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lunedì 18 luglio 2016

Una penna incline alla felicità...

Una serata per scrivere. Ritrovarsi insieme in una stanza accogliente. Mondi diversi e sconosciuti tra di loro, che per un po' si cibano della stessa aria. Quaderno e penna con me. La voglia, il bisogno di chiudersi per un po’ in un mondo di parole. Il resto fuori. Una serata per scrivere dedicata alla bellezza e all’importanza dell’incipit. L’incipit. L’inizio. L’inizio è importante in ogni cosa. Da come le cose iniziano, si riesce a intuire gran parte del resto. Il più delle volte. Due fotografie. Una bellissima piazza Grande al tramonto e l’immagine di una coppia sorridente. Felici a colpo d’occhio, le mani abbracciate. Immaginare un'incipit che includa questi elementi. Dare un nome ai personaggi. Scegliere per loro una situazione. Una penna incapace di non considerare un lieto fine. Una penna incline alla felicità... la mia.
Matteo. Alice. Una conoscenza di sei mesi appena. Un amore forte sin da subito. Un amore che se ne frega della prudenza e va dritto per la propria strada...


“Un lunedì sera. Un lunedì sera qualunque, in effetti. La Piazza deserta e il sole pronto per andare a dormire. Una fotografia scattata con gli occhi su quel mondo intorno già silenzioso, che poi non sarebbe più stato lo stesso. Una scalinata lunga che riesce a farsi notare da lontano. Oltrepassare il portone tenendosi mano nella mano. Un passo alla volta. Insieme. Fino in cima. Sempre insieme. Li stavano aspettando...”.

Matteo e Alice. Una conoscenza di sei mesi appena. Un amore forte sin da subito. Un amore che se ne frega della prudenza e va dritto per la propria strada...
“Ci prenderanno per pazzi, lo sai?”
“Sì! Però… dei pazzi felici!”.
Una fine. Un'inizio...
…Una penna incline alla felicità: la mia!

sabato 23 gennaio 2016

Cronache di una... spedizione!

Svegliarsi presto comunque. Gli ultimi preparativi indispensabili, prima di uscire di casa per andare a spedire una busta che considero importante. “Non ne verrà fuori niente”, continuo a ripetermelo. Ma non posso fare a meno di dirmi anche che: “Non provarci porterebbe a niente di sicuro”.
Perciò scorro il testo veloce sul monitor per le ultimissime, ennesime, puntigliose correzioni. Oddio… puntigliose. Si fa per dire. Anche se di scrupolo ce ne ho messo tanto, qualcosa è sfuggito di sicuro. Scrivo il curriculum letterario che serve, compilo la scheda di iscrizione. È tutto pronto per la stampa. Mi sono svegliata con il timore di non fare in tempo a fare tutto e, anche se sono appena le dieci e trenta e l’ufficio postale non chiuderà prima di due ore, non posso fare a meno di conservare quel pizzico di ansia; che quasi mi fa scordare la busta sopra il tavolo della cucina. Vabbè, non è grave. Avrei fatto in tempo a tornare indietro a prenderla. Il dramma è che detesto contrattempi di questo tipo. Per fortuna, allora, riesco a salire in macchina con la mia busta stretta in mano.
Le concedo di sedermi accanto. Pochi minuti e ognuna se ne dovrà andare per la propria strada. Delle due, solo io rimarrò in impaziente attesa di avere sue notizie.
Quei momenti in cui il tempo di un semaforo rosso sembra sempre troppo lungo. Mi consola poco, anzi pochissimo, che il cd sia arrivato alla traccia che preferisco. Ho deciso che lo lascerò andare da solo, senza interferire minimamente nell’ordine di esecuzione, fino a che sarò riuscita a sentire almeno una volta tutte le tredici canzoni che contiene. Solo così non sarà stato un acquisto fatto invano.
Scatta il verde. Il parcheggio è poco lontano. Io e la Busta scendiamo dalla macchina con la consapevolezza di dover fare tappa alla copisteria e la convinzione, poi rivelatasi errata, di riuscire a fare presto. Apro la porta trasparente, mentre un signore sta dettando dei codici fiscali. La signora al computer mi dà l’impressione di essere alquanto preoccupata della fila di persone che sta aumentando lentamente. Lo spazio per l’attesa è quel che è. Nonostante tutto, riesce a mantenere un atteggiamento professionale e a scrivere tutto ciò che serve, fino all’ultima lettera. Io mi sento un po’ meno tranquilla. Rischio di fare tardi.
Sto già premeditando una sclerata (a trovare il coraggio, potrebbe essere una soluzione), quando, rivolta a me, dice: “In cosa posso aiutarti?”.
“Dovrei rilegare dei fogli”, appoggio sul bancone il mio plico, un po’ in imbarazzo per il fatto che tutti possano leggere di che cosa si tratta. Bè, non tutto; tutto. Il titolo, però, è in bella vista. Panico.
“Puoi ripassare tra un quarto d’ora?”.
Nodo alla gola. Che faccio… sclero, o non sclero?
Non sclero. Non solo la timidezza mi impedisce di farlo, ma mi ricordo di dover fare anche altro all’ufficio postale. Posso andare a sbrigare le mie incombenze ordinarie e tornare a prendere tutto appena avrò finito. Posso farcela. Devo farcela.
Mentre cammino in su per la via, cerco di ignorare il freddo. Ma, cavoli, quant’è pungente! Appena avrò sistemato ogni cosa, vado al bar a prendere qualcosa di caldo.
Dentro l’ufficio postale, trovo la fortuna dalla mia. Ho due persone davanti. Magari, sempre!
Con la ragazza dietro il bancone ci conosciamo. È una sorta di ‘da quanto tempo è, che non ci vediamo?’. Più sintetica delle note biografiche di un retro di copertina, le racconto i miei ultimi anni di vita, da quando ci siamo perse di vista. Giusto lo stretto indispensabile, poi torno dalla mia Busta che mi sta aspettando.
Il tragitto all’insù, anche se insieme, è sempre freddissimo. Rientro nell’ufficio postale con la speranza che nessuno mi prenda per pazza. Due volte, in meno di venti minuti.
P 18. È il numero con cui prenoto la mia spedizione. Il biglietto lo metto nel portafogli, come faccio sempre quando voglio conservare una testimonianza di qualcosa che è successo. Come se le parole dentro alla busta, rimaste anche a casa dentro il computer, non fossero più che sufficienti. Quindici minuti dopo, sono di nuovo fuori. Manca un quarto a mezzogiorno. Qualcosa al bar ci sta, perché no?
Ho la netta convinzione di vivere giornate incentrate su una parola. Quella di oggi deve essere: incontri. In realtà, più che un incontro, è una nuova conoscenza. Qualcuno che inizia a parlarmi, senza che io lo stia nemmeno guardando. Pretende la mia attenzione.
Mi capita spesso. Non spessissimo, ma ne ho di ricordi del genere. Non riesco a evitare di sorridere. Quei momenti che potrebbero diventare parole su carta, in meno di un attimo. Quindi, che faccio? Chiudo qui, per ora. Questa è di certo un’altra storia.

Alla prossima! 

mercoledì 16 dicembre 2015

Incontri al supermercato... aspettando di vedere l'Albero!

Una commissione importante da sbrigare. Un ufficio al secondo piano di un centro commerciale non troppo affollato, ma dove si riesce comunque a respirare l’aria delle feste che si stanno avvicinando in fretta. Non ho tempo per curiosare nelle vetrine, ma mi riprometto di fare un giro appena avrò finito di sistemare la mia questione. Poco meno di trenta minuti e sono di nuovo fuori. L’Albero sulle pendici del Monte è ancora spento; peccato. Gironzolo, con la consapevolezza di non stare cercando nulla in particolare. Solo mossa dal forte desiderio di vedere quelle lampade colorate illuminarsi da un momento al altro. Niente. Poco lontano c’è il supermercato, vado lì.  Aspetterò lì. Le corsie sono tranquille e mi permettono di camminare con calma. Anche se so che non dovrei, vado a vedere cosa può esserci di nuovo dalle parti dei libri. Quello ce l’ho, l’altro arriverà per Natale, quest’altro non è che  mi convinca poi così tanto. Per quante letture arretrate ho in casa, ogni volta che mi ritrovo a fissare dei libri senza acquistarne nemmeno uno dovrei essere contenta. Invece, la delusione mi assale. Rimango a Fissare quelle copertine colorate per un po’, fino a che una voce arriva a riportarmi sulla terra. “Su, via… alzati di lì”. Non può essere rivolta a me. Abbasso lo sguardo sul pavimento e mi accorgo di una bimbetta seduta, che sta leggendo. Gira le pagine di un piccolo libricino, di quelli adatti a lei, con una velocità tale che sia io che la sua mamma abbiamo il timore che qualcosa possa andare storto e la carta possa rompersi. Io rimango in silenzio, la madre meno: “Non fare così! Guarda che questa signora qui te li fa pagare tutti quanti…”. L’addetta allo scaffale sorride. Ha in mano una decina di dvd da sistemare poco più in là dei libri. Nonostante l’avvertimento, la bimba non ne vuole sapere di riporre il libro e alzarsi. Ha l’aria di stare parecchio comoda, anche se non credo che il pavimento sia della temperatura giusta per una bimbetta che indossa un paio di calzamaglie bianche, sotto una gonna rossa e verde a quadri in stile scozzese. Sulla scelta della maglia sono un po’ più d’accordo. Un pullover grigio sotto un golfino di lana bianco, decorato in qua e in là con delle perline. Mi piacciono i suoi capelli castano chiaro. Ha una coda tanto lunga da fare quasi invidia a Raperonzolo. “Allora! Alzati, per favore”. Cominciano a stupirmi le buone maniere di questa mamma. Altre, al posto suo, probabilmente avrebbero già dato di matto da un pezzo. Strano, ma vero, una volta mi è capitato di imbattermi in una mamma che per poco non si fa venire un accidenti, per una macchia di gelato su una maglietta fresca di lavatrice. Ma questa è un’altra storia.
Torno a concentrarmi sui libri per adulti, ma con le orecchie non riesco a impedirmi di continuare ad ascoltare: “Ti ricordi che non volevi nemmeno venire qui dentro?”. Sembra una bimbetta tranquilla. Non me la so immaginare a protestare per qualcosa che non le va di fare. Ma, vista la tenacia con cui continua a difendere quel suo attimo speciale, seduta sul pavimento del supermercato, non mi stupirebbe sapere comunque che ha un bel caratterino.
“Ecco. Questo è l’Albero che siamo venuti a vedere”. Per un attimo faccio fatica a capire. Alzo di nuovo gli occhi e fisso il quaderno che la signora tiene in mano. La copertina è una fotografia dell’Albero. Finalmente ci guardiamo e mi chiede: “Sa per caso perché non è ancora acceso?”. Non mi dà il tempo di risponderle. “Siamo venute apposta. Sarebbe il colmo non riuscire a vederlo. Abbiamo chiamato anche il servizio turistico, ma non hanno saputo dirci niente”. Non ha inflessioni particolari nel tono di voce, che mi permettano di capire da dove è che arriva. “Non si preoccupi. È questione di minuti ormai. Vedrai che, una volta fuori di qui, ve lo ritroverete davanti”. Sorrido. Sembra un po’ più tranquilla e pare essersi convinta di non aver fatto un viaggio a vuoto. La bimba si alza dal pavimento e, finalmente, riesco a sorridere anche a lei. “Sai, lo sto aspettando anch'io!". Indico l’immagine dell’Albero sul quaderno che, pare, la madre sia intenzionata a comprarle. Ci salutiamo e io mi affretto a trovare il reparto degli addobbi di Natale. Un ninnolo natalizio è comunque un ottimo acquisto. Anche se con i libri c’entra come i cavoli a merenda! Quando esco, rimango per un po' a fissare il monte. Le luci sono accese. Chissà se la bocca di quella bimbetta si è spalancata per lo stupore. Io, penso proprio di sì!

mercoledì 14 ottobre 2015

Dieci righe per... l'amore tra due persone!

Incontrarsi. Parlare. Di scrittura. Di libri. Di letture. Di progetti. Confrontarsi. Condividere. L'esercizio del giorno era: raccontare l'amore tra due persone in dieci righe (word garantisce che sono dieci)...
«Un saluto ad Angela, con un ti amo grande così. Il messaggio non è firmato. Speriamo sia arrivato comunque a destinazione». Lascio cadere a terra il pennello. Angela sono io. No! Non posso essere io. Angela è un nome comune. Abbiamo litigato. Te ne sei andato via. Non mi hai permesso di capire. Quel messaggio non può essere per me. Che senso avrebbe non dirmelo, guardandomi negli occhi? Che senso avrebbe l’anonimato? Raccolgo il pennello e spengo la radio. Penso al fatto che ci piace scherzare sulle dediche della gente. Inizia a tormentarmi il dubbio. Potrebbe essere tuo. Vorresti chiedermi scusa, ma non sai come fare. No! Non può essere. Il suono del campanello. Sei tu. Tu, insieme a una rosa bianca. Sai che la preferisco così. «Troverò sempre un modo per farti sapere quanto ti amo». Mi stai chiedendo di non dubitare più. Ti credo. Ti bacio.