimanere in casa.

Di tutte le domeniche passate, questa è la prima dell’anno in cui mi ritrovo in piedi prima della sveglia. Chissà perché, poi.

Di solito, io adoro la domenica.

So che la domenica posso dormire.

So che posso alzarmi quando il sole è già altro in cielo e fare colazione con caffelatte, biscotti, yogurt, pane tostato e marmellata. Invece della solita tazzina di caffè bevuta al volo.

So che posso andarmene in giro con i capelli in disordine ed indossando una semplice tuta, senza che qualcuno mi stia a ripetere ogni dieci minuti che è l’immagine quello che conta.

So che posso abbuffarmi, a pranzo, senza pensare alla linea. Un “pallino” che, una volta preso, non ti molla più.

Quello che non sapevo ancora, della domenica, è che può essere peggio di un qualsiasi giorno lavorativo.

Può farti dormire poco.

Può farti trovare con lo stomaco chiuso.

Può farti sentire in totale conflitto con lo specchio e con il guardaroba.

Può farti…

Può farti desiderare che finisca il prima possibile.

Ecco.

Per me, questa è una domenica della seconda specie. La prima dell’anno.

Allora…

Allora, mi vesto praticamente ad occhi chiusi. Afferro la borsa, gli occhiali da sole e le chiavi della macchina. Ed esco.

Vado a fare un giro.

Non ho la più pallida idea né del dove, né del perché, ma…

L’importante è che almeno gli altri non si accorgano del mio umore nero di domenica mattina.

In famiglia, il mio “ottimismo festivo” è praticamente un dato di fatto.

Così, zittito lo stereo perché anche la musica mi da fastidio, mi lascio la casa alle spalle ed imbocco la strada principale.

Dove vanno le persone, quando sono di umore nero?

In un primo momento, penso che starmene all’ombra di una pianta del parco cittadino potrebbe fare al caso mio.

Poi, però, immaginandomi circondata da bambini urlanti, da cani irrequieti, da genitori e padroni sull’orlo di una crisi di nervi per riuscire a tenere sotto controllo ogni genere di situazione; decido di abbandonare subito l’idea.

No. Il parco, di domenica, non fa per me. Ho l’umore nero.

Allora, rimettendo in moto il cervello, mentre la macchina continua ad andare, vaglio rapidamente altre possibilità.

Andare al solito bar, in cerca degli amici: No. Perché, non sono in vena di chiacchiere.

Andare al lavaggio auto per far fruttare almeno un po’ la mattinata e spuntare un’incombenza dalla “lista delle cose da fare”: No. Perché dovrei, come minimo, affrontare più di mezz’ora di fila.

Andare in libreria, aperta a domeniche alterne, e vedere cosa ha da offrire nel settore novità: No. Perché, ci manca poco che mi tocca chiedere la licenza edilizia; per la catasta di letture arretrate che c’è sul comodino.

Andare… Andare…

Ecco! Trovato.

Potrei andare al centro commerciale, aperto tutti i giorni dell’anno all’infuori di poche festività, infilarmi nel negozio di belle arti ed acquistare dei nuovi colori ed una nuova tela.

Sì!

Con il ticchettio della freccia a destra come unico sottofondo ai miei pensieri, parcheggio e mi avvio verso l’ingresso della bottega.

È un posto che sa farmi sentire bene. Un rifugio sicuro per ogni artista, credo.

Non dipingo per lavoro, ma… Sul fatto che io mi senta ugualmente un’artista a trecentosessanta gradi, non ci piove. Anche se…

Volendo essere proprio del tutto sincera, non ho la più pallida idea di cosa potrei iniziare a dipingere; in una domenica come questa.

Fa niente.

Continuo a camminare verso gli scaffali che mi interessano, ignorando tutto il resto. Dubbi inclusi.

In qualche modo devo riuscire a trascorrere la giornata, senza cadere nella tentazione di sbattere la testa contro il muro; letteralmente. Anche a costo di rimanere a fissare una tela bianca; fino a che sarà di nuovo ora di andare a dormire.

Così, cerco subito di instaurare una certa intimità con i tubetti di colore e con i pennelli dalle setole perfette.

Quando è stata l’ultima volta che ne ho acquistati di nuovi?

E chi se lo ricorda!

Continuo a farmi solleticare la punta dell’indice destro da un ciuffo di peli di bue, quando: “Francesca”.

Quella voce.

Quella voce, la ricordo. Eccome.

Sentir pronunciare il mio nome in modo tanto caldo, mi fa scorrere un brivido lungo la schiena.

Pur con la paura di farlo, allora, mi volto. Lentamente.

Dio!

Se i miei occhi avessero saputo parlare, in quel momento avrebbero di sicuro balbettato confuse idiozie.

Come era possibile – d’un tratto – sentirsi come se il tempo non fosse passato? Nonostante i sette anni trascorsi, ognuno per conto suo.

“Matteo”.

Riesco ad articolare a malapena.

Lui è più bravo di me. Nonostante il rossore in viso, tipico di una personalità timida.

Ignorando le mie mani che iniziano a tremare senza controllo, afferma: “Ti trovo bene. È da un sacco di tempo che…”.

Quel “che”, lasciato solo in quel modo, accende in me una serie di flashback.

Matteo.

Il primo batticuore.

I primi occhi da cui ho dovuto distogliere lo sguardo, per paura che potessero leggermi dentro.

Le prime mani strette alle mie.

Il primo bacio.

Il primo Amore.

Decine e decine di ricordi solo nostri tornano a farmi compagnia.

Non riesco a rispondere. Non riesco a domandare.

Tutto, di me, sembra essersi improvvisamente congelato.

Tutto, tranne le orecchie.

Quelle, per fortuna, continuano a funzionare e lo sentono chiedere: “Ti andrebbe un caffè, al bar qui vicino?”.

Eccolo lì. Matteo. Il timido che, quando vuole, sa essere intraprendente.

Aspettando che io apra bocca, continua a guardarmi con quel suo modo speciale. Sembra che anche per lui il tempo passato non abbia peso.

Sì, sì, sì. Certo, che mi andrebbe.

Mi andrebbe, ma… continuo a non proferir parola. Speriamo che un cenno del capo basti.

Sorride.

Andata.

Muovendo i piedi nello stesso istante, in un attimo siamo di nuovo fuori.

La luce del sole, che fino ad un attimo prima – potendo – avrei voluto soffocare dietro ad una spessa coltre di nubi, mi scalda in viso; regalandomi un po’ di coraggio.

“Allora, come mai da questa parti di domenica mattina?”.

“Mah! Nulla di che, solo la voglia di fare un giro. E tu?”.

“Lo stesso”, mento.

Quindi: “A casa, tutto bene?”.

Lo so.

Mia nonna, probabilmente, sarebbe riuscita a fare di meglio.

Difatti, stavolta è lui a limitarsi ad un cenno del capo.

Vorrei poter trovare un modo facile ed immediato per sembrare meno impacciata, ma…

Di fronte alla porta scorrevole del bar che si apre automaticamente, Matteo mi lascia passare.

L’intenso aroma di caffè che riempie il locale, mi arriva subito al naso.

Una volta davanti alla barista, pur senza premeditazione alcuna, ordiniamo io per lui e lui per me. Il vecchio giochino delle nostre tante colazioni insieme.

Uno sguardo.

Un sorriso.

E chi l’avrebbe mai detto…

Pensare, che mi ero alzata con il piede sbagliato.