lunedì 30 ottobre 2017

Lo spazio di 2500 battute... "Tutto ciò che conta"

Scrivere. Un bisogno che non smette di farsi sentire. E si fa ancora più forte, quando si imbatte in una sfida. Un bando di concorso. Scoprirlo in ritardo, ma provarci comunque. Non a partecipare; quello no. Provare a scrivere ciò che è richiesto. Un racconto breve. Non superiore alle 2500 battute; per l’esattezza. Duemilacinquecento battute che riescano a parlare di vita contemporanea e di ciò che potrebbe essere trappola per l’uomo. Ci provo. Lo scrivo per questo piccolo, grande spazio personale. Eccolo qui…

Tutto ciò che conta

«Ok. Dammi mezz’ora».
Riapro piano la porta del bagno, convinto di essere riuscito a non farmi sentire.
Viola è davanti a me. Quel suo broncio, in grado di far tremare anche il cuore più duro.
«Nooo!». Urla, lasciando andare due lucciconi.
«Avevi promesso. Mi avevi giurato che oggi, cascasse il mondo, ci saremmo andati».
Io e il mio vizio di fare promesse, che non sono sicuro di poter mantenere.
Mi inginocchio davanti a lei e provo a farla ragionare: «Lo so, tesoro. Mi dispiace, ma… Luca ha chiamato e vuole che lo raggiunga. È per una riunione importante».
Non sono più in grado di parlare con mia figlia. Forse, non lo sono mai stato.
Passiamo del tempo insieme, è vero. Ma è come se ogni volta pensassi di avere a che fare con qualcuno di diverso da lei.
«No, papà…».
Riesco a mandare le sue proteste in sottofondo e mi concentro sulla ricerca della cravatta giusta da indossare.
Nuovi squilli.
È un lampo. Viola afferra il cellulare da sopra il letto e corre verso il bagno.
«No! Viola!». Il tappeto scivola sotto i miei piedi, ma riesco a non cadere. «Ridammelo!”.
Il mio urlo la spaventa. Riesce a chiudersi la porta alle spalle.
La sento rispondere a Luca e dirgli che sarei rimasto con lei. Sento il rumore dello sciacquone.
Un minuto. Due. Tre. Perdo il conto.
Quando riusciamo a guardarci di nuovo, il suo viso è una maschera di lacrime. I singhiozzi sono prepotenti.
Dov’è il cellulare?!?
Non ho il coraggio di domandarlo. Non ho il coraggio di andare a vedere. Lei corre in camera.
La fisso, mentre stringe con forza il suo orsacchiotto.
Dovrei abbracciarla io in quel modo. Sono un padre orribile. Assente e orribile.
Squilla il secondo cellulare. Quello che Viola non conosce e che mi aiuta a non mescolare troppo le telefonate di lavoro con quelle personali.
«Lo so… mi dispiace… Viola non si rende conto…». È un balbettio di scuse, il mio.
Luca non mi lascia il tempo di finire neppure una frase.
«Ci sono in ballo un sacco di soldi!», grugnisce prima di sbattermi il telefono in faccia.
Lo so. Mi dispiace.
Provo a risolverla con Whatsapp. Luca capirà. Conosco il dolore per il divorzio dei suoi genitori, quando era piccolo. So che riuscirà a mettersi nei panni di Viola.
Corro da lei.
«Tesoro». La strappo via dall’orsacchiotto e la tiro addosso a me. «Scusami». Le accarezzo i capelli. «Hai ragione, avevo promesso».
La costringo a guardarmi, mentre cerco di regalarle un sorriso rassicurante: «Andiamo a prenderlo?».
«Miaooo!». Schizza in bagno per prepararsi.

Lo prendo per un sì.

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