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sabato 18 giugno 2016

Quel momento in cui tre frecce hanno trafitto il dieci...

Alle volte lo maledico. 
Spesso non è con me, quando serve. 
Il cellulare...
Trovo in 'lui' un alleato, quando si tratta però di immortalare un momento. 
Anche se ieri sera non ce l'avevo in tasca e l'intenzione iniziale era di lasciarlo abbandonato dentro la borsa per tutto il tempo dell'allenamento. 
Ho ripercorso i 18 metri all'indietro e sono andata a prenderlo.
Amo immortalare le "prime volte". 
Nella mente lo faccio sempre, con le parole. Istintivamente. Trasformo le mie "prime volte" in piccole, brevi storie; che riesco meglio a ricordare. 
Il cellulare moderno mi consente di scattare fotografie e di giocare con i colori. Perché no? 
Ne farò comunque un album di ricordi, da poter sfogliare a distanza di tempo. E, a distanza di tempo, mi ricorderò di un venerdì diverso dal solito. 
Di un venerdì 17 in cui l'Italia disputava la seconda partita agli Europei. 
Di un venerdì 17 in cui, a diciassette minuti dalle 17, il numero 17 della Nazionale ha segnato il gol della vittoria. 
Mi ricorderò di un venerdì 17 in cui il tempo ha potuto concedersi il lusso di scorrere lento e ricorderò di quel momento in cui, sul cominciare profondo della sera, per la primissima volta... tre frecce hanno trafitto il dieci!!! 


Il primo 30, cui forse ne seguiranno altri. 
Cui spero ne seguiranno altri. 
Con la consapevolezza che nessuno avrà, però, lo stesso sapore del primo!   

domenica 14 febbraio 2016

Io & "Cento giorni di felicità"

Wikipedia recita: “Cento giorni di felicità è il primo romanzo di Fausto Brizzi, il quinto libro che ha pubblicato considerando anche i romanzi che ha tratto dai suoi film”.
Per quello che mi riguarda, è il primo libro di Brizzi letto.
Lo so. Sono una ritardataria. E lo sono con tutta la consapevolezza di esserlo, non solo perché non ho idea di come siano strutturati i quattro libri che hanno preceduto questo capolavoro, ma soprattutto perché mi sono ritrovata a iniziare la lettura di questo quinto appena qualche settimana fa.
L’anno di pubblicazione è il 2013. Certo, devo ammettere di non aver avuto un approccio nemmeno lontanamente tempestivo. Anche nel riparare al fatto di non aver mai letto prima qualcosa di suo, ho avuto i miei bei lunghi tempi da superare.
Una cosa da tenere in considerazione, però, c’è. O, almeno, io spero che ci sia e che riesca a giustificarmi un po’. Cento giorni di felicità di Fausto Brizzi è un libro che risiede sul primo scaffale della mia libreria dà più di 730 giorni (alias due anni); ormai.
L’ho acquistato con lo stesso spirito ottimista con cui ogni volta entro in libreria. Senza considerare mai la mole di parole che a casa mi accoglie ogni sera e in ogni momento libero e con l’allegra convinzione che, stavolta è la volta buona!, sarebbe stato diverso. Eh! Si dice sempre così.
Da lettrice appassionata quale ritengo di essere, nonostante altri impegni non mi consentano sempre di esserlo esattamente come e quanto vorrei, sapere che in un dato momento, di un certo anno, c’è un libro sulla cresta dell’onda, è come per le api sapere che, a pochi metri di distanza dall’alveare, c’è un prato fiorito e ricco di nettare.
Insomma, le buone intenzioni iniziali c’erano tutte. Peccato, poi, che siano arrivati subito altri pensieri a dare il via alla procrastinazione. Una parola che, permettetemi di fare un inciso, comincio a odiare in maniera quasi viscerale.
Mentre sul web continuavo a interessarmi a qualunque cosa riguardasse questi ‘Cento giorni’, ho cominciato a temere che potesse non essere una lettura adatta a me. Certa di non svelare nulla a chi sta leggendo, la scrivo esattamente come l’ho pensata: “Lucio Battistini ha il cancro e questo cancro lo sta per uccidere. Poco importa che lui lo chiami ‘Amico Fritz’, sempre di cancro si sta parlando. Vuoi veramente leggere un libro che racconta la storia di un malato di cancro? Come andrà a finire per il tuo stomaco? E come la mettiamo, poi, con la gastrite nervosa?”. Considerando che reggo a malapena le notizie di un telegiornale e che non di rado, perdonate l’ammissione di inadeguatezza a questo mondo, mi ritrovo a girare canale per non dover sentire, un tot considerevole di pagine che, per forza di cose, mi costringerebbe a entrare in empatia con un morituro (aggettivo calzante, utilizzato dallo stesso Battistini in riferimento a se stesso) potrebbe non essere una buona idea.
La prima volta che l’ho incontrato in libreria, l’ho sfogliato per un po’ e l’ho rimesso a posto sullo scaffale. Tra le libertà di un lettore c’è quella di scegliere. Sceglievo di non affrontare. Anche se una frase sul retro della copertina è comunque riuscita a rimanermi addosso: “L’unico rimpianto è aver dovuto scoprire di morire, per cominciare a vivere”.
Una settimana dopo, a seguito di nuovi incontri casuali con citazioni dalla storia, sono tornata in libreria e l’ho acquistato. Avessi trovato anche il coraggio di aprirlo, questo Post sarei riuscita a scriverlo nel già lontano 2013.
No! ‘Cento giorni’ è rimasto a fissarmi nella mia quotidianità, sopportando con pazienza l’attenzione data ad altri volumi, per un tempo che risulterebbe insopportabile per qualsiasi essere umano.
Come ha fatto a convincermi che fosse giunto il momento di un tête-à-tête? Tirando in ballo uno dei diritti di un libro: quello di essere letto!
“Almeno provaci! Se proprio non ci riesci, vorrà dire che farai un passo indietro e lo lascerai perdere”. È un mantra personale, che da un po’ di tempo a questa parte accompagna le mie giornate. Poche parole, che mi spronano a entrare in azione.
Potrei dirvi che il resto di questa particolare ‘amicizia’ è facilmente immaginabile, ma lasciate comunque che ve lo racconti. Cercherò di essere breve.
A un ritmo di venticinque-trenta pagine per sera (peccato non riuscire a resistere al sonno un po’ di più e avere la sveglia che suona la mattina sempre troppo presto), ‘Cento giorni’ è riuscito a tenermi compagnia per due settimane circa. Un libro che è un countdown carico di vita, contrariamente a quanto si possa pensare. Un insegnamento a ogni riga. Leggerezza, nello scrivere di una ‘questione’ seria. Un’esplosione di emozioni. Come un fuoco d’artificio di mille colori. Ho sorriso, ho riso di gusto, ho sentito le parole lette rimanere attaccate ai pensieri e non volersene andare, non sono mancate le strette allo stomaco che immaginavo avrei dovuto affrontare. Con una maestria narrativa non facile da trovare, Brizzi ha saputo sorprendermi. E quel libro tanto temuto, acquistato per poi essere ignorato per tantissimo tempo, ha saputo diventare esperienza indimenticabile. Ho sofferto. Come se Lucio fosse un amico vero, come se Lucio fosse uno di famiglia. Ho sperato fino alla fine di leggere un ‘ho sconfitto il male’, ma niente da fare. Del resto, Lucio lo aveva anticipato già alle prime pagine: “Era una domenica inutile e tropicale, durante la quale non successe niente degno di nota. Se escludiamo il fatto che alle 13.27 circa ho preso un bel respiro e sono morto”. Ho sperato comunque in un colpo di scena. Ho sperato si fosse trattato di una bugia, detta per stupire sul  finale con effetti speciali.
Invece, no! Lucio è morto per davvero.
Allora ho pianto, fino a farmi venire il singhiozzo. Ho faticato a razionalizzare il fatto di stare solo leggendo un libro. Lo stomaco mi ha torturata.
L’attimo dopo è stato semplicissimo pensare a quel libro, come a un buonissimo libro. Raro. Come sono rari quelli che sanno scuotere fin nel profondo dell’anima.
Una volta chiuso per non riaprirlo, l’ho rimesso al posto che aveva sul primo scaffale della libreria. L’ho guardato per la prima volta, senza temerlo più. Ero già pronta ad afferrare la lettura successiva quando, mentre con la mente mi stavo imponendo di scegliere un lieto fine, mi sono ritrovata a domandarmi: “Sono proprio sicura, sicura, che ‘lui’ non ce lo abbia avuto?”.
Ok. Lucio è morto, su questo non si discute. Ma rimane vero anche che Lucio è riuscito a vivere i suoi ultimi ‘Cento giorni’ dando loro un senso. Facendoli diventare: “Cento giorni di felicità”.
Mi ricordo allora di quella pagina che ho contrassegnato con un’orecchietta, per non perderla di vista (lo so, atteggiamento atroce nei confronti di un libro). Riprendo il libro. Lo riapro.
“Quanti sono i giorni che ricordate bene della vostra vita? Quelli speciali che potreste raccontare anche a tanti anni di distanza. E quanti sono invece quelli  normali in cui non accade niente degno di nota e che scivolano via anonimi? I secondi sono molti di più. Mi accorgo che ricordo soltanto un centinaio di giornate memorabili, a fronte di oltre 14.000 invisibili. Esco dall’ospedale con un pensiero fisso. Voglio che oggi sia un giorno da mettere al fianco dei tre che vi ho raccontato all’inizio di questa storia. […] È stato un campanello d’allarme sovrannaturale: «Ehi Lucio, tu credi di dominare il tuo destino e di avere ancora quaranta giorni di vita, ma non è detto che sarà così».


Procrastinazione. Ho detto di odiare questa parola (e il concetto che rappresenta) in maniera quasi viscerale. Ora mi accorgo che è per una ragione ben precisa. Per quel ‘non è detto che sarà così’. 

Post It: 
Non collezionare rimpianti. 
Cerca l'Attimo. Cerca gli Attimi. 
Costruisci l'Attimo. Colleziona gli Attimi. 
Quelli che trasformano giornate normali in giornate speciali. 
Vivere, prima di morire. :-D

sabato 9 gennaio 2016

Ascoltando il mondo intorno...

La porta aperta, di un ristorante ancora chiuso. Tre ragazzi lì davanti, chiacchiere vivaci e una specie di ‘pausa sigaretta’. Giovanissimi. Forse vent’anni, o poco più. Per tutte le volte in cui mi capita ancora di ritrovarmi a dover rispondere a domande tipo: “Come va la scuola?”; direi che stabilire l’età di qualcuno dopo una semplice occhiata è tutto; fuorché facile. Ascoltare il mondo intorno, mentre a ogni passo mi avvicino un po’ di più alla macchina parcheggiata in fondo alla strada. Uno di loro è agitato. Lo vedo gesticolare, prima di sentire il suo tono di voce sostenuto. Indossa un paio di pantaloni color cachi. Non belli, ma in grado di dare nell’occhio. “Io gliel’ho detto”, lo sento gridare. “Se sta con me, sta con me e basta. Non esiste che esce con altri”. Gesticola in maniera importante. So che non dovrei farlo, ma mi ritrovo a rallentare un po’. “Per le altre non mi è mai importato niente, ma per lei è diverso. Non voglio che veda altri”. Mi fa sorridere. “Io gliel’ho detto”, ripete. E mi ritrovo a domandarmi perché in una coppia che, stando a quel poco che c’è di intuibile, dovrebbe essere appena nata, debba insinuarsi una stranezza del genere. Una debolezza del genere. Un difetto del genere, mi sentirei di dire. Non dovrebbe essere logico? Normale? Come mai un ragazzo giovanissimo teme di dover dividere la sua Lei con qualcun altro? Mi immagino se un giorno dovessero essere dette a me certe parole. Un “Tu sei mia, mia e basta”. Non vorrei mai che fosse per l’intensione di placare un dubbio. Vorrei si trattasse di una sottolineatura. Di un colpo di evidenziatore su qualcosa di ovvio. Di una freccia lampeggiante, a indicare una strada percorribile in una sola maniera. Penso allora a un’altra volta, in cui mi è capitato di ritrovarmi a discutere con una persona per il semplice fatto di aver detto che in una coppia considero importante (fondamentale) il fatto di essere l’uno un po’ ‘proprietà’ dell’altro. Il mio ragazzo, la mia ragazza. Mia moglie, mio marito. È quel ‘mio’ e quel ‘mia’, che rendono il concetto speciale. L’altra parte sosteneva di non poter privare una persona della propria individualità, che ciò avrebbe voluto dire considerarla un oggetto. Ho sentito le orecchie chiudersi di colpo. L’amore. Quello vero. Che sia folle. Che ci faccia sentire ‘proprietari’ di qualcosa che non siamo disposti a condividere. Di qualcuno che non siamo disposti a condividere. Di cui non possiamo fare a meno, come del bene più prezioso che abbiamo. Quel qualcuno per cui niente è la stessa cosa, rispetto a ciò che è già il vissuto e, magari, rispetto anche a ciò che potrebbe essere l'immaginato. Ecco. Perdere la testa in questo modo è ciò che in fondo cerco; andando per la mia strada. Esiste qualcosa di più bello? Esiste altro, per cui valga la pena di barattare la propria indipendenza? Io dico di no!   

venerdì 15 maggio 2015

Il "Mio" 15 Maggio 2015!

15 Maggio 2015. A Festa finita. Con i Ceri di nuovo in Basilica e… il Cuore in subbuglio. Inaspettatamente. Come dopo una bella sorpresa. Come dopo un bel film. Come dopo essere arrivati fino all’ultima riga di un bel libro. Con gli occhi fissi sul punto finale, che non ne vogliono sapere di staccarsi. Come dopo una bella canzone. Con il random del lettore mp3 già pronto per la successiva e i pensieri, silenziosi in testa, che chiedono: “Ti prego… ti prego… ancora questa!”.
No! Il cuore in subbuglio. Felice e incapace di darsi una calmata. Come dopo qualcosa di bello e inaspettato che, però, non somiglia a niente; di ciò che già si conosce.
Sento ancora il bagnato delle lacrime sulle guance. Il sapore delle lacrime di gioia è sempre salato, ma sa essere dolce sulle labbra. È gioia. È gioia grande!!! Magari, sarà anche gioia incompresa per molti. Ma, non importa. Per me è Gioia!

E ringrazio, anche se so che non mi sarà possibile farlo di persona, i Protagonisti di questo magnifico 15 Maggio. Che hanno saputo ‘lottare’, per rendere possibile un cambiamento necessario. Chissà, ora, come andranno a finire le cose. Chissà se, questo cambiamento saprà essere duraturo. Eppure… è quel che ci voleva. Quel che ci voleva, da tempo. Quel che ci vuole e quel che ci vorrà. Certo… ci vuole coraggio. Per intraprendere un ‘cammino diverso’, da quello conosciuto. Ci vuole coraggio, per cambiare. E qui ce ne sarebbero tante, di riflessioni da fare in merito. Tanti perché, cui dovere (e volere) trovare risposta. Ma… in questo momento, più che mai, la mia posizione non è meno simile a quella di un piccolissimo, minuscolo, quasi invisibile, granello di sabbia nel deserto. Mi limito a liberare un po’ le emozioni, attraverso le parole. Gioia, gioia, gioia!!! Per tutto il resto… chissà. Grazie! <3

domenica 4 gennaio 2015

Piccoli pensieri positivi e... golose novità!

Prima domenica dell’anno. Sera. Mi ritrovo, con un po’ di ritardo rispetto al periodo dei bilanci personali, a pensare a quel che di più mi è piaciuto del 2014 e – con stupore e felicità – mi accorgo che sono più che altro le piccole cose, a essere rimaste impigliate nella rete dei ricordi. Nella continua ricerca dello splendore e dell’intensità di emozioni che regnano nei piccoli momenti, sorrido e… è il primo pensiero veramente positivo dell’anno. La consapevolezza di essere riuscita a collezionare dei piccoli momenti speciali. Sapere (sperare) di averne presto degli altri, a disposizione della memoria. Perciò, in tutto questo semi-marasma di pensieri, mi metto subito all’opera e… può sembrare sciocco, ma: è due anni che ci penso! ;-) Da quando l’ho sentita nominare (e vista preparare con entusiasmo) in un film (uno di quelli che, personalmente, trovo bellissimi… in pieno spirito natalizio e con un lieto fine non troppo scontato, ma certo), mi sono ritrovata spessissimo a pensare di volerla provare anche io. Ieri, al supermercato, alla ricerca di tutt’altro in realtà, alla fine mi sono decisa. Quindici minuti appena (o, forse, anche meno) per ritrovarmi nel cestino della spesa tutto ciò che – obiettivamente – non mi era indispensabile. Certo! Forse, per certi gusti (non per i miei, che hanno molto apprezzato) è qualcosa di decisamente fuori dal comune, ma… per la mia continua caccia di piccoli istanti di felicità (mi rende felicissima la sola idea di poter sperimentare qualcosa letto in un libro o visto in un film, anche se può sembrare sciocco), la prova ‘golosa’ di ieri sera è stata un risultato perfetto. :-D Ho cercato un po’ su Google, anche se non sono sicura di aver trovato notizie esatte. Si chiama Insalata Ambrosia e – pare – sia una pietanza tipica dei giorni di festa in America (qualcosa che non manca mai, per intenderci, nei menù delle ricorrenze speciali che ogni famiglia si ritrova ad avere). L’ingrediente principale? I Marshmallow! 



Adorandoli (letteralmente!), non potevo non provare… ;-) Forse, almeno all’inizio, con un po’ di titubanza di troppo e con il timore di dover buttare tutto nel secchio della spazzatura… Poi, però… a me è piaciuta tantissimo e anche in famiglia hanno sufficientemente apprezzato. Neanche a dirlo, sono già pronta a replicare. E, giacché il calendario segna già 2015… penso al fatto che tra qualche mese saranno 30 le candeline da spegnere e… Beh! Potrei ‘esportare’ una consuetudine americana e… far dell’Insalata Ambrosia un dolce speciale, del mio menù personale della festa di compleanno! Dopo pasta al forno, cotolette e patatine fritte (ormai approvatissimi!!!), in fondo… perché no? Gnam!