sabato 21 maggio 2016

A chilometri di distanza: "Quando infinito non è"

Eccomi di nuovo da queste parti! :-D Con il cuore a 100&+ per dei progetti in corso (di cui spero di poter parlare presto) e con la voglia di continuare a mettermi alla prova... scrivendo! 
E' on-line l'ottava parte della 'storia Wattpad': 
"A chilometri di distanza"!!! 
Ma, come fosse una serie televisiva di quelle americane, questo Blog ve la presenta con un leggero ritardo e ve la fa leggere 'in differita'. 
Che ne dite... vi va di continuare a conoscere il mondo di Sofia, che avete conosciuto in questo primissimo Post della serie?!? :-D
Era un sì, quello che ho sentito uscire dalle casse malandate del computer? Mi fa piacere!
Ecco a voi la seconda parte... 


Quando infinito non è


«Hai messo il maglione pesante in valigia?».
Gli occhi della mamma si ostinano a seguirmi in ogni spostamento, dall'armadio al letto e viceversa.
Non vorrei farle presente quanto sia estenuante per me, averla attorno in questo momento. Ma è estenuante.
Continua a guardarmi come se il fatto di aver deciso di cambiare città, così, all'improvviso, sia la decisione peggiore che potessi prendere.
Evito di farle presente che in un passato non troppo remoto m'era balzata per la mente l'idea di fare fuori una certa Bionda e scelgo di tenere per me anche l'idea, di gran lunga più recente e di gran lunga più sconvolgente, di trovare un ponte dove potermi spenzolare giù e farla finita. Quelle sì, che sarebbero state decisioni pessime. Pessime e senza possibilità di ripensamenti.
«Mamma! Sto andando in Umbria, mica al Polo Nord!».
Con la mia famiglia viviamo a Roma. Con il mio ex marito eravamo riusciti ad acquistare un piccolo appartamentino a pochi metri di distanza dalla casa dei miei. Con i miei ex suoceri ci bastava camminare per poco meno di un chilometro, per poter essere tutti insieme a pranzo, o a cena. Da una parte, o dall'altra.
Ovvio che, qualunque altro posto sulla faccia della terra, non sia mai stato degno di considerazione per noialtri. Almeno, finora.
Anche la scelta delle vacanze, a dire il vero, è sempre stata piuttosto ardua. Forse perché detesto volare e la sola idea di ritrovarmi immersa nelle nuvole, a metri, e metri, e metri da terra non mi ha mai entusiasmato più di quel tanto. Anche se pare che viaggiare in aereo sia il modo più sicuro. Io di sicuro ci vedo soltanto il fatto che, qualunque cosa succeda, non la racconterai.
Afferro l'ultimo paio di jeans, di quelli che considero i miei preferiti, e chiudo la lampo. Manca la scelta delle scarpe e un beauty-case da preparare, con lo stretto indispensabile.
«Beh! Anche se sono appena tre ore di macchina da qui, non si sa mai che tu possa incontrare la neve».
Come se il fatto di imbattersi in una bella nevicata sia da considerarsi una catastrofe. Blocco al volo la mamma, che cerca di approfittare della mia capatina in bagno per nascondere in valigia uno degli ultimi regali della nonna. Un pullover di quelli realizzati a mano, con i ferri e il gomitolone di lana di tutti i colori. Non so se rendo l'idea.
Indossarlo, anche solo per un minuto, mi fa subito venire in mente l'idea di aver bisogno di mettermi a dieta.
In realtà tra i dispiaceri, il divorzio e tutto il resto, l'asticella della bilancia si è notevolmente abbassata. Ma non lo consiglierei a nessuno, come sistema infallibile per perdere peso.
«Mamma! Non ti ci mettere anche tu! Siamo in primavera, non c'è più bisogno di cose del genere».
Tolgo il maglione dalla valigia e sfrutto lo spazio che la mamma è riuscita a ricavare per infilarci un'altra tuta. Ho il sospetto che sia uno di quei modi di vestire che, lentamente, ti fa dimenticare tutti gli altri.
«Forse qui a Roma no, hai ragione. Ma non credo che in Umbria farà caldo allo stesso modo», mi guarda in quella maniera che solo a una madre può appartenere. Con gli occhi che gridano tutto l'amore del mondo e le labbra che non riescono a fare uscire le parole.
«D'accordo, mi hai convinta. Anche se ho sentito Giada al telefono proprio questa mattina e pare che quest'anno l'inverno abbia saltato il turno da loro».
Giada è la mia migliore amica. Ci siamo conosciute sui banchi della scuola elementare e, a parte qualche brutta litigata ogni tanto, siamo riuscite a rimanere una nella vita dell'altra, come se in realtà fossimo sorelle.
Afferro il maglione della nonna e lo porto in macchina insieme alla valigia.
Mentre riesco a sistemare il bagaglio sul sedile posteriore, alla maglia consento l'onore di potermi rimanere accanto.
«Così, se mai dovessi imbattermi in un brusco calo delle temperature, ce l'avrò a portata di mano».
La mamma riesce a sorridere e riesco a farlo anch'io. Il babbo ha preferito fare un salto al bar, per andare a trovare gli amici con cui non si vedeva da circa dodici ore.
Ho imparato a non prendermela. Anche se avrei preferito poter stringere anche lui in un abbraccio. So che, in fondo, gli somiglio più di quanto io sia disposta ad ammettere e lo capisco quando dice che certe cose non fanno per lui.
C'è anche da dire che non si tratta mica di un addio. Ho promesso di invitarli tutti a passare un po' di tempo in campagna, appena con Giada avrò trovato il modo di sistemarmi. Sto solo scappando via da un ex marito e da un'ex vita coniugale. Loro non c'entrano.
«Telefona, appena arrivi».
Faccio di sì con la testa, mentre con gli occhi sono già appiccicata allo specchietto retrovisore. Già mi ritrovo a domandarmi se per caso io non stia facendo una cavolata.
Detesto i salti nel vuoto. A dispetto di chi si ostina a sostenere che rimanere immobili in certe situazioni sia dannoso. Forse dovrei ripensarci.
Mi stavo trovando talmente tanto bene nella mia vita da persona adulta, in compagnia dei miei progetti personali e familiari, che avevano tutti l'aria di essere perfetti e infallibili, che la caduta a terra è stata un volo dal alto; finito con un tonfo micidiale.
Dopo quindici minuti di guida mi sento già stanca, ma cerco di non farci caso. Con il solo rumore del traffico a tenermi compagnia, decido di accedere la radio e di bloccarmi sulla prima canzone che passa. Ho dimenticato di prendere alcuni dei miei vecchi cd. Così, imparo! A non aver voluto perdere tempo a scrivere una lista.
Dopo l'ennesimo giro di stazioni, ancora non ho trovato niente. Nulla che riesca a sintonizzarmi sul giusto umore; almeno.
Spengo di nuovo e provo a distrarmi canticchiando.
Sono una frana con il canto. Sempre stata. Ma pare che cantare ad alta voce, specie quando si ha la certezza che non ci sia qualcuno ad ascoltare, sia da considerarsi un'attività liberatoria delle più efficaci.
Se riesco a esibirmi per tre ore di fila, forse posso arrivare a casa di Giada senza sembrare una che è appena stata schiacciata da un treno e, magari, riuscirò a non farle tornare in mente il proposito di farmi parlare con una sua amica psicologa.
Sarebbe anche fantastico riuscire a cantare in maniera tanto convincente, da dimenticare chi sono almeno per un po'.
Invece mi ritrovo a tamburellare con le dita sul volante ed ecco che la mia realtà di donna appena divorziata torna a uccidere tutti gli altri pensieri.
Mi accorgo della fede che non c'è più e non perché io stia guardando il mio anulare sinistro.
Pur rimanendo concentrata sulla strada, sento l'assenza di quell'anello.
È rimasto addosso a me fino a che sono stata costretta ad apporre una maledettissima firma. Quei consensuali che, a detta di altri, dovrebbero aiutare a soffrire di meno.
A tratti mi pento di non avergliela fatta pagare. Ormai è tardi, però.
Per le quattro estati che sono riuscita a rimanere sposata, ho quasi odiato quel anello.
Quando le mani si gonfiavano fino all'inverosimile per il troppo caldo era come avere addosso un piccolo marchingegno di tortura.
L'inverno accadeva l'opposto.
Con le dita troppo rinsecchite per il freddo, faticavo a trattenerlo al proprio posto. Per ben tre volte ho addirittura rischiato di vederlo sparire dentro il buco del lavandino.
Adesso mi manca. È un po' come essere nudi, anche se lo so che può apparire eccessivo.
Pochi mesi ancora e scomparirà anche il segno più chiaro, quella piccola striscia di pelle che non è mai stata esposta al sole; da dopo il matrimonio.
Anche la fede è rimasta a Roma. Avrei potuto restituirla al mio ex sposo, a suggellare ancora di più il nostro addio. Ma non ce l'ho fatta a essere tanto al di sopra della situazione. Temo che un giorno il mio ex marito possa lasciarsi sedurre dall'idea di riciclarla. Sarebbe disgustoso, ma sarebbe da lui.
Ha sempre considerato eccessivo il fatto di spendere più del necessario, per aggiungere due piccoli diamanti dentro alle O dei nostri nomi.
Stefano e Sofia. Pensare che, a giocarci un po', le nostre iniziali sono in grado di dare origine all'infinito.
Forse avrei potuto rivenderla. Avrebbe di sicuro giovato alle mie finanze non proprio floride. Pare che il mondo non abbia bisogno di giornalisti freelance, in questo momento. Specie di una come me. Che, a un passo dal terminare la procedura d'iscrizione all'albo dei pubblicisti, ha fatto marcia indietro.
Purtroppo mi è mancato il coraggio. Ma ho intenzione di mettere la faccenda - anzi le faccende - in cima alla lista delle cose urgenti da fare; appena riesco a trovarne un pizzico.
Alla prossima!!! :-D

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