martedì 30 luglio 2013

... un po' di zucchero, quel che ci vorrebbe!

Otto e trenta della sera e ancora si respira a malapena. Il caldo non solo mi uccide fisicamente, con la pressione che scende ai minimi utili e le gambe che tremano al minimo sforzo, fosse anche un passo più lungo del normale, ma… è la mente a faticare a tenere il ritmo. Così capita che – anche se la sera la stanchezza comincia a farsi sentire sul serio e si vorrebbe solo poter crollare sopra il letto priva di sensi – i pensieri arrivino senza pietà ad allontanare il sogno di un riposo sereno. Probabilmente, tra qualche giorno mi deciderò ad affrontare un discorsetto con il mio cervello e ad obbligarlo ad un periodo di ferie forzate. Giuro… ci sono cose che proprio non capisco. Certo… il problema non sussisterebbe se mi decidessi (a ventotto anni suonati e in tasca una serie di delusioni che non è proprio lunghissima, ma… nemmeno trascurabile da riuscire a far finta di non avere cicatrici addosso) a fare come la maggior parte delle persone che conosco… Non Approfondire! Non cercare di scavare dentro ad ogni situazione. Non cercare di capire ad ogni costo. Non cercare di interpretare i segnali, con la convinzione di riuscire prima o poi a terminare il puzzle e arrivare ad avere un senso compiuto di qualunque cosa si tratti. Fregarsene. Fregarsene e andare avanti. Sarebbe facile. Peccato, non sia da me. La non difficoltà a lasciar perdere è qualcosa di possibile – per quel che mi riguarda – solo nel momento in cui di una data situazione o di una determinata persona non me ne importi niente. Diversamente, pur con il rischio di uscirne con le ossa rotte, non se ne parla che io riesca a voltare pagina come niente fosse. Allora… capita di ritrovarmi a dare fiducia a qualcuno per troppe volte, come capita di sperare in quel qualcosa che - probabilmente - appartiene solo ai bei libri, ai bei film e alle belle canzoni. In questi tre ambiti tutto è davvero possibile, ma… no. Nella vita reale no. Nella vita reale ti ritrovi a sperare con tutto il cuore di poter assistere ad un miracolo e… puntuale arriva il cazzotto nello stomaco, che significa poi una conseguente presa di coscienza: non essere abbastanza. Per quel che riguarda le mie scelte: io mi basto. Mi reputo abbastanza per non buttare via la vita drogandomi, mi reputo abbastanza per non collassare in un pub con l’ennesimo bicchiere vuoto in mano, mi reputo abbastanza per coltivare un mio credo (di qualunque credo si parli… ho una mia visione… giusta o sbagliata che sia… è una visione speciale, perché è frutto di un mio taglia e cuci speciale), mi reputo abbastanza per avere un mio pensiero e dei sentimenti propri, entrambi non facilmente influenzabili dal giudizio altrui. Ma… per quel che mi pare di vedere… non sono abbastanza per far scattare in altri lo stesso meccanismo. Non sono abbastanza per riuscire a far uscire parole, non sono abbastanza per ricevere risposte. Non sono abbastanza per riuscire a ricevere chiarezza. Certo è che… non pretendo di essere qualcosa, per chiunque mi senta niente. Ma… qualora di niente si stia parlando, mi riservo la pretesa di non essere scambiata per un giocattolo. Il niente è nullo. Il niente non esiste. Il niente non si sfiora in alcun modo. Il niente non si analizza. Il niente è niente e basta. Non è niente, nel momento in cui la percezione è quella di essere vittima di strani ragionamenti. Chissà perché… esistono al mondo persone che non appena ti vedono riuscire a camminare con le tue gambe, essere felice con i tuoi soli battiti di cuore e con i tuoi soli sorrisi, respirare con i tuoi soli polmoni ed andare avanti con i tuoi soli obiettivi… assumono la pretesa di vederti crollare per loro. Non è te che vogliono. Non è vederti stare bene ciò che interessa loro… Solamente… per alcune categorie di persone è irresistibile il gusto che si prova nell’accorgersi di averti in pugno. Provi ad allontanarti, una parte della tua testa è riuscita a capire che non ne uscirai viva se non ti sbrighi a metterti in salvo, ti convinci che per una volta almeno nella vita sia necessario innalzare un muro e ti pare vada tutto bene… fino a che i meccanismi che ti hanno spinto a credere all’inizio si ripresentano. Sei una persona incline alla buona fede. Quindi… che fai? Ci credi di nuovo. Non solo… la tua mente è talmente tanto ingenua da dirti che nessuno sarebbe così perverso da provare a non considerati niente, se non fosse esattamente quello che vuole. Immagini la bellezza che esiste in alcuni libri, in alcuni film, in alcune canzoni. Nella vita reale… no. Nemmeno per una persona come te, che ci crede tanto e che – già che ci siamo – ha cominciato a fare il conto alla rovescia, per quando si ritroverà di sera con il naso all’insù… a fissare le stelle, nella speranza di vederne cadere una. Sì. Una è sufficiente. Perché non pensi valga la pena affidare alle stelle qualunque desiderio. E di desideri importanti senti di averne uno solo. Una basterebbe. Il tempo torna indietro, rivivi cose già vissute, senti speranze che avresti dovuto seppellire e… muori ancora. Non c’è niente dietro. È un niente che non ha ascoltato la tua richiesta di essere considerata niente. È un gioco stupido. Allora ti ricordi le parole di un vecchio, utile discorso… ci sono persone che per sentirsi bene hanno bisogno della linfa vitale altrui. Provi ad uccidere il pensiero che l’aver fatto sentire importante qualcuno possa essere servito solo da zucchero in un caffè altrimenti amaro, ma… sai che se tu fossi importante… a quest’ora la mente starebbe pensando altro. Che fai? Mi chiamo fuori. Non mi va di giocare. Odio le persone che giocano con le persone. Senza mezzi termini. Per giocare esistono le carte, gli scacchi, i videogiochi… ecc… ecc… ma… non le persone. Per quel che ne so e per come sono abituata ad agire, nemmeno una qualunque sorta di confusione personale può dar diritto a giocare con gli altri. Perciò… mi chiamo fuori. Torno nella mia solitudine fatta di insicurezze. Smetto di cercare segnali dove probabilmente non ci sono e non ci sono mai stati. Uccido le illusioni che si cibano dei sogni e mi chiamo fuori. Pretendo di essere lasciata in pace… con la certezza che così facendo non escluderò nulla, in effetti. Altro discorso imparato a memoria… altra lezione utile da ricordare: chi ti rispetta fa in modo che tu lo capisca chiaramente, chi ti vuole rendere parte della propria vita non ti ferisce, non si diverte con te. È tutto.

domenica 28 luglio 2013

Il cielo in una stanza

«…e questo era il nuovo singolo di Eros Ramazzotti, da Matteo per  Simona».
La radio mi distoglie dai pensieri più volte di quanto gradisca. Cerco di non lasciar trasparire il fastidio, ma non essere i soli a muoversi in una stanza implica la possibilità di tradirsi più facilmente di quanto si vorrebbe.
«Si può sapere cos’hai?».
Ecco. Il genere di domanda a cui non sono mai pronta a rispondere e a cui il più delle volte riservo un: «Niente, perché?». Prima di rendermi conto che non è sempre una buona mossa aggiungere un interrogativo del genere.
Non solo non si è in grado di prevedere come risponderanno gli altri, ma si può rimanere colpiti dalle parole quando non si vorrebbe venir sfiorati nemmeno da una virgola.
«Adesso mi decido a chiamare la radio e a dire che passino quella canzone… com’è che fa? Quella che…».
Comincia a fischiettare il motivetto e la riconosco subito. È una canzone di qualche anno fa, l’unica dei Prozac + che ricordi in effetti.
«Vorresti dire che sono acida? Cosa ho fatto per meritarmelo?». Sorride. Capisco che sta scherzando, ma per un po’ decido di fingere di prenderlo sul serio.
«Allora? Cos’è che faccio per essere acida, me lo dici?».
Non aspetto che risponda. È tipico di me. So quanto possa dargli sui nervi ma continuo a parlare a macchinetta, mentre lui sembra stia seriamente lottando per rimanere serio.
«No… dico… a parte il fatto che non mi piace essere paragonata a uno yogurt… vogliamo parlare di te? Se io sono acida… tu cosa sei?».
«Snervato. Ma… io riconosco di esserlo, il più delle volte». Dannatissima risposta pronta. Mai una volta, che riesca a prenderlo in castagna. Rimango a bocca aperta e decido che l’unico modo di controbattere sia un attacco che – già lo so – danneggerà solo me. «Allora non parlarmi, se la pensi così». Riprende a fischiettare e io cerco di fare di tutto per ritornare immersa tra i miei pensieri.
Niente da fare.
La radio continua a passare da una canzone all’altra, ma io non riesco a tornare dove stavo. Ci provo. Ci provo e ci riprovo, ma… niente da fare.

«Hai mai pensato di chiamare la radio per dedicare una canzone a qualcuno?». Ecco. Sottolineare il fatto che mi stia parlando, potrebbe essere un buon contrattacco, ma… decido di ignorare la tentazione e rispondo semplicemente: «Certo!». Immagino che il solo fatto di chiederlo implichi la consapevolezza di averci pensato a sua volta, a parte il fatto di poterlo prendere in considerazione per farmi presente che a volte sono acida.
«Per chi chiameresti, si può sapere?».
Niente da fare.
«E’ ancora lui, vero? L’innominato a cui non hai il coraggio di dire tutta la verità».
«Non ricomincerai mica a darmi lezioni… l’importanza di non avere rimpianti e tutto il resto?». Aggredisco, quando mi  sento toccata sul vivo. Soprattutto perché c’è la paura di soffrire e di farmi male.
Poi, prima che parole forti riescano a trovare la via per uscire di bocca, decido di lasciare spazio ancora una volta alla fragilità. A quella fragilità che in fondo sento bella, anche se non vorrei. A quella fragilità che mi fa capire di non avere il bisogno di temere perché… che sia amore felice o amore carico di dolore, da certe cose non ci si nasconde.
«Non penso sia necessario spiegare di più, sai… ogni volta che mi guarda negli occhi ho la verità stampata in faccia. Sono sicura che non può non averlo capito. Per quanto io parli sempre troppo, l’amore è quel sentimento speciale che non ha bisogno di parole».
«Ma, se è così… non ti da fastidio essere totalmente indifesa davanti a lui?».
Non so per quanto ancora riuscirò a reggere una conversazione del genere, ma decidere di non sfuggire alla verità ha i suoi bei momenti di tensione da sopportare. È solo l’abitudine che manca.
«Alle volte sì… alle volte vorrei non fosse così chiaro tutto il potere che ha su di me, ma… se il rischio che corro è quello di essere felice, allora direi che vale la pena lasciarsi leggere dentro, anche se è complicato».
«E… se così non dovesse essere? Se questa felicità che sogni non dovesse arrivare?».
«Fa niente». Mi guarda come se fossi pazza.
Lo so. Mi darei della pazza anche io, non fosse per il fatto di non aggiungere un altro motivo alla lista di quelli che ogni giorno mi fanno litigare con me stessa.
«Non esiste un modo per chiedere con gli occhi di non venir feriti. Non esiste uno sguardo in grado di chiedere tutela per il cuore. L’unica speranza è che non esista superficialità negli atteggiamenti che si ricevono. Capire di essere amati da qualcuno dovrebbe spingerci a non voler ferire, ma… non è sempre così. So che rischio un dolore più grande di quanto abbia mai provato finora, ma… scelgo di accettare l’eventualità. Non è che provare a non sentire mi abbia portato da qualche parte, dopotutto».
«Capito». Lo guardo senza capire cosa ci sia da capire, in effetti.
«Riesci a sopportare l’idea che questo ragazzo-innominato capisca tutto attraverso i tuoi occhi, ma non saresti in grado di dedicargli una canzone… certo che è strano».
«Forse perché… non esiste canzone che riesca a spiegare più di uno sguardo, ci hai mai pensato? Anche se è bello usare la musica come veicolo di sentimenti e una canzone – in effetti – è tutto ciò a cui puoi aggrapparti in qualunque momento della giornata».
Devo avergli ingarbugliato i pensieri, perché mi guarda senza rispondere.
Passano alcuni secondi di silenzio, poi: «Ha un senso, certo. Ma… dovessi dirlo con una canzone, quale sarebbe?».
«Il cielo in una stanza. Gino Paoli».

Mi allontano senza aggiungere altro. 

lunedì 22 luglio 2013

Tutto il Futuro del Mondo

Di nuovo da queste parti... tanti impegni, tante novità!
Da dove cominciare?
Lascio indietro altre cose per... Tutto il Futuro del Mondo!!!


Tutto il Futuro del Mondo è un Concorso indetto dalla Società editoriale ARPANet. L'iniziativa aiuta i minori di 28 Paesi del mondo, sostenendo - con parte del ricavato derivante dalle quote di partecipazione e dalla vendita dei libri pubblicati - l'attività di:
contro l'emergenza dell'abbandono, per promuovere e realizzare il diritto di essere figlio.Tutto il Futuro del Mondo è il domani che ci attende. Il Futuro è dei bambini.

Gli estratti delle opere partecipanti sono attualmente disponibili online, leggibili e votabili. Questa un'immagine della pagina dedicata a "L'uomo dei palloncini volanti"... il racconto con cui partecipo al concorso. Vi va di dare un'occhiata? Sarei felice di sapere cosa ne pensate :-)



Che altro dire... incrocio le dita e... speriamo bene! E' comunque bellissimo e stimolante misurarsi con esperienze del genere. A presto!

sabato 20 luglio 2013

La luna blu

Il 135esimo Post
Non lo so perché, ma... controllare i numeri del Blog è abitudine. Diventata tale, senza nemmeno chiedere il permesso. Partendo da qualcosa fatto più per fare che per reale interesse, diventando poi qualcosa di 'utile'. 
Non lo so perché, ma... in periodi come questo, dove tutto è frenesia e dove il dubbio di non riuscire in qualcosa è costante, contare mi aiuta.
Non ho mai fatto a botte con i numeri, ma chiamarli amici sarebbe un eccesso. Eppure... contare mi aiuta e i numeri sono amici, in questo.
Conteggi a parte... quando decido di staccare un po' la spina, ultimamente abbandono le parole che mi frullano per la mente per dedicarmi a quelle che hanno frullato in menti altrui.
E ci sono letture in attesa (come sempre), letture cominciate e lasciate in attesa (come sempre) e letture cominciate, continuate in ogni attimo libero e divorate sempre (come raramente accade)... con la speranza di non vedere arrivare mai l'ultimo punto. 
La mente e il cuore stanno bene, fino a che gli occhi possono continuare a scorrere sulle parole. In questo senso... i numeri sono nemici. Quando rappresentano l'aumentare delle pagine lette e il conseguente diminuire di quelle da leggere. 
Il libro in questione? Un libro speciale.
Acquistato in libreria poco più di un mese fa, con il solito modo di scegliere. Uno sguardo alla copertina, una scorsa alle parole sul retro che sono poche e un'occhiata alla piccola nota sull'autore, con la consapevolezza che ultimamente prediligo le opere prime. Alle volte arrivo subito all'ultima pagina, per cercare di capire dal finale il valore della storia (per i miei gusti, si intende), ma... stavolta no. 
Stavolta decido di partire dall'inizio. E, prima ancora di riuscire ad arrivare alla prima pagina del romanzo, è la dedica a colpirmi.

Ai miei veri amici. Alle persone che mi amano e mi hanno amato davvero. Non siamo fatti per stare da soli, ma nemmeno per stare con chiunque.

Ok. Nessun dubbio. Fa per me. Qualunque cosa scritta da una persona che la pensa esattamente come me... fa per me. Ed è la volta (una di quelle rare e che ti fanno sentire felicissima) che esco da una libreria con un unico libro in mano. Dopo aver girato per gli scaffali in un tempo ridottissimo per i miei standard e... senza alcun dubbio sul fatto che possa essere un acquisto azzeccato.
Sento la fretta di cominciare subito a leggere, ma... mi impongo di rimandare il tutto a quando avrò finito di leggere almeno uno dei libri poggiati sopra il piano del comodino.
Quando giorni fa l'ho preso in mano per poterlo finalmente aprire, me ne sono fregata degli sbadigli, del sonno prepotente e ho aspettato che le lancette arrivassero a segnare la mezzanotte passata da trenta minuti, prima di decidermi a spegnere la luce. Domani si lavora.



Ogni riga è un bagno d'emozioni, ogni pagina una scossa elettrica per il cuore. 
Poi... ci sono quelle parti su cui decidi di tornare, quelle frasi che non vorresti mai tradire andando avanti e che cerchi di imparare a memoria, nella speranza di non sentirne la mancanza poi.



Così siamo il passatempo di sveltine di sentimenti, ci consumiamo in amplessi fugaci e in vite vissute come vengono, cioè insensate, perché ciò che viviamo così come viene è sempre insensato, se il senso non sappiamo darglielo noi. Siamo un controsenso, viviamo controtempo, andiamo contromano, ci mettiamo controvento, ci prendiamo in contropiede. Ma Controcuore non possiamo andare(M. Bisotti - La luna blu)


Non voglio vivere per qualcuno che sia solo me stesso. Voglio sentire gli uccellini cinguettare nei polmoni al suono di un respiro. E se la mano è giusta, loro non avranno paura di appoggiarsi. Sanno che non verranno messi in gabbia o strangolati, sanno che verranno nutriti con un impasto di anima e sogni. E gli verrà il singhiozzo, ingoiando un sospiro di paradiso. E se poi dovrò soffrire, benvenuto dolore maledetto. Vorrà dire aver riprovato quel semplicissimo gusto di dire a una donna: mi piaci e vorrei uscire con te. Vogliamo dare troppo spesso un tempo alla durata dell’amore, cerchiamo di quantificarlo. L’amore per me dura il tempo che deve durare, ma per farlo durare penso che si debba imparare a rendersi e considerarsi unici. E riconoscere che è quella persona che vuoi, e la difenderesti sempre come prima cosa. Lei è ciò che resta sulla Torre con te. E allora non spergiurare la parola Sempre, prometti la parola Ora, e rinnovala ogni giorno(M. Bisotti - La luna blu)

Continuo a leggere, con i numeri a far da nemici. Allora... già mi dico che sarà un libro che riprenderò nel tempo. Anche se ancora non so come andrà a finire. Arrivata alla novantesima pagina, mi sento di poter dare fiducia a questa storia e che non mi tradirà. Sembra sciocco pensarlo, ma... pare sia stata scritta per me. Per ricordarmi che non sono una stupida, se credo ancora nell'Amore. Non in una sveltina, non in un rimpiazzo del cuore... in quell'unica, potente, grandissima forza che fa volare chi ci crede... senza mai pentirsi dei passi fatti. Senza mai pentirsi di non rimanere a guardare la vita che va avanti. Sia quello che sia. Lacrime, sorrisi. Cazzotti nello stomaco, gioie infinite. Vivere. Vivere sempre. 

Nemmeno la fortuna può muoversi sui piedi di chi sta fermo. 

Una riga già passata, ma ancora stampata in mente. Sì... è il libro giusto.

mercoledì 3 luglio 2013

Tra musica e parole... l'Amore!

«Ho chiamato per assicurarmi che non avessi schiantato la sveglia nel muro e non ti fossi rimessa a dormire beata. Lo so che è sabato e che vorresti riposarti, ma è da un secolo che organizziamo questa cosa e non puoi proprio mancare».
Da quando ho preso l’abitudine a non spegnere il cellulare di notte, è già la seconda volta che Ilenia chiama alle sei e trenta del mattino. L’altra volta avevo la febbre e voleva sapere come stavo. Stavolta è tutta in agitazione per una gita al mare tra amici che… sì! È da un secolo che la stiamo organizzando.
«Sono sveglia, sono sveglia. Anzi… sono sveglissima e già pronta con il costume addosso, i jeans corti che abbiamo comprato l’ultima volta, la t-shirt che mi hai regalato per il compleanno e la borsa fatta».
«Mi raccomando, non dimenticarti la crema solare ad altissima protezione. Non vorrei che finisci per diventare un peperone, come l’ultima volta». Niente da fare. Quando è così, potrei anche dire di essere in compagnia di un alieno.
«Ripeto… ho fatto la borsa e c’ho messo dentro tutto, crema fattore cinquanta compresa».
«Benissimo! Allora… ecco… cinque minuti e sono da te».
No.  Non mi convince. Primo: perché Ilenia detesta la parola benissimo. Lei è quel tipo di persona che tiene l’ottimismo a larga distanza. Secondo: perché Ilenia non è il tipo da pause quando parla. Se è riuscita a infilarne due in una frase di  nove parole, vuol dire che c’è qualcosa che non va.
«Che c’è?». Lo chiedo con lo stesso tono di una mamma, quando sospetta che il figlio abbia combinato qualche marachella.
«Niente! ». La risposta non è veloce, è un razzo. C’è qualcosa che non va. Serve il piano B.
«Ti conosco da più di quindici anni e so riconoscere al volo quando mi stai nascondendo qualcosa». Di solito, tirare in ballo il fatto dell’amicizia di lunga data funziona sempre.
«Ok. Tanto, lo scopriresti lo stesso poi. C’è anche lui».
Non c’è bisogno che a quel ‘lui’ aggiunga un nome. Quando si parla di ‘lui’, per me c’è un solo ‘lui’.
«Tutto qui?». Cerco di fare la disinvolta, ma ho il cuore in gola. E non fosse per il fatto che sono seduta sopra il letto, sono sicura che le gambe non mi reggerebbero.
«Non… non ti da fastidio doverlo avere attorno per un giorno intero?».
Apprezzo il fatto che Ilenia si preoccupi per me, ma… «In fondo, sapevamo che poteva esistere un rischio del genere. Quando gli ho parlato, sapevo esattamente che un giorno avrei potuto ritrovarmi occhi negli occhi con lui, da semplici amici. Non vedo quale dovrebbe essere il problema. Per caso è a lui che darebbe fastidio la mia presenza?».
Giuro che se Ilenia risponde di sì schianto il cellulare nel muro. Non mi va l’idea di essere un problema per qualcuno. Specie se questo qualcuno è ‘lui’.
«Ma… no! Che vai a pensare. Solo che… secondo me non avresti dovuto parlargli, lo sai. Non si meritava quelle parole».  Quando ci si mette, Ilenia è davvero spietata. Ma, lo so che lo fa perché mi vuole bene.
«Adesso dici così, solo perché le cose non sono andate come speravamo. Lo so che lo fai per il mio bene e perché non vorresti vedermi soffrire, ma io non sono pentita di averglielo detto. Anche se mi dispiace per come è adesso la situazione…. Fossi riuscita a farmi volere bene, a quest’ora tu saresti pazza di gioia per me e lo adoreresti perché è un bravo ragazzo».
«Sta di fatto che tu adesso non stai bene, perciò non adoro proprio nessuno».
«Ascoltami… ma, ascoltami sul serio. È l’ultima volta che te lo ripeto. Non si vive con un rimpianto del genere. Se io non avessi detto niente, sarei rimasta con il dubbio per il resto della vita. Invece… Così… il dubbio non c’è più. Gli ho detto che è importante per me e non è successo niente. Tutto ciò che posso fare è andare avanti e augurarmi sia per me che per lui di essere felici».
«No… dai… tu non lo pensi veramente», il tono di Ilenia è talmente stupito che stento a riconoscere il suono della sua voce. «Non vorrai mica farmi credere che qualunque cosa accadrà in futuro, tu speri che sia felice? Non puoi volerlo con te e volerlo felice anche senza di te, non è possibile».
«Invece sì! Le cose stanno così, fattene una ragione. Lui per me è importante, non sono pentita di averglielo detto e vorrei che qualunque cosa accada fosse felice. Si chiama amore».
«Credo che a casa mia questo si chiami di più… pazzia. Ma, come vuoi. Ti conosco da più di quindici anni e lo so che la tua testa alle volte è più dura di un muro di cemento armato».
«Ma… qui la testa non c’entra niente, credimi. È tutto un fatto di cuore». In due scoppiamo a ridere, prima di decidere che trenta minuti di telefonata potevano anche bastare.
«Passo a prenderti tra dieci minuti. Il tempo di sistemare le ultime cose in casa e arrivo».

Quando arriviamo al parcheggio, davanti al bar delle solite colazioni della domenica mattina, gli altri sono già arrivati. C’è anche lui, anche se mi sarei aspettata di vederlo arrivare in ritardo.
Mentre scendiamo dalla macchina, ignoro di proposito lo sguardo di Ilenia. È dura fare finta di niente, ma sarebbe stato peggio continuare a fare finta di niente all’altra maniera. Per certi versi è vero che la verità rende liberi. Anche se ci sono situazioni in cui ha la tendenza a incasinare la vita. Prima di parlarli, avevo preso il bruttissimo  vizio ad abbassare lo sguardo ogni volta che me lo ritrovavo davanti. Dover sostenere una normale conversazione fra amici, poi… un casino. Dopo avergli parlato, le cose sono cambiate. All’inizio mi sarei voluta seppellire viva da qualche parte, ma a distanza di mesi… sì. Riesco a sostenere il suo sguardo senza vergogna. Gli ho detto che è importante, non che avrei voluto vederlo morto.
«Chiara… come va?». Rispondo con un cenno della testa, per lasciare intendere che è tutto ok. Stringo la sua mano, prima di finire il giro di saluti.
Beh! A dire il vero, una cosa la spero. Spero di non finire in macchina insieme con lui.
Siamo in dodici, con sette macchine a disposizione. Non avrebbe senso muoverle tutte per più di cento chilometri. Meglio prenderne tre.
Quando Andrea mi invita a salire insieme con loro, ho un tuffo al cuore. «Tu e Ilenia potrete parlare fitto, fitto sotto all’ombrellone… adesso vieni con noi, dai. Così, Sara non si sentirà sola». Sara è la sua ragazza. Stanno insieme da poco, ma è come se fosse da una vita.
Lui mi lascia passare e io fingo di non accorgermi di essere diventata rossa in viso. Sento il corpo bruciare e spero di non svenire da un momento all’altro.
Il silenzio più totale è tutto ciò che ci accompagna per i primi venti minuti di macchina. Ed è tutto ciò che avrei voluto continuasse, prima di sentirlo cominciare a canticchiare: «Mai le dirò… che muoio per lei…». Non mi disturba il suono della sua voce, ma… la canzone sì. Io muoio per lui e gliel’ho anche detto. «Perché non accendiamo la radio?», la butto lì con freddezza e spero che capisca.
Luca mi accontenta e per il resto del viaggio io sono a posto. Ascolto Sara che mi racconta della loro intenzione di sposarsi a breve (niente di pomposo, giusto una firma in comune e una cena tra amici per festeggiare). Di tanto in tanto dico la mia sull’argomento, mentre cerco di mantenermi calma e di arrivare in spiaggia rilassata.

Raggiungere l’ombrellone è una pena. Sono solo le dieci e mezza di mattina e la sabbia scotta come se fosse la piastra rovente di una stufa.
Sono l’unica ad avere tolto le scarpe, prima di sistemarci con le sdraio. Perciò, mi ritrovo a saltare come fossi un canguro impazzito.
«Allora… come è andata questa convivenza forzata?» Ilenia cerca di essere spiritosa, ma lo vedo che è preoccupata per me. «Ti prego, Chiara. Quando ti ho consigliato di non dirgli niente e di aspettare che fosse lui a parlare non mi hai ascoltata. Adesso, almeno… ti prego. Non permettergli di massacrarti. Sorridi. Sorridi sempre e si forte e non permettergli di usare contro di te quello che sa». Non posso risponderle come vorrei perché gli altri si avvicinano a noi e non mi lasciano il tempo di fare uscire le parole, ma apprezzo la sua vicinanza. «Tranquilla!», le strizzo l’occhio e le regalo un sorriso. Ilenia sa che con lei non potrei mai fingere. Mi sto tutelando ed è vero.
«Ok! È ancora presto per inaugurare la stagione dei bagni, ma per una passeggiata mi sembra il momento perfetto». Mi cospargo di crema per essere sicura che il sole non mi freghi al primo impatto, indosso il berretto con la visiera che avevo messo nella borsa e mi avvio verso l’acqua.
Da piccola ero in grado di passare ore, a giocare con le conchiglie in riva al mare. Da grande non gioco più, ma camminare a passo lento con l’acqua che carezza i piedi solo di tanto in tanto e quanto di più bello e rilassante possa esserci.
Saluto gli altri, che già stanno programmando una mega sfida a briscola, e mi avvio.
Oltrepassate diverse file di ombrelli comincio a non rendermi più conto di quanto possa aver camminato. Anche questo è un aspetto che mi piace del camminare in riva al mare. Il più delle volte lo si fa tanto per fare, senza la pretesa di raggiungere una meta o di percorrere chissà quale distanza.
L’idea è quella di  non fermarsi mai e di tenere a freno la tentazione di mettersi ad esaminare i sassolini e le conchiglie che giocano con la spuma delle onde. Ma quando gli occhi mi cadono su una bambina alle prese con un castello pericolante, non riesco a trattenermi.
«Che bello…. L’hai fatto tu?». La piccola annuisce, facendo danzare la coda di cavallo nella quale ha raccolto i splendidi capelli biondi. «Però… non è proprio così che l’avevo immaginato». Mi inginocchio vicino a lei, mentre riprende a darsi da fare perché essere un castello di sabbia non significhi per forza essere fragile.
«Non preoccuparti… alle volte le cose non vanno come ci aspettiamo, ma non per questo è tutto da buttare». Prendo le conchiglie che ha appoggiato vicino al secchiello vuoto e ne sistemo un po’ a coprire il leggero spacco che rovina il suo lavoro. Dopo che ho finito, l’aspetto è decisamente migliore.
«Visto… ho o non ho ragione?». La bimba sorride e mi abbraccia senza pensarci due volte.

«Posso complimentarmi con voi?». È lui. Riconoscerei la sua voce anche fossi dentro a una discoteca rumorosa e con i tappi alle orecchie. La bimba si spaventa, ma è giusto un attimo. «Non preoccuparti, è un mio amico». Mi alzo e le sorrido di nuovo, prima di decidere che forse è meglio lasciarla ai suoi giochi. «Ora devo proprio andare, ma mi ha fatto piacere conoscerti e poter giocare un po’ con te».
Riprendo a camminare, ma la sabbia sotto i piedi non ha più lo stesso sapore.
«Si può sapere che vuoi?». Lo aggredisco, nella speranza che il suo orgoglio abbia la meglio, che volti le spalle e che torni in fretta all’ombrellone. Niente da fare. Io sono cocciuta, ma quando vuole lui lo è di più.
«Ho bisogno di parlare un po’ da solo con te».
«È questo ciò che hai detto agli altri? Che provavi a raggiungermi perché vorresti parlarmi da solo?». Storce il naso, prima di rispondere: «No! Ho detto che andavo a fare una nuotata per sgranchirmi un po’, ma…», si blocca giusto un attimo, mentre io cerco di reggere il suo sguardo. «Ilenia ha capito e mi ha guardato male. Immagino sia stato il suo modo di chiedermi di lasciarti in pace».
«Già! L’ho addestrata bene». Scoppio a ridere, ma tutto ciò che vorrei fare sarebbe mettermi a piangere.
«Non me ne andrò, nemmeno se me lo chiedi». È sicuro di sé e per un attimo fatico a reprimere la forte tentazione di cadergli tra le braccia. «Voglio sapere perché non hai detto altro, dopo quel giorno». Ecco. Questa sì, che è bella!
«Come, prego… forse, perché non toccava a me parlare?». Potrei essere scambiata per una bandiera italiana. Verde per la rabbia, bianca per lo sforzo immenso di non svenire e rossa per il caldo.
«Ti ho detto di essere importante per me, cos’altro ci sarebbe stato da dire?».
«Un ‘sei importante’ non è un ‘ti amo’, però. Non dà la certezza di cosa provi per me. E se domani…».
Se. Che orrenda parola… se. Nella vita non ho sempre tutto chiaro, ma i ‘se’ li detesto. Non in generale, li detesto quando si parla di sentimenti. Poi… Poi, mi torna in mente quella canzone. Quella che gli ho sentito cantare spesso e che trovo senza senso su noi due.
«Ok… adesso basta! E se domani… non ho la certezza matematica che fili tutto liscio, questo no. Siamo due teste dure. A volte basta una mezza parola storta per farci scattare, ma… è perché siamo fatti così. L’amore può vivere anche in mezzo a qualche litigio. Nessuna coppia è una coppia perfetta. Gli alti e bassi non c’è verso di tenerli alla larga in nessun modo, ma…». Non ha mai smesso di fissarmi e so che è consapevole che muoio dentro ai suoi occhi. «Ma?».
«Ma… non esiste persona al mondo che mi faccia sentire bene come mi fai sentire bene tu. Non c’è essere umano sulla faccia della terra, in grado di farmi passare dalla rabbia al sorriso… come sai far tu. Vicino a te mi sento a casa, al sicuro come non lo sono mai stata. E’ sufficiente, perché il domani non sia più così spaventoso?».
Non parla, non sorride, non fa niente.
Prendo un bastone di legno levigato dal mare, abbandonato sulla spiaggia dalle onde e scrivo sulla sabbia: Tu sei importante per me. Poi, prima che lui possa aggiungere qualcosa, cerchio alcune lettere. Prima la T, poi la I… la A, la M e la O. Lui mi prende per mano, sfila il bastone tra le dita e scrive sotto alle mie parole: Tu si ‘na cosa grande per me. E le note della canzone d’amore più bella spazzano via quelle più incerte sul futuro.
Torno con la mano nella sua. Insieme, ci tuffiamo in acqua.