domenica 27 gennaio 2013

...con le stelle ho scritto il tuo nome!


Cerco di non essere in ritardo sul orario, ma uscendo – quando praticamente sono già con una mano sopra alla maniglia del portone di casa – non posso fare a meno di concedermi un nuovo dietrofront per correre per l’ennesima volta in bagno e per essere sicura che sia tutto a posto. Non so se avrò modo di incrociarti, ma quello che non vorrei mai è che tu mi vedessi con il rossetto sbaffato sulle labbra, con righe di rimmel vicino agli occhi, perché accidenti a me sono un disastro in certe cose e ogni volta che provo a truccarmi finisce sempre che devo fare mille ritocchi, o con il nero della matita impiastricciato chissà dove, perché le tipe in Tv hanno un trucco perfetto anche dopo ore e ore dall’applicazione, io riesco ad assomigliare a una maschera di carnevale dopo appena dieci minuti, se non sto più che attenta.
Ok. L’immagine che mi rimanda lo specchio è accettabile, il profumo che indosso si sentirebbe anche fossi in un altro pianeta e le scarpe, anche se non da ginnastica, sono sufficientemente comode da farmi credere che posso farcela. Temo di morire per il freddo, ma quella è un’altra storia.
Finalmente in macchina, ho cinque minuti a suon d’orologio per arrivare al parcheggio dove mi stanno aspettando le amiche. Rispettare i limiti e non arrivare in ritardo è un impresa praticamente impossibile, ma… provo lo stesso a non premere troppo sul acceleratore.
“Eccoti! Stavamo per attaccarci al telefono con il dubbio di non aver capito bene posto e ora”. Riesco a malapena a sorridere. Sono tesa e non so per quanto tempo ancora riuscirò a far finta che vada tutto alla grande.
“Allora? Che si fa?”. Provo a buttare là la domanda, come ogni volta. Ma, come ogni volta mi ritrovo a dover fare i conti con la solita risposta. “Il solito pub, no?!?”. Eh… come, no! Non che non ami la ‘vita da pub’, ma… tanto per cominciare… c’è pub e pub e, secondo poi, qualche volta non farebbe male cambiare. Insomma… avere delle abitudini va bene, ma… si potrebbe anche prendere l’abitudine di dare un po’ di giro alle abitudini, no?!?
Mi aggrego, rimanendo in silenzio. Continuo a lottare con un fastidioso senso di ansia che, in sincerità, avrei sperato non arrivasse a ricordarmi che: spero di incrociarti da qualche parte.
“Allora Fra, come è andata la tua settimana?”. Michela è bellissima, con le scarpe nuove e un vestitino nero che adoro. Invidio la sua capacità di stare bene con qualunque cosa addosso. Io, se non litigo ogni volta con l’armadio non sono contenta.
“Diciamo, abbastanza ok. La tua?”. Rispondere con ‘abbastanza ok’, per me è sinonimo di avere qualcosa che mi passa per la testa, ma spero che Michela non se ne accorga. Faccio mentalmente gli scongiuri, ma non serve. “Sembri… nervosa. C’è qualcosa che non va?”.
Ecco. In certi casi, rispondere con una bugia è qualcosa che mi scoccia da morire. Ma, anche rispondere con una mezza verità non è detta che mi salvi dal confessare tutto. “No… tutto ok. Solo… è che…”. Nemmeno una bambina di fronte alla maestra, al suo primo giorno d’asilo, avrebbe preso tanto a balbettare come me in quel momento. Alla fine, cerco di liquidare la conversazione con un: “Ti spiegherò, ok? Adesso, non mi va di parlane”.
Il bello di Michela, ragion per cui mi trovo anche tanto bene insieme a lei, è che non è insistente. Insieme, ci limitiamo ad allungare il passo e a raggiungere le altre.
Avevo ragione a credere che uscire senza una delle solite felpe caldissime avrebbe significato ritrovarsi presto come un ghiacciolo, ma i pensieri sono altrove e anche se già da qualche metro non sento più i piedi dentro alle scarpe e sono ormai prossima a perdere anche la sensibilità delle mani, non mi importa del freddo.
In fretta raggiungiamo l’ingresso del locale e in fretta ci infiliamo dentro. Pensare di trovare un tavolo libero in uno dei ‘venerdì a tema’ è praticamente utopia. Ma, non c’è verso di provare a spostarci da un’altra parte. Perciò, rimaniamo lì in piedi fino a che qualcuno non decide di averne abbastanza per quella sera di musica altissima, birra, patatine fritte e facce di gente annoiata ovunque si giri lo sguardo. Seriamente… non fosse per il via vai dei camerieri, perfetti equilibristi con i vassoi in mano stracolmi di bicchieri, e per il Dj all’angolo che ho il dubbio ce la stia mettendo tutta per farci saltare i timpani, non sembrerebbe nemmeno di trovarsi dentro a un luogo di aggregazione. Guardo a destra e una coppia nemmeno si guarda in faccia. Lui smanetta con il cellulare e lei sembra molto impegnata a esaminare la tenuta dello smalto viola sopra alle unghie. A sinistra, tre amici sorseggiano birra. Uno guarda alla propria destra, uno è concentrato sullo schermo della tv che sta passando le immagini di serate già trascorse e uno è concentrato sul menù, anche se ho la sensazione che non sia per l’intenzione di ordinare qualcos’altro. Di fronte a me… il top del top. Uno sbadiglio gigantesco mi fa temere non solo per il detto che lo vuole essere un gesto contagioso, ma anche per il fatto che se la bocca di quel ragazzo sulla trentina continuerà ad allargarsi, potrebbe ingoiarci tutti e farne un sol boccone.
Ok. Magari, se mi giro e torno a guardare in direzione della porta chi entra avrà un sorriso grandissimo stampato in faccia e un’allegria più contagiosa di qualsiasi altra cosa possa esserlo al mondo.
Niente da fare. La ragazza che oltrepassa l’ingresso nel esatto istante in cui mi ritrovo a fissare la vetrata della porta è sola e ha un’espressione talmente tanto cupa in volto che per un istante penso non sarebbe una cattiva idea raggiungerla e chiederle se vuole aggregarsi a noi.
Ci penso su una volta o due, prima di abbandonare del tutto l’idea e di decidere che è meglio non buttarsi in imprese assurde. Magari, semplicemente non è serata per molti… come non lo è per me.
“Franci, sei con noi?”. Distolgo i pensieri quel tanto che basta per accorgermi che Michela, Sara e Giulia mi stanno guardando. Annuisco. “Sì, certo… sto solo… aspetto di poter ordinare”.
“Ah… a proposito di ordinare, ti andrebbe di dividerci un piatto di patatine? O preferisci una fetta di torta al cioccolato?”. In altre situazioni  non avrei esitato, ma ho lo stomaco completamente chiuso.
“Pronte? Avete deciso o ripasso?”. Rispondo a Giulia, rispondendo al cameriere: “Per me solo una Coca piccola, grazie”.
Anche bere non mi sembra una buona idea. Ma, cominciare a vivere di sola aria forse lo sarebbe ancora di meno.
Lascio che la musica altissima mi stordisca, cerco di non soffermarmi sulle parole di una canzone dei Gemelli Diversi e aspetto, senza aspettare in realtà, di ritrovarmi con il bicchiere fra le mani. Dopo che il cameriere ha finito di appoggiare sopra il tavolo il nostro ordine, lascia anche una manciata di stelline argentate e una candela, che pare contribuiscano a creare l’atmosfera.
“Sì, mi piacciono proprio queste serate a tema. C’è più gente del solito e in generale è tutto più bello”. Sara ha la solita espressione sorridente, che solo quel locale sembra saperle regalare. Io… mah! A me non dispiace tutto quello che mi circonda, ma nemmeno faccio i salti di gioia. A tratti continuo a pensare che potrei incontrarti, ma sono molte di più le volte in cui mi ritrovo a credere che non accadrà. Mi sono anche seduta al tavolo riservandomi il posto che dà le spalle alla porta, così almeno evito di aggiungere ai pensieri il rimanere incollata con gli occhi all'ingresso, nella speranza di vederti entrare con gli amici.
Bevo un sorso dal mio bicchiere e subito dopo un altro. No. La paura di stare male è qualcosa che non si annienta così, così. Il Dj passa qualche vecchio successo musicale. Provo a ballare un po’, ammesso che muovere appena le spalle e battere il tempo con i piedi possa considerarsi qualcosa del genere.
“Pensi che potremmo uscire anche domani, o sei impegnata?”. Il sabato è sempre più un’incognita, avendo ognuno i propri interessi e i propri impegni, ma per questa settimana non ho nulla in programma, perciò annuisco.
“Franci… e dai! Si può sapere…”. Niente, è più forte di me. continuo a concentrarmi sui miei timori e tutto ciò che continuo a vedere sono i volti delle persone che, come me, sembrano fuori posto in quel luogo. Le dita sopra il tavolo si muovono senza che io mi accorga veramente di comandarle. Gioco con le stelle. O… sono le stelle che giocano con me? Per come stanno le cose, propenderei di più per la seconda. Mi sfugge un sorriso. È assurdo, letteralmente assurdo ritrovarsi in quel modo. Sorrido. Continuo a sorridere e mi lascio prendere per pazza, mentre mi accorgo che… con le stelle ho scritto il tuo nome! 

2 commenti:

  1. Questo stralcio mi ricorda qualcosa di Sotto l'albero. Un bacione.

    RispondiElimina
  2. Ciao Sofia, beh... di sicuro nascono entrambi dalla stessa penna! Un abbraccio, a presto!!!

    RispondiElimina